Paese che vai, piatto che trovi (e pancia che cresce)

scampi
   Tempo di lettura: 14 minuti

Ovvero, dieci posti dove mangiare se ti trovi in giro per lavoro e non hai nessuna voglia di farlo.
Mi capita spesso di andare fuori per lavoro in un’estenuante giostra da cui non vedo l’ora di scendere. Tuttavia, mentre aiuto le persone a rendere più sicure le loro esistenze manutenendo i luoghi dove vivono e lavorano, cerco di sopravvivere al disagio di stare lontano da Bari.
Bari, si dice, ama i forestieri e non i suoi cittadini. Eppure, il solo pensiero di allontanarmi mi fa stare male: qui ho trovato il mio Graal. La sua aria è diversa da tutti gli altri posti.
Mi consolo mangiando. Il che si vede in tutta evidenza dal pallone nascosto sotto la camicia. Quello che segue è un elenco dei posti, a Bari e fuori, dove mi sono nutrito di cose particolari. In coda, qualche consiglio di lettura.
Buon appetito e, anche se è cominciato da un po’, Buon Anno nuovo!


1. Linguine agli scampi al castello

Era una di quelle sere stanche in cui volevo solo restare a casa a guardare Gray’s Anatomy e farla finita con una giornata dov’era successo di tutto, mia moglie era, però, riuscita a prendere un tavolo ad un’ora decente in quel famoso posto vicino al Castello Svevo a Bari vecchia. Il menu di quel ristorante non re-inventa nulla e mette tanta cura in piatti come calamari fritti e pane bruciato all’aglio e linguine agli scampi. Le ricette sono quelle di sempre e per questo sempre molto buone. 
Devi amare il limone per amare i loro scampi, la cui acidità sparisce nel profumo del leggero del piatto che sa di mare e pomodoro fresco. Abbiamo mangiato solo quello e finito con una spruzzata di limoncello (la mossa del cuoco). Non è stata sola una cena ma una cura per il ripristino dell’umore che ci ha rigenerati e rispediti a casa felici.

Il libro: Luigi Sada, La cucina pugliese in oltre 400 ricette. Newton C. Edizioni. C’è di che cucinare!

2. Anatra Beauty Farm con mele cotogne, foie gras, salsa bigarde alla maniera di Haiku

Questo non è l’anno cinese del coniglio ma dell’anatra thailandese. Ne troverete una versione fantastica all’Haiku a Roma Eur.  Il mio preferito da quando il Genchi me lo ha consigliato e divenuto appuntamento fisso quando mi capita di venire qui per lavoro. Questo cuoco incantatore prepara una fetta di petto d’anatra meravigliosamente scottata proveniente in tutta evidenza da un produttore/fornitore di qualità – perché si sente al palato – accuratamente salato e drappeggiato con una ricca salsa bigarde al profumo di arancia. Una delle ragioni per venire a perdere tempo nella capitale.

Il libro: Spigartis Dara, Proebst Margit, La cucina Thailandese. Ingredienti, ricette, tecniche. ed. Gambero Rosso

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3. Cappelletti di carote alla emiliana a… Padova

I critici gastronomici hanno simpatie e antipatie proprio come ogni commensatore: i miei sono il pesto e il tonno e, in genere, tutto quello che mettono in scatola in vendita nei negozi di alimentari. Non faccio il difficile ma questa roba la elenco come cibo per gatti. Poi, sopporto poco anche altre cose: le carote, per esempio.
Però (c’è sempre un però), a volte dobbiamo ignorare il disagio mentre facciamo su è giù per lo stivale per lavoro, ed è così che, paracadutato in quel di Padova, sono capitato in una trattoria sotto i portici di Prato della Valle innamorandomi perdutamente dell’unico modo al mondo in cui riuscirò mai a mangiare le carote. Niente nomi qui, ma vi do un indizio: si parla emiliano.
Il ripieno di pasta, pieno di purea di carote arrostite, polenta e parmigiano, il tutto glassato con una salsa a base di succo di carota ridotto e burro, mi hanno conquistato in fretta. Merito di come la cucina abbia giocato bene anche con gli accompagnamenti nel piatto: pezzetti di collo di agnello stagionato e, in ciotolina a parte, un cucchiaio di muesli di nocciole al miele a fare da contraltare. Non ordinerò mai un cocktail di carote, ma questo lo divorerei ancora e ancora.

