La storia dei neri americani non può essere cancellata

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Il 25 Maggio del 2020 a Minneapolis venne ucciso dalla polizia George Floyd.
La morte seguì al suo arresto da parte di quattro agenti di polizia intervenuti in seguito alla chiamata di un negoziante correlata ad un overdose di droga. Il filmato dell’arresto, in cui l’agente di polizia Derek Chauvin tiene immobilizzato Floyd premendogli per nove minuti il ginocchio sul collo, soffocandolo, ebbe vasta diffusione nei media internazionali e portò a molte manifestazioni di protesta contro l’abuso di potere da parte della polizia, accusata anche di comportamenti razzisti.


Il 27 marzo scorso, il presidente Donald Trump ha emesso un ordine esecutivo intitolato “Restoring Truth and Sanity to American History”. L’ordine, che prende di mira quella che il presidente ha definito “ideologia antiamericana”, descrive lo “sforzo concertato e diffuso per riscrivere la storia della nazione, sostituendo i fatti oggettivi con una narrazione distorta guidata dall’ideologia piuttosto che dalla verità”. L’intero ordine, che può essere consultato al Federal Register: Restoring Truth and Sanity to American History , prende di mira specificamente programmi e politiche dello Smithsonian Institution e dello Smithsonian National Museum of African American History and Culture (NMAAHC) e ha spaventato molti studiosi e sostenitori della storia afroamericana, presumendo che facesse parte di un più ampio sforzo nazionale per “cancellare” la storia nera dalla sfera pubblica.

Pur non dubitando che questo sia l’intento di questo ordine esecutivo, soprattutto se abbinato a precedenti ordinanze che prevedevano l’eliminazione dei programmi di Diversità, Equità e Inclusione (DEI) dalle agenzie del governo federale, si prevede che fallirà come tutte le singolari decisioni prese in fatto di diritti ed economia tanto da valere al presidente l’inglorioso titolo di TACO (l’acronimo di Trump Always Chickens Out) tradotto: Trump torna sempre indietro.
Per dire che ci sarà sempre un giudice federale a fermarlo.
I tentativi di propagandare la storia americana, che provengano dalla destra o dalla sinistra, per promuovere un programma specifico, finiscono per naufragare sotto il peso delle proprie contraddizioni. Questo non significa, tuttavia, che questi tentativi non abbiano un impatto spesso agghiacciante su coloro che credono di essere presi di mira.

La storia nera non verrà cancellata proprio perché la società americana non è irrimediabilmente razzista e irrimediabilmente imperfetta. Anzi, dimostra, esempio dopo esempio, esattamente il contrario: una volta che l’ingiustizia viene denunciata, gran parte della società americana si ribella. Non c’è bisogno di andare molto indietro nel tempo per un esempio. L’impegno per la Diversità, l’Equità e l’Inclusione è stato promosso dalle proteste in risposta all’omicidio di George Floyd a Minneapolis il Memorial Day 2020. Secondo stime prudenti, queste proteste hanno coinvolto oltre 26 milioni di americani in 2.000 città e paesi in ogni stato degli Stati Uniti, rendendole le proteste più diffuse su un singolo tema nella storia della nazione. Anziché far parte di un movimento per promuovere una “ideologia divisiva incentrata sulla razza”, gli sforzi per la DEI sono stati spesso frettolosamente ampliati da coloro che cercavano di “fare qualcosa” per espiare la tragica e inutile morte di George Floyd.

Oppure si può tornare alla fondazione degli Stati Uniti nel 1776 e al più grande dibattito che divise le colonie in quel periodo, la questione della schiavitù. I Padri Fondatori “rinviarono” la questione con una serie di compromessi che alla fine portarono alla Guerra Civile. Durante quegli 86 anni, abolizionisti neri e bianchi, uomini e donne, costruirono una convincente argomentazione contro la schiavitù, che fu infine abbracciata dall’amministrazione di Abramo Lincoln. Nel suo secondo discorso inaugurale, dove viene spesso citato il suo “fasciare le ferite della nazione”, disse anche: “Se Dio vuole che… ogni goccia di sangue versata con la frusta sia pagata da un’altra versata con la spada…”

Alcuni personaggi dell’attuale amministrazione americana, non sembrano inorriditi dalla violenza, spesso brutale e insensata, inflitta agli afroamericani durante la schiavitù e continuata e spesso intensificatasi nell’era di Jim Crow (che non è una persona ma una locuzione che definisce dal 1877 a oggi leggi di carattere razziale all’interno dello stato americano)che di fatto servirono a creare e mantenere la segregazione razziale in tutti i servizi pubblici, istituendo uno status definito di “separati ma uguali” per i neri americani e per gli appartenenti a gruppi razziali diversi dai bianchi. Quella violenza della storia insegnata nelle scuole pubbliche e private e che l’attuale ministro dell’istruzione intende eliminare dai programmi: quella Linda McMahon che si è fatta fotografare su un ring wrestler con un tizio tutto muscoli, sport che ha guidato per anni non diversamente dalla ministra dell’homeland security, Kristi Noemi, davanti le gabbie con dentro centinaia di immigrati.
Il che ricorda moltissimo il nostro ministro Valditara e i manuali di storia proibiti da eliminare dalle scuole pubbliche.

