Ogni anno, come ben noto, ci sono sempre forti aspettative di vedere premiato con il Nobel lo scrittore che universalente riconosciamo come meritevole dell’ambito premio e sono diversi anni, per quello che mi riguarda, di vedere sempre queste aspettative deluse. Intendiamoci, non ho nulla da dire circa Mo Yan. Il suo nome giaceva nell’elenco ristretto degli accademici svedesi da tempo e, se devo dirla tutta, lo conosco – in senso preofessionale – certamente meglio di di una semiscosciuta come Herta Muller: chi diavolo è costei?, o del poesta dello scorso anno, Transtromer, chi l’ha mai letto? Da dove diavolo viene fuori?
Non nascondo piccole soddisfazioni: Vargas LLosa è una di questa, come lo furono Doris Lessing o Coetzee a suo tempo.
Per dire che il mio amico Fabrizio Fides è andato in bianco anche quest’anno: lui tifa da un po’ per Murakami, io ho un solo nome in testa da molti, molti anni: Philip Roth. E sono andato in bianco pure io. Chi mi legge lo sa da sempre: non è una novità.
Con immutata costanza e meritorio lavoro, l’Einaudi continua imperterrita a pubblicare l’autore che avevo salutato con un addio solo qualche tempo fa in occasione dell’uscita di Goodbay Columbus. Molti lettori hanno dubitato di quel gesto ultimativo: avevano ragione. E’ assai difficile sottrarmi da questo esercizio di cronaca. Un ormai debole disappunto, però, rimane e qualche pugno sul tavolo l’ho dato anche quest’anno dalla rabbia. Lo so io, lo sapete anche voi.
Tuttavia, continua ad essere per me una sorpresa l’enorme bagaglio di libri che Roth ha messo, e mette, a disposizione dei suoi lettori. Compresa l’inaspettata la pubblicazione di “Quando lei era buona”, messo a disposizione, a beneficio di tutti, in libreria. Ed è una bella consolazione anche se qui si parla di un libro uscito nel ’67: prima, forse, che Roth diventasse Roth.
Per descrivere la vita del personaggio centrale del libro, Roth adotta la forma melodrammatica della vecchia famiglia del Midwest, dove il padre è il classico personaggio che abbiamo visto negli anni in TV: quello dell’uomo abbandonato davanti alla televisione con la bottiglia a portata di mano. Non è nuova questa immagine nei suoi libri; spesso nei suoi romanzi ci trovo questo strano miscuglio di osservazione dell’ambiente sociale in cui queste famiglie vivono e le loro vite disintegrate, dove le loro sfortune sono dovute al silenzio di Dio piuttosto che alla loro inadeguatezza di stare al mondo. Direi di più: Roth ha voluto resituire il vero volto di un’epoca e di un’area geografica del suo paese ai propri leggittimi proprietari quasi sbattendo loro in faccia la verità delle cose quasi che fosse una (sua) ribellione alla falsa immagine dello status quo che il suo paese vuol dare a bere.
Le donne di Roth, mi pare di capire, sono sempre maltrattate nei libri di Roth. E’, naturalmente, una convinzione di lettore; le ho sempre viste combattere con i loro problemi, le loro complesse identità, oppure, oggetto di desiderio da parte dei personaggi principali maschili. Non è questa un’esplicita accusa di misoginia ma, a leggere la vita abbastanza complicata di Lucy, la sola protagonista “femminile” dei libri di Roth fin qui letti, viene abbastanza facile confermarlo. E, a leggerla, mi viene da dire: inetta e malinconica. Eccovi servita la mia prima impressione di questo personaggio abbastanza triste.
Pensate a quando dev’essere stata dura avere un padre alcolizzato e in galera quando ci si aspetta che invece, quel padre ti difenda dallo stupro del mondo. Per non parlare della madre assolutamente incapace di fare il suo mestiere di madre. Ed è questo che la rende pericolosa: non è che si può redimere il mondo da soli. Peggio, è che a causa di questo, la protagonista, rende assolutamente improba qualsiasi relazione sentimentale con chiunque le si avvicini. Cosa che accade puntualmente, mettendo in fuga ogni approccio amoroso.
A parte Roy che sembra essere poco resistente all’educazione sentimentale di Lucy, non fosse altro per la sua difficoltà a trovare la sua strada nel mondo. E sarà questo il motivo per il quale Lucy cede alle lusinghe e alla sua rassicurante devozione rimanendone incinta.
Quello che dovrebbe rappresentare un punto fermo della vita di Lucy prepicipita a causa della sua paura di finire come la madre, moglie di un uomo egoista e debole, trascinando il suo matrimonio nel fallimento e la sua vita nella follia. Il libro è, come sempre, pieno di quella gustosa ironia dove gli attori sono burattini e ostaggio della penna del grande autore americano regalandoci le inquietudini di un’epoca, di una regione, e di una comunità di persone.
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per BookAvenue, Michele Genchi
Philip Roth
Quando lei era buona
Einaudi
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