Dieci anni senza Alberto Bevilacqua

   Tempo di lettura: 7 minuti

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Alberto Bevilacqua è scomparso dagli scaffali delle librerie e, se ancora resiste nella memoria dei suoi contemporanei, intesi come taluni librai, intellettuali e professori universitari, è sconosciuto ai più dei millenians e generazione z per la colpevole, tragica aggiungo, svista della scuola e dei suoi docenti fino a salire ai gradini più alti dell’attuale Minculpop de noarti e dell’Istruzione. In questo j’accuse ci metto dentro anche il Cepell, il Centro per la lettura. Si dirà: promuove la lettura e non gli autori; ritengo che una voce potevano farla sentire, altrimenti servono solo a fare campagne promozionali che per combinato disposto riguarda le vendite. E che dire degli Stati Generali della Cultura che non hanno alzato un dito in questi dieci anni? e che non servono a niente, proprio a nient’altro se non all’autocompiacimento? Discorso a parte per la Mondadori ed Einaudi: ne parlo di seguito.

Alberto Bevilacqua è in buona compagnia: la stessa fine l’hanno fatta o stanno facendo Cassola, Arpino, Ottieri come ha ricordato Alberto Bertoni curatore del meridiano, in un articolo uscito per Repubblica a firma di Lucia De Ioanna.

C’è una urgenza, che la Mondadori colpevolmente non comprende, di ristampare e promuovere l’intera opera di Alberto Bevilacqua.

Tra i pochi volumi disponibili che permettono di scoprire un grande autore, protagonista della vita culturale italiana del secondo Novecento e vincitore, tra l’altri, del Premio Campiello ’66 con Questa specie d’amore e dello Strega ‘68 con L’occhio del gatto; resistono con disponibilità alterne il Meridiano e l’Oscar de La Califfa, capolavoro di letteratura civile del dopoguerra. Introvabili, invece, le magnifiche raccolte di poesie nella “Bianca” di Einaudi, il cui Cognome non appare neanche più in catalogo! Così come è fuori commercio l’Oscar contenente la sua più ampia raccolta poetica. Vergognatevi!

Bertoni, nell’articolo citato, ha tra l’altri ricordato: Una città in amore, che definisce: “un capolavoro di libro anti-fascista, con il racconto della Resistenza d’Oltretorrente contro Balbo”. La tetralogia degli anni Sessanta è formata dai quattro libri – Una città in amore, del ‘62, La Califfa, ‘64, Questa specie d’amore, ‘66, e L’occhio del gatto, ‘68 – che lasciano a bocca aperta.  Aggiunge: “Ne L’occhio del gatto c’è poi una dimensione psicoanalitica molto colta e una forma di scrittura automatica interessante: al di là di Svevo, al di là de Il male oscuro di Berto e dell’Ernesto di Saba, sono molto pochi i romanzi psicoanalitici italiani. Nei romanzi successivi, in Un cuore magico, ne I sensi incantati e in Una misteriosa felicità si trova una dimensione onirico-fantastica ma si perde la capacità di interpretare i fatti storici in rapporto al presente”. Capite bene: Bevilacqua come Saba, Svevo e Berto!

Dai lettori per primi, i librai e in Mondadori, fu amato da molti. Tuttavia Gian Arturo Ferrari ha ricordato nella sua recente “Storia confidenziale dell’editoria Italiana”, non senza qualche ragione, l’umore spesso scontroso di Alberto Bevilacqua. Ma è altrettanto vero che i giornali e, spiace dirlo, anche in casa editrice, lo hanno spesso trattato con sufficienza. Bevilacqua trovava distonico il comportamento della stampa, salvo rari casi, poco disposta e con lo stesso atteggiamento di distacco che gli riservava la critica. Soffriva la difficoltà di vedere adesione al suo lavoro dentro e fuori il palazzo Niemeyer di Segrate. È profondamente vero. Ferrari, nel libro, confessa il difficile rapporto tra taluni editor e l’autore. Gli promise vicinanza, ma durò dalla sera alla mattina. Eppure, un gesto di gratitudine perlomeno verso colui che aveva salvato i conti della casa editrice in più di una occasione, lo avrebbe meritato. Soprattutto in una editrice dove non si parla di libri da molto tempo ma di soldi.

Alberto Bevilacqua fu amato da molti

L’ho detto altrove: Alberto Bevilacqua è stato molto più di se stesso. Giornalista e polemista, autore di racconti e di romanzi, regista e direttore in scena di attori come Ugo Tognazzi e Romy Schnider, Alberto Bevilacqua preferiva definirsi “narratore” più che “scrittore” ed era refrattario a costruire steccati divisori tra i generi. Personalmente ho amato il poeta magistrale delle sillogi de “La camera segreta”, il luogo più intimo e privato di Alberto Bevilacqua che abbia mai visitato, salutato da Miguel Angel Asturias con queste parole: “radiazioni, in chiave terrena, di un luminoso e assoluto corpo celeste”; e da Jorge Luis Borges: con queste altre. “uno stupore capace di allontanare la paura della morte anche quando la si esorcizza, evocandola… il raro potere di far apparire esseri viventi, lontani e amati”. Ed è a Lisetta, la madre, “in un rapporto esistenziale decisivo, motore di sé e delle sue poesie, vero e proprio mito dell’origine e del crollo, transfert edipico e reclusa”, per citare ancora Bertoni, che dedica da adulto i versi toccanti di “Tu che mi ascolti”, dal titolo del fortunato romanzo.

Ha difeso il suo lavoro e il suo essere uno scrittore “indipendente”. Non ha mai aderito a consorterie intellettuali da cui rifuggiva. Anzi; ha avuto molto antipatia per le congreghe perché chiuse ai più e a difesa di un sapere solo di se stessi. Una distorsione della storia della letteratura, la definiva. Sta qui, sono sicuro, la ragione di tanta distanza dei suoi pari. Amava i lettori: “coloro che mi pagano lo stipendio”, diceva. E questo è quanto.

Da tempo ci si interroga se Bevilacqua sia stato migliore come poeta o scrittore. Lo stesso direttore della Bianca di Einaudi, Bersani, conviene che la poesia di Bevilacqua è rimasta intatta fino alla fine mentre i romanzi hanno perso la tensione dei libri pubblicati negli anni sessanta.

Finisco. Una casa editrice, l’Einaudi, che si dice di “catalogo” dovrebbe preoccuparsi di ristamparlo. Ne recupererebbe in dignità. La Mondadori con migliaia di Oscar in elenco potrebbe ben trovare il modo di ristampare quello delle sue poesie con buona pace dei molti manuali su come tinteggiare le pareti.

per BookAvenue, Michele Genchi

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fonte: Repubblica/Parma, Lucia De Ioanna, Bevilacqua, un grande narratore dimenticato 9-9-23


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