Questo genere di cose influenza il dibattito pubblico e marginalizza la storia. Alcuni genitori di Nashville, per fare un esempio, si oppongono alla discussione sull’integrazione scolastica negli anni ’60 perché sconvolge i loro figli. Il compromesso in questo caso dovrebbe essere quello di discussioni appropriate all’età ma, in tutto evidenza, non si può semplicemente cancellare eventi dolorosi perché si ritiene che abbiano turbato i loro figli. Né si può scegliere l’evento appropriato da discutere perché si adatta alla narrativa del governo. La tendenza a secolarizzare gli eventi colpisce più di altri i neri. Possiamo, ad esempio, discutere degli eroici sacrifici di oltre un milione di donne e uomini neri che prestarono servizio nelle forze armate durante la Seconda Guerra Mondiale, ignorando il razzismo che subirono al loro ritorno alla vita civile?

Mentre gli echi del massacro di Tulsa in Oklahoma del 1921 continuano a risuonare in quella città, è in corso un dibattito sull’opportunità e le modalità di riconoscere ai familiari delle vittime sopravvissute o di risarcirle per la loro perdita. La violenza in sé, tuttavia, non incontrò mai la rassegnazione della comunità nera locale. Buck Franklin (padre dell’eminente storico John Hope Frankin) e i suoi soci avevano aperto uno studio legale per lottare per ottenere giustizia per le vittime. Quando a un sopravvissuto fu offerto del denaro per lasciare Tulsa per il Nord, la sua risposta fu di un netto rifiuto.L’intera comunità nera iniziò (senza aiuti governativi o privati) a ricostruirsi, così che nel giro di un decennio, il Black Wall Street che la violenza bianca pensava di aver distrutto era tornata. La storia di Tulsa è una storia di morte e distruzione ma anche un simbolo di resilienza e rinascita.

Il grande esempio di trasformazione sociale fu il Movimento per i Diritti Civili degli anni ’60. Le politiche razziste durate secoli, non solo nel Sud ma in tutta la nazione, hanno dato origine a questo movimento. Nè si possono dimenticare coloro che persero la vita in quello sforzo, tra cui Martin Luther King , assassinato nell’aprile del 1968. Sarebbe ingenuo, tuttavia, ignorare il Civil Rights Act del 1964, il Voting Rights Act del 1965 o il Fair Housing Act del 1968, che hanno distrutto le fondamenta del razzismo palese negli Stati Uniti.

La storia dei neri è una storia di colonialità. La storia nera è intrecciata con la storia americana. È questa storia di coraggio, lotta, avversità e successi, spesso di fronte a probabilità schiaccianti, che è al centro dell’identità americana contemporanea. Oggi è impossibile raccontare la storia americana senza includere la storia degli afroamericani. Questo approccio è stato già sperimentato, per tutto il XIX secolo e persino fino alla metà del XX secolo. In quel periodo, un piccolo numero di storici, donne e uomini bianchi e neri, si oppose e scelse di dire la verità, spesso a rischio professionale e personale, contro un gruppo molto più ampio di storici che scelse di ignorare o denigrare la storia nera.
Il loro numero è cresciuto nel corso dei decenni e ha continuato a crescere fino al XXI secolo. Gli studiosi della decolonialità sono inpegnati alla decostruzione del pensiero coloniale, una pratica che ha sostituito i saperi nativi con quelli imposti dall’occidente coloniale, sopravvisuto al colonialismo storico.

La propaganda, a prescindere dal suo obiettivo, non eclissa mai la storia reale e fattuale. Si sa che i precedenti tentativi di cancellazione sono falliti. Sappiamo anche che, con istituzioni come la NMAAHC, organizzazioni come l’ Associazione per lo Studio della Vita e della Storia Afroamericana (ASALH), che ha 110 anni, la BlackPast.org, quest’ultima con una vera enciclopedia di 10.000 voci sulla storia afroamericana, e gli sforzi di migliaia di organizzazioni da Anchorage, in Alaska, a Miami, in Florida, che lavorano diligentemente per preservare la storia nera, fanno ben sperare che anche questo tentativo fallirà. Si rimprovera a sinistra la cultura Woke ma l’ideologia liberticida della nuova amministrazione americana, a prescindere dal suo intento, non potrà mai cancellare la verità.

per BookAvenue, Michele Genchi

fonti:
– Sulle leggi Jim Crow, Blackpast.org,
– Sul massacro di Tulsa del 1921, Blackpast.org,
– A proposito dell’Ideologia antiamericana promossa da Donald Trump: Federal register (leggi USA),
– Il contributo di Leonard Pitts: Remember What They Told You To Forget: The Campaign To Erase Black History,
– Sull’idiosincrasia del ministro Valditara sui manuali di storia, ANGENPARL L’Agenzia di Stampa Parlamentare
– Sul pensiero decoloniale va obbligatoriamente citato il sudamericano Anibal Quijano, padre degli studi sulla Coloniatità che ha raccolto tra le fila studiosi come Walter Mignolo e Catherine Walsh e promosso gli studi in tutto il mondo.


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