Mario Rigoni Stern, Storia di Tönle

   Tempo di lettura: 5 minuti

Mario Rigoni Stern è un narratore in grado di stupire.
Lo leggo da diverso tempo, ma ogni volta che riprendo in mano un suo libro scopro, emozionandomi, nuovi aspetti e paesaggi della sua grande anima.
Da poco ho riletto “Storia di Tönle” intuendo quanto la sua scrittura accorcia le distanze, avvicina nella fragile condizione dell’essere.
Protagonista di questo breve romanzo di notevole efficacia narrativa è Tönle Bintarn e non è un personaggio inventato.
Rigoni Stern lo ricorda all’interno della premessa all’edizione del 1980 (collana “Letture per la scuola media” di Einaudi), quando scrive che “quella di Tönle è una storia vera, ricostruita nella realtà e nel tempo in cui si svolge.

Senza accorgermi me la portavo dentro da parecchio tempo, da quando cioè un mio amico manovale, nelle pause di riposo mentre mi costruivo la casa dove vivo, aveva raccontato della vita di suo nonno. Questa storia, poi, l’avevo arricchita con i ricordi che avevo sentito da mia madre, da altre persone e anche miei. Mi piaceva per il tempo storico degli avvenimenti, per il paesaggio (quello delle mie montagne), per la gente, per i luoghi dove aveva camminato e lavorato il mio personaggio; perché è vera, ma, più ancora, per Tönle: quest’uomo dallo spirito libero che osserva la vita e il mondo e le sue vicende correre via nel tempo quasi con staccata saggezza ma anche con tanta partecipazione.”
La vicenda è ambientata sull’Altopiano di Asiago, che il 21 ottobre 1866, assieme al Veneto, alla provincia di Mantova e al Friuli, fu annesso, dopo plebiscito, al Regno d’Italia. A seguito di un plebiscito mai capito, le montagne dei Sette Comuni conobbero i cambiamenti e l’evoluzione del progresso, seppure tra insicurezze, resistenze e ostacoli.

Con l’inasprimento delle imposte prediali (che mai in precedenza erano state incassate), i dazi sui prodotti, il servizio militare obbligatorio e la permanenza dei reparti militari che regolarmente facevano le loro manovre, oltre alla Regia Finanza a reprimere ogni piccolo (e forse necessario) contrabbando, iniziò a manifestarsi quella crisi che tra il 1875 e il 1908 diede il via a un’intensa emigrazione.
La crisi della pastorizia e dell’artigianato, la vicinanza del confine, lo sviluppo industriale, economico e culturale della Mitteleuropa, la tradizione quasi millenaria di libertà e commerci erano tutti stimoli a cercare nuove opportunità di lavoro oltre le Alpi.
La partenza avveniva di solito con lo scioglimento delle nevi e, a piedi, con gli arnesi di lavoro dentro il sacco a spalla, gli abitanti dell’Altopiano si incamminavano verso la Prussia, la Boemia, l’Austria, l’Ungheria, la Westfalia.
Tönle Bintarn è contadino, pastore, contrabbandiere per bisogno e, per eludere a una condanna per il ferimento di una guardia di Finanza, farà l’emigrante per tutta l’Europa austro-ungarica, arrangiandosi a fare a qualsiasi lavoro, ma sempre con la fiducia di tornare, vera e propria energia vitale che gli darà forza malgrado privazioni e stenti.
Tönle è profondamente avvinto alla propria terra, al susseguirsi ciclico delle stagioni. La natura che si rinnova lo porta a vivere quasi in una dimensione temporale primordiale.
“I vecchi, guardando la cenere accumulata sul focolare e la poca legna nel deposito, dicevano: «Anche questo inverno è passato» e dopo il tramonto uscivano all’aperto per guardare i falò sui culmini del Moor e dello Spilleche: erano i fuochi che bruciavano l’inverno e indicavano il nord agli uccelli migratori.”

Non c’è nulla che lo fermi, niente in grado di fargli cambiare idea, perché lui vive solo in funzione di quella sua terra a mille metri di altezza. La sua forza è il ricordo, ma un ricordo straordinariamente vivo.
“La sua casa aveva un albero sul tetto: un ciliegio selvaggio. Il nocciolo dal quale era nato l’aveva posato lassù un tordo sassello tanti anni prima espellendolo in volo e l’umore di una primavera l’aveva fatto germogliare perché un suo avo, per difendere l’abitazione dalla pioggia e dalle nevi, aveva steso sopra la copertura altra paglia, sicché quella sotto era diventata humus e quasi zolla. Così il ciliegio era cresciuto.”
Rivedrà i suoi monti, sopporterà tutte le conseguenze della Grande Guerra e della Strafexspedition, di cui sarà vittima il suo Altopiano. Vedrà in quei suoi luoghi violati tutta la desolazione della distruzione e non proverà odio, ma solamente tristezza. E, come in una storia dove c’è sempre un inizio e una fine, Tönle si farà da parte comprendendo che per lui è arrivata, inesorabile, la stagione dell’addio.

per BookAvenue, Marco Crestani


copertina
mario rigoni stern, storia di tonle

Mario Rigoni Stern
Storia di Tönle (seguito da, L’anno della vittoria)
Einaudi.

ndr. l’articolo, ora ripubblicato,  è uscito nella stessa rubrica a marzo del 2020

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"In una poesia o in un racconto si possono descrivere cose e oggetti comuni usando un linguaggio comune ma preciso, e dotare questi oggetti - una sedia, le tendine di una finestra, una forchetta, un sasso, un orecchino - di un potere immenso, addirittura sbalorditivo. Si può scrivere una riga di dialogo apparentemente innocuo e far sì che provochi al lettore un brivido lungo la schiena… Questo è il tipo di scrittura che mi interessa più di ogni altra. Non sopporto cose scritte in maniera sciatta e confusa…"(Raymond Carver)
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