Sono in cassa e squilla il telefono, la modulazione dello squillo suggerisce che si tratta di una telefonata interna. Mi aspetto un collega della libreria che mi chieda qualche delucidazione.
Invece no.
“Orario!” afferma una voce dall’altro capo del filo. Non è un collega della libreria; l’accento romano-pugliese e l’affermazione non lasciano alcun dubbio: Michele da Roma.
Mi ricorda che gli devo una recensione.
Ma poi non sono così sicuro di avergliela promessa, ma lui è convinto di sì e si fa prima a scrivere una recensione che distoglierlo dalle sue convinzioni.
Non è che io non voglia scrivere la recensione, ma non riesco nemmeno a scriverla a comando: se prendo un libro e lo leggo non è detto che io riesca a raccontare quel libro, anzi.
La recensione o l’esperienza di lettura, come ama dire Michele, nascono durante la lettura senza che io ci pensi. Mi nasce spontanea la necessità di parlare di quel libro e spesso questa necessità genera un incipit che riesce a dare a quel libro una giustificazione per la sua lettura.
Lo so, la possiamo definire una frase da fascetta, ma io odio fisicamente le fascette e i miei incipit, scusate la mancanza di modestia, sono decisamente migliori delle frasette stereotipate delle fascette.
Allora, io mi trovo in “debito” con Michele e leggo un libro che mi piace e trovo l’incipit giusto o quasi, bisogna solo affinarlo e trovare le giuste parole.
Faccio un esempio:
“La musica come esperienza mistica, lontana dalle deviate logiche dell’odierna industria discografica. La musica come genuino prodotto artigianale con il ritorno all’originaria esperienza dell’ascolto. È questa la morale del libro di Levi Henriksen, Norvegian blues, pubblicato da Iperborea.”
Ipotizziamo che questo incipit affinato possa andare bene, ma mi resta il problema che devo raccontare un po’ del libro e spiegare perché ho scritto quelle frasi. Allora comincio a cercare le frasi giuste buttandole alla rinfusa e cercando di dare loro un logica che nella mia testa è chiara, ma sulla carta mica tanto.
Ed ecco l’altro problema: se comincio a scrivere con carta e penna quelle frasi non arriveranno mai a Michele, come nel caso in esempio. E vi posso assicurare che il libro merita.
Niente, devo cominciare a scrivere direttamente a computer, al limite solo l’incipit sulla carta per fissarlo perché non sfugga. Ma devo ricopiarlo e poi cominciare a parlare e descrivere il libro in oggetto.
Fissare una prima versione e nei giorni seguenti limare quello che non va. E se non si tratta solo di limature vuol dire che quel testo non merita di andare oltre deve restare nel computer. L’ideale è quando sistemo tutto il testo nei minuti successivi, allora vuol dire che sono convinto e forse merita un po’ di attenzione.
Nel mio computer c’è una cartella piena di testi abbozzati e di buone intenzioni.
Ma a Michele non bastano le buone intenzioni.
Già deve accettare che i miei testi siano più brevi di quello che lui desidererebbe, ma fa buon gioco a cattiva sorte, insomma s’accontenta.
“Leggendo Turbine di Juli Zeh (Fazi) non puoi non trovarti coinvolto anche tu nelle vicende degli abitanti del paese di Unterleuten, come vi si trovano loro malgrado i personaggi del libro; siano essi nati nel paese o giunti da fuori. Un romanzo amaro, ma coinvolgente; una storia della letteratura lo definirebbe corale, ma di fatto è la storia di una sconfitta collettiva”
A questo punto dovrei raccontare del perché è coinvolgente, ma velo lascio scoprire leggendolo; in tal modo scoprirete una Germania diversa da quella che ci sentiamo raccontare di solito.
Bene, per tenere buono Michele e il suo “orario!” nella suddetta telefonata gli ho proposto di scrivere un pezzo sul perché non scrivo. Lui ha riso, ma io ero serio.
per BookAvenue, Davide Zotto