il libro: Claudia Trevisani, Le ricette delle tradizione tra Bologna, Modena e Ferrara. Artestampa edizioni

4. Pizza ai peperoni

Per favore: non confondiamo la focaccia barese con la pizza. Io mangio molta pizza ai peperoni. A tonnellate. Ogni santo venerdì è il giorno della torta di pasta a casa nostra. E mentre dalle mie parti abbondano pizzerie alcune delle quali con ottima pizza (e servizio a domicilio), preferisco comprare la pasta di pane dal fornaio a due passi da casa, e prepararla. E alla via così.
Naturalmente, dipende dall’impasto che si compra. Le mie pizze sono, insieme, elastiche e gonfie di un tondo quasi napoletano, ma sono più robuste all’estremo. Tanto meglio per contenere le piccole strisce di peperoni, oltre a una salsa macha, che aggiungo in abbondanza perché amo il piccante, e il basilico. 
Ogni pizza è una pizza personale se ti impegni e credi in te stesso“, recita l’insegna di un ristorante di non ricordo dove, che condivide lo spazio con un bar dove servono solo bevande vegane. 
Beh! Sfida accettata.

Il libro: beh!, non l’ho ancora scritto!

5. Ostriche alla griglia con sidro bianco al banco La Terrazza

Sono cresciuto pensando che tutte le ostriche grigliate fossero avvizzite e ricoperte di crosta immangiabile, mi dice Raffaele, il mio amico d’infanzia che mi invita a mangiarle da uno street food sul lungomare di Bari davanti alla Basilica di San Nicola.  Non è così in questa cucina su quattro ruote. La memorabile interpretazione di questi cuochi di strada prevede di sgusciare i bivalvi come se dovessero essere serviti crudi, condirli con aglio in salamoia e una salsa burrosa evocata da sidro bianco e aceto di sidro con del pane grattato sopra e dopo arrostiti rapidamente, in modo da rimanere carnosi e succosi. L’unica pecca è che un cibo così prelibato non dovrebbe essere mangiato nei piatti di carta.

Il libro: Michele Fanelli, La cucina del sottano. Ricette, usanze e buone creanze baresi. Progedit edizioni. Non sapete cos’è un sottano? Venite a Bari e lo scoprirete.

6. Pechino sull’Adriatico

Questo ristorante di lunga data a Bari, vicino a p.zza Garibaldi, è noto per gli gnocchi di zuppa ultra saporiti, da gustare al meglio nella loro accogliente sala. Il menu offre oltre 100 piatti cantonesi, szechuan e taiwanesi; c’è molto da gustare. Lasciatevi tentare dai loro piatti preferiti che includono il fragrante agnello al cumino o il tofu fritto piccante, l’anatra alla pechinese, le costolette di maiale croccanti “del regno” (non ho ben capito se si riferiscono al Cielo o agli inferi), e i gamberetti di Hong Kong conditi con pepe verde e pesce fenice. Di solito, mi piace iniziare proprio con un giro di gnocchi di maiale avvolti nella pasta fatta in casa.
Se siete in zona, potete ordinare la consegna ma non è la stessa cosa.

Il libro: Xie Qin, Peng Mrys, Hunan. I segreti di una vita dalla cucina di Mr. Peng. Guido Tommasi edizioni

7. Le fritelle di Ancona

In una città abbastanza anonima per quello che potrebbe offrire in termini di accoglienza: devono tutti ancora imparare molto. Non si va più in là di trattorie o ristoranti arredati negli anni sessanta e rimasti così da allora..
Tuttavia, ho trovato un posto retrò, dalle parti di via Marconi, con un menù a prezzo fisso di tre portate che comprende piatti gourmet come zuppa di castagne arrosto con panna cotta di foie gras (ripeto: fegato d’oca ad…Ancona!), costolette arrosto e piatti di granchio americano (ripeto: granchio americano; sapete? quelli grossi come una casa) bruciate al punto giusto. 
Inspiegabile e inaspettato!
Servono pure, un elegante brunch a buffet che include una proposta del cuoco di sole frittate, un’angolo di frutti di mare colmo di pannocchie e ostriche, un carrello di arrosto di manzo e una selezione di crepes dolci e salate. Infine, da non perdere la torta nera al cioccolato fondente. Vogliamo parlare di Fritelle, quelle vere?
Incredibile. Mi pizzico per vedere se sono sveglio. Sono ad Ancona o altrove?
Il conto non è salato e un cartello avvisa che i bambini sotto i sei anni mangiano gratis. Mentre finisco penso di portarmi un piatto ulteriore di frittelle appresso per consolazione. La mia famiglia è lontata, purtroppo.

Il libro: Carlo Cracco, Marche, edizioni del Corriere della Sera (ebook)

8. Il pranzo di Natale

Con il pranzo del giorno di Natale non si scherza, in specie se decidi di mangiare fuori contravvenendo al senso comune che ti impone un’estenuante maratona tra i fornelli di casa.
Nel centro storico ce ne sono solo un paio dove vale la pena rischiare il portafogli e l’umore. Mangiare è un affare di tasche e di testa, dopotutto. Vicino il Teatro Petruzzelli un vecchio e qualificato ristorante propone un piatto con filetto mignon appena scottato e formaggio cheddar bianco o costolette cotte a legna alla scottadito, ma non siamo a Roma: lì, è l’aria che le rende inimitabili. Poi, siamo d’accordo, le braciole di vitello le cuòciono dappertutto.
Ma siamo a Bari. La parmigiana è d’obbligo e il pesce fresco si trova dovunque. Qui propongono le capesante scottate e la bruschetta fra diavola di gamberi. Infine la torta della nonna: una crostata con marmellata nera, pinoli e scorza d’arancia. C’è da chiedere loro quanti anni abbia la nonna. Se non piace, chiedete un classico: le cartellate o il cheesecake al cioccolato e nocciole per dessert.
Il realtà, questo menù si trova tutto l’anno. A tal punto che è Natale ogni giorno, qui.

Il libro: Michele Fanelli, La cucina del sottano. Ricette, usanze e buone creanze baresi. Progedit edizioni.

9. Trieste, sapori di confine

Mezza europa e duecento anni in un posto solo dove mangiare serbo, croato, sloveno e triestino. Un posto Rustiko, insomma (niente pubblicità).
E, dunque. Non sono penette, né tortiglioni (non stiamo a Trastevere): sono i Fuzi e l’unico modo per spiegarvi cosa siano è l’invito a farveli preparare. I Fuzi sono uno di quei primi piatti della cucina croata che mettono d’accordo tutti (ma non basteranno a calmare i venti d’odio dei balcani). Ottimi se conditi con la crema di tartufo o più semplicemente con il ragù, meglio se di selvaggina.
Lo chef offre pure un pranzo levantino con fuoco a legna le cui specialità includono costoletta di manzo, o branzino del Mediterraneo offerto con patate scottate alla brace e dalla cucina, imperdibile, lo stufato di lenticchie. Potreste scegliere anche il vassoio menu degustazione che vi consiglio di ordinare in due volte, così da mangiare ancora caldo.
Le bottigliette d’acqua di plastica dovrebbero essere fuori legge. Ma quando imparerete a portare l’acqua in una caraffa di vetro?

Il libro: Del Fabro, La cucina Friulana. Demetra edizioni

10 Agnolotti e Rabaton ad Alessandria

Che dire. Il solo posto ad Alessandria in centro che sa di vecchia trattoria. Ci si va per gli Agnolotti e soprattutto per i Rabaton. Questi ultimi sono dei gnocchi di grandi dimensioni, che prendono il nome dal dialetto alessandrino “rabatè” che significa “rotolare”. Un tempo, al posto delle erbette o spinaci, venivano usate le erbe miste di campo, o erbe spontanee, come ortiche e tarassaco. Valgono da soli la visita in città.
E che dire delle acciughe fritte? Immancabile, dunque, l’assaggio di ottimi agnolotti al sugo di stufato della tradizione locale. D’appertutto l’imperidibile guancetta di manzo con polenta. Bevete vino del Monferrato, mi raccomando.

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Il libro: Gian Paolo Spaliviero. Agnolotti, ravioli & co. Storia e ricette. Ed. autoprodotta

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Per BookAvenue, Andrea Pennella

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ndr.
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