lungomare con palme
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Che meraviglia questo racconto così intenso, così tormentoso e dolce allo stesso tempo nella splendida traduzione di Anna Nadotti.È la descrizione di un ritorno in patria – nella Libia del dopo Gheddafi – dopo un esilio durato più di trent’anni. Un resoconto di grande sensibilità che è quasi un giallo. Una riflessione sulla storia – sulle gravi responsabilità dell’Occidente fin dalle imprese coloniali – e sull’essere figli che disorienta e sorprende spiegandoci perché è necessario confrontarsi con il proprio passato e andare alla ricerca di un padre scomparso che sente vivo nel passato, nel presente e nel futuro. Un padre scomodo che ha sempre amato in modo viscerale il proprio paese, la Libia.

In Hisham Matar colpisce la sviluppata abilità nel risvegliare memorie e nel praticare sia la nostalgia «chiusa» – che si ripiega in se stessa nel rimpianto di ciò che si è perduto – sia la «nostalgia aperta», quella capace di elaborare positivamente il lutto della perdita, rimarginando le ferite implacabilmente inflitte a ciascuno dall’esistenza, permettendogli di guardare avanti.

Tutt’a un tratto pensavo che tornare dopo tanto tempo era una cattiva idea. La mia famiglia se n’era andata nel 1979, trentatré anni prima. Questo era lo iato che divideva l’uomo dal ragazzino di otto anni che allora ero. L’aereo avrebbe solcato quel baratro. Sono viaggi senza dubbio temerari, e quello cui mi accingevo avrebbe potuto privarmi di una capacità che avevo coltivato con enorme fatica: la capacità di vivere lontano dai luoghi e dalle persone che amo. Iosif Brodskij era nel giusto. E anche Nabokov e Conrad. Artisti che decisero di non tornare. Avevano tentato, ognuno a suo modo, di guarire dal proprio paese. Ciò che ti sei lasciato alle spalle è dissolto. Torna e dovrai affrontare l’assenza o il disfacimento di ciò che più amavi. Ma anche Dmitrij Šostakovič, Boris Pasternak e Nagib Mahfuz erano nel giusto: mai lasciare il proprio paese. Parti e ogni legame con l’origine sarà reciso. Sarai come un tronco morto, duro e cavo.
tante altre cose: riflessione sull’esilio e le consolazioni dell’arte, analisi dell’autoritarismo, storia famigliare, ritratto di un paese nelle ambasce della rivoluzione e appassionata elaborazione di un lutto…

per BookAvenue, Marco Crestani


Il libro:
Hisham Matar,
Il ritorno. Padri, figli e la terra fra di loro,
traduzione di Anna Nadotti,
Supercoralli, Einaudi
ed.2017, pp.256


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Marco Crestani

"In una poesia o in un racconto si possono descrivere cose e oggetti comuni usando un linguaggio comune ma preciso, e dotare questi oggetti - una sedia, le tendine di una finestra, una forchetta, un sasso, un orecchino - di un potere immenso, addirittura sbalorditivo. Si può scrivere una riga di dialogo apparentemente innocuo e far sì che provochi al lettore un brivido lungo la schiena… Questo è il tipo di scrittura che mi interessa più di ogni altra. Non sopporto cose scritte in maniera sciatta e confusa…"(Raymond Carver)
http://libereditor.wordpress.com/

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