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𝐋𝐀 𝐒𝐄𝐓𝐓𝐀 𝐧𝐞𝐥 𝐩𝐫𝐢𝐯𝐚𝐭𝐨, 𝐧𝐞𝐥 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐥𝐞 𝐞 𝐢𝐧 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐚: “𝐜𝐮𝐥𝐭𝐨” 𝐞 “𝐭𝐨𝐭𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚𝐫𝐢𝐬𝐦𝐨” 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐢𝐥𝐢 𝐝𝐢 𝐫𝐞𝐥𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞?

L’estate scorsa ho scoperto un gruppo di accademici, psicologi e sociologi anglo-americani che mi hanno entusiasmato. Sono tutti ex-estremisti, ex-vittime di relazioni private di abuso psicologico, ex-appartenenti a sette o ex-reduci di sistemi totalitari. Ne ho letto le pagine web ammirata, seguendo i memoir di reduci e guardando video: sarebbe bello tradurli in italiano.

Il loro oggetto di studio è il “culto”, un tipo di struttura relazionale che secondo loro si presenta simile nel privato, nel pubblico e a tutti i livelli intermedi della società (scuola, azienda, comunità, ecc). Nel privato usiamo il termine “abuso” ma, quando il “culto” diventa un sistema politico, si può parlare di “totalitarismo”. Nel mezzo, lo accettiamo tutti i giorni in una miriade di contesti, poiché non sappiamo riconoscerlo. Questa cultura del potere, spiega il gruppo di studiosi, è imprescindibile, luminosa e affascinante: è utile soprattutto per le donne, ma aiuta tutti a aiuta a riconoscere e comprendere quel fenomeno detto “manipolazione mentale” o “lavaggio del cervello”.

Questa è l’opera della psicologa sociale Alexandra Stein. Per chi come me ha anche solo un’infarinatura di neuroscienze, già il titolo – TERRORE, AMORE E LAVAGGIO DEL CERVELLO – sintetizza la dinamica e l’effetto che una “dittatura” (privata o pubblica) ha sul cervello umano: qui, la sintesi estrema rivela infatti l’alternanza tra amore e paura, mix letale di neurotrasmettitori di cui vediamo gli effetti negli abusi familiari.

Alexandra Stein parte da Hannah Arendt, ma integra il suo lavoro con la moderna neuropsicologia, concentrandosi su un paradigma affascinante: l’attaccamento. Lo psicologo inglese Bowlby definì l’attaccamento come il seme di ogni legame duraturo, una bussola che serve a guidarci verso “protezione e appartenenza”, un bisogno che travalica anche nutrimento e sessualità. Proprio l’ineluttabilità dell’attaccamento sarebbe il lato oscuro, secondo Stein, che ci porta a compiere scelte anche contro il nostro benessere, e persino ad abbracciare regimi totalitari.

Per il gruppo americano, la visione secondo cui saremmo programmati per proteggere la nostra sopravvivenza e quella di chi amiamo non troverebbe riscontro “lineare” nella biologia. Sembriamo piuttosto disegnati affinché, nelle giuste “circostanze”, possiamo essere manipolati fino al compimento di gesti contrari alla nostra sopravvivenza. L’analisi di queste circostanze ci porta però a spostare responsabilità da individuo a contesto, quindi ad abbandonare il disdegno dell’estremista come “altro da noi” e a lavorare in termini di giustizia sociale.

Il libro analizza il “culto”, la struttura relazionale che serve al controllo – coppia, famiglia, scuola, azienda, partito politico, ideologia, stato o intero popolo – e come questo agisce sul cervello umano. Il culto si riconosce per “una leadership che sfrutta una o più persone, detenendo un set di visioni assolute”. L’elemento chiave è la generazione del “trauma”: la sregolazione del funzionamento unitario del sistema nervoso e del cervello. Per il gruppo americano, si tratta di una struttura di parole/azioni/significati/contesto che serve a dis-abilitare cognitivamente, penetrando le parti tenere dell’identità e installandosi là dove il sistema nervoso elabora il problema della sopravvivenza tramite la scelta di gruppi umani: l’attaccamento.

(Da tempo mi soffermo su questo punto: la dis-abilitazione della persona. Sento sempre commenti del tipo “Perché non è fuggita?” e ho la sensazione che manchi una cultura sulla manipolazione mentale).

Gli studiