Ho parlato spesso dell’esperienza personale del camminare e della ricerca di significato cui do a questo esercizio ogni volta che mi metto in marcia o mi accingo a farlo. In esso, cerco il rapporto tra il camminare con le cose; con il pensare. Camminare, anima le ambizioni di molti a superarsi in una continua fame di senso da dare alla propria porzione di umanità.
Pure l’esperienza che Marco Crestani ha offerto e offre con i suoi libri ogni volta è quella in cui mi riconosco di più riflettendo sul fatto che il viaggio è più importante dell’arrivo e dove la voglia di viaggiare a piedi rappresenta di per sé una propria ricompensa cognitiva ed emotiva. Per l’autore, scrivere, come tento di spiegare di seguito, è camminare lungo una strada panoramica attraverso un paesaggio di storie ed esperienze abbandonate. Camminare, è fare una “deviazione sovversiva”, a dirla con le parole di Rebecca Solnit. La sovversione di Marco Crestani è camminare per amore della storia. Le sue passeggiate sono sentimentali perché cercano l’anima ancora pulsante di chi l’ha preceduto nei passi come raccontano le parole del suo nuovo libro e oggetto di queste righe: “Viaggi affollati di anime invisibili”.
Non è un caso allora che i suoi viaggi parlino di persone e di luoghi come quelle di Luigi Balzan. Marco Crestani non lascia spazio ai fronzoli e subito s’immerge, e chi legge con lui, nei taccuini di quell’uomo che a fine ‘800 parte da Badia Polesine, con una laurea in tasca in scienze naturali, per l’Argentina. Ho seguito su una mappa il viaggio di quell’uomo attraverso la parte settentrionale dell’America del Sud fino alla sua esperienza al museo di La Plata e poi in Paraguay come insegnante.
La sua fame di conoscere disegna un percorso sulle di vie d’acqua portandolo fino nei posti remoti dello Yungas. Quelle le pagine restituiscono molto più di un racconto di viaggio: è il lavoro di scavo dello scrittore che restituisce alla luce l’anima di Balzan e le terre di passaggio dopo più di cent’anni.
E’ la descrizione di una scoperta di un paesaggio naturale che illumina e istruisce il giovane esploratore di allora. Le descrizioni naturalistiche s’inseguono con minuziosi dettagli che restituiscono l’immagine dei luoghi e dei volti delle persone che incontrò e che possiamo guardare oggi con gli occhi di quell’uomo di quel tempo remoto: una folla di anime invisibili, che offre il titolo al libro, da una nota da quei taccuini.
Il cammino di Marco Crestani è pieno zeppo di questi incontri. Per chi sa della biografia intellettuale del giovane scrittore, non c’è dubbio che nelle storie raccontate, risuoni l’eco dell’amicizia con il grande sergente nella neve: Mario Rigoni Stern. Un imprinting intellettuale che ha segnato marcatamente il prima e il dopo della sua formazione personale e che ha influenzato la sua scrittura.
Viaggi Affollati di anime invisibili sono una tappa del lungo wanderlust dell’autore nella storia di persone destinate all’oblio della memoria. Con il piglio dello storico (che è), il giovane scrittore fa riemergere dal terreno queste storie dove sono sepolte. Un sovrappiù emozionale stratificato in tutte le storie che seguono nel libro, riflettono il personale amore dell’autore per quei luoghi: le montagne di confine a nord-est, spesso ricorrenti in molta della sua produzione letteraria. Sono passi che da sempre si fanno scrittura dalle storie che emergono al passaggio.
In un percorso dettato dalla cronologia, il viaggio dell’autore si sposta dalla terra sudamericana di fine secolo a quella più recente, si fa per dire, ai luoghi della Grande Guerra con la storia di due fratelli.
Romano e Tarcisio, moriranno entrambi nel giro di un anno tra il 1916 e l’anno successivo. Romano, in una delle battaglie sull’Isonzo, e Tarcisio prigioniero nell’inferno del castello di Lubiana. A entrambi capitò di combattere lungo la linea di fronte a pochi chilometri l’uno dall’altro senza saperlo. Le loro lettere ai famigliari si fanno cronaca e testimonianza di quei terribili mesi; la vita in trincea, il muoversi a tentoni, il terrore, la morte di molti. Assai commoventi sono le lettere al padre, alla madre e quelle alla fidanzata di Tarcisio, Francesca. Nonostante la speranza spesso reiterata nella corrispondenza, non la rivedrà mai.
Ancora un’altra storia di guerra, una di quelle che si svolsero tra il maggio e la fine di giugno de 1916; il terreno é quello degli altipiani vicentini.
Loro, sono i soldati italiani contro gli austriaci nei giorni della Strafelexpedition. I loro diari non lasciano spazio alla paura. Sembrano tutti presi dall’azione militare e la propria morte può essere un nesso di casualità della lunga battaglia durata trentaquattro giorni. Il caporale Mario Bardi del 201° fanteria s’infila nel taschino un biglietto indirizzato al fratello che può servirgli da “carta di riconoscimento” nell’eventualità d’esser ucciso, come dice. Un altro, il soldato Ernesto Pruneti, sembra sognare quando in una notte stellata, quella del 7 Giugno, non ascolta nessun suono che quello di un corso d’acqua, molto vicino alla linea di fuoco dove è steso. E’ un momento di tregua dal rumore sordo della guerra.
La memoria che anima il libro è anche quella del mito. Marco Crestani racconta di sé naturalista immerso in un’esplorazione dell’Altopiano a lui più caro: quello di Asiago. L’incontro con uno sconosciuto e le parole che si fanno racconto di un’acqua sorgiva dalle qualità miracolose che si prese cura di un uomo giunto fin dalla Dalmazia per guarire la peste.
A proposito dell’aspetto naturalistico appena ricordato, segnalo tra i racconti, imperdibile per la commozione che genera, la storia del Pruno della Gemma. E’ ancora la casualità di un’incontro, quello di un locandiere, che influenza e carica il cammino dell’autore di un nuovo crinale pieno di attese. Siamo a Foza, tra Castegomberto, il Fior e il Valbella. Ho cercato sulle mappe quei luoghi: si trovano a nord-ovest di Vicenza a metà strada da Thiene; l’albergatore parla di quelle terre, testimoni di tutti i quarantesei mesi di guerra. Luoghi pieni di memoria e significato. L’autore s’incammina in quei boschi fino a trovare il ceppo di pietra cui non si sottrae dal toccare in un gesto che sa di chi vuole incamerare memoria attraverso quella connessione del tatto e poi il cartello alla base di un albero quasi a segnalare come le frecce che indicano il sentiero, la piccola insegna a indicare la pianta vicina. Dino Buzzati sembra sorriderci tra quegli alberi.
Finisco. L’immaginazione sempre vigile dell’autore, si accende di volta in volta contemplando l’oggetto del racconto e che la anima in una costante réverie, che mi ha ricordato le passeggiate di Rousseau. Dove le fantasticherie prendono la forma della reminiscenza, del molto esercizio intellettuale prima di divenire traduzione in scrittura di ciò che é.
Tuttavia, il ruolo della reminiscenza non è solo quello di ripristinare nella loro verità gli episodi di un passato da cui Marco sembra congedarsi perché altre storie lo attendono; é, credo, un’urgenza di produrre, un’espansione che assume la sua intensificazione esistenziale: la cifra, come di usa dire in letteratura, della sua identità personale e di scrittore.
La terra è storia. All’attrazione della sua réverie, Marco Crestani unisce le immagini affascinanti cui le storie si riferiscono. Sembra essere lì, in mezzo a loro e al loro tempo. La ricordanza che alimenta il wanderlust del camminatore, serve all’approfondimento del presente, e non all’esercizio di una coscienza infelice sfinita dalla storia.
Per BookAvenue, Michele Genchi