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C’è un nuovo libro nel panorama editoriale italiano che di questi tempi assume un significato importante poiché volge lo sguardo all’esigenza di una vera classe dirigente capace di assicurare il buongoverno. La fragilità del fenomeno necessitava di una analisi per indicarne le cause e gli opportuni rimedi.
Il libro in questione, agile e snello, è “l’Eclissi della Borghesia” di Giuseppe De Rita e Antonio Galdo. Per comprendere il nucleo essenziale dell’opera occorre avere chiara anzitutto la terminologia sulla quale si sono basati gli autori. Borghesia, quella di èlite illuminata e illuminante, da non confondere con l’aspirante e “petulante” ceto medio.
Una borghesia addormentata, in caduta libera, smarrita, in cerca di autore o di una nuova “personalità”. “Ogni ambizione priva di talento è nient’altro che un crimine” per dirla con Chateaubriand.
Questo smarrimento ha prodotto un “discount” della classe di Governo, quasi una “terza classe” di un Titanic senza timonieri o con timonieri che non conoscono più la cabina di comando spingendo tasti a caso nella speranza di trovare quello giusto.

Spesso il “tasto giusto” non prevede una autorevole collaborazione tra eguali, ma una forma di eterodirezione che oggi è moda e costume con il conseguente svilimento e svuotamento di elites “all’altezza della situazione”. E’ chiaro dunque che il passo per impantanarsi è breve. Di qui il riferimento al concetto di “palude” evocato più volte dagli autori.
E in piena palude o vai a fondo o tenti con intelligenza di tirarti fuori contando sulle tue forze, con ardore e coraggio. Ma qui la differenza è sostanziale. Non si tratta di salvare se stessi. Ma di salvare una classe. Un “salva Italia” con l’orgoglio che, nel passato ha permesso rigore e crescita. Una classe illuminata che ha condotto e guidato il Paese, prima della lenta e inesorabile caduta nella palude. La borghesia “depressa” si è chiusa in difesa, ha aspettato gli eventi e non si è data più da fare.
E’ stata “ignava” ed ha sperato all’italiana in una “mano invisibile” che spesso, superando le logiche del buon senso, arriva per momentanei colpi di fortuna che spesso salvano la faccia da sicure disfatte, ma con una debolezza di fondo che si presenta ciclicamente.
Oggi però il fallimento è evidente. La mediocrità ha prodotto mediocri. E la poltica dei mediocri produce mostri con molte teste o tentacoli che annodano un sistema che già sbrogliare è complesso. Perché è un sistema che ha accontentato, ha sistemato e messo sovente ai posti di comando “usurpatori di titoli” Ne deriva una classe dirigente incapace di vedere lontano, oltre il particulare. Arroccata su quello che ha conquistato scalando con ogni mezzo posizioni sociali. O difendendo posizioni “concesse” quale fedeltà al “padrone del vapore” di turno.
Permettendo così ad un incontrollato e incontrollabile ceto medio (che solo in questo pare somigliante) di muoversi in ogni dove per seguire cattivi maestri e conquistare così il titolo di “imborghesito” . Esso spinto da possibilità e manie di grandezza, ha emulato da allievi impertinenti esempi che nel breve o medio periodo si sono risolti però con risultati effimeri, perchè “signori si nasce” ed è già venuto il tempo in cui questa pseudo signorilità è stata smascherata grazie all’ostentazione di abiti firmati che poi a guardarli bene nei dettagli si è visto chiaramente che sono stati dei “falsi d’autore”.
Dunque a fronte di una borghesia in declino c’è un ceto medio che, per emulazione, pur aspirando ad una progressione verticale ha fallito, per mancanza di mezzi o di mezzi usati male, ma sopratutto privo di sostanza, la sua ascesa. Il ceto medio attende benefici , senza costi. Non si impegna, delega, compra.
La borghesia, invece, deve tornare ad essere – per il bene comune – sinonimo di capace classe dirigente, un èlite intellettuale che conosce per deliberare. Che conosce la realtà nella quale si deve operare, che ha la tempra della sua sostanza che la conosce attraverso studi disinteressati, “non adulterati da tendenziosità”, per usare l’espressione di Leo Valiani.
Mentre come è stato recentemente scritto, su un altro piano si colloca la classe senza una precisa identità del ceto medio, inteso come massa anonima e indifferenziata, animata solo da pulsioni individuali, istinti legittimi di miglioramento che possono però degenerare nella corsa spregiudicata al guadagno, all’accumulo e al “vincere facile”.
E allora, forse questa crisi economica con la conseguente caduta dell’etica pubblica può “funzionare” da reset. Il sistema deve essere riformato affinché questa eclissi non sia più visibile.
E per uscire finalmente dalla palude occorre sentire la voce di un vero “borghese” nell’alto esempio di Alcide De Gasperi e nel senso indicato da De Rita e Galdo: “impegnarsi a fondo. Mai impegnarsi a metà: quando si ha la convinzione e si è chiamati ad una certa responsabilità, allora non ci sono limiti, tutta la persona, tutte le fatiche, tutto lo spirito deve essere dedicato a quel lavoro” Per uscire dalla palude “direi che la forza risolutiva, quella che rivela in tutto il contenuto, il carattere della nostra gente, tutto l’organismo sociale del nostro Paese, è la tenacia, la costanza. Ma accanto alla tenacia formale sapete che c’è? C’è questo pensiero: io lavoro per il bene pubblico come lo intendo io, ma lavoro pure per uno scopo superiore agli interessi intesi come beni materiali, lavoro secondo certi principi fondamentali della coscienza”. Ecco perché occorre individuare, con ardore, attraverso una effettiva cultura del merito – prevista costituzionalmente e nelle norme di primo e secondo grado – individui effettivamente “borghesi”, non solo possessori a vario titolo di mezzi , ma soprattutto possessori di conoscenza e di decoro istituzionale che, possano legittimamente ricambiare l’attuale e fallimentare classe dirigente, scardinando posizioni precostiuite di “caste” o di elites chiuse che non consentono a coloro che non possiedono la password di entrare nel sistema per correggerne gli errori e cominciare a lavorare finalmente per il bene pubblico.
ANTONIO CAPITANO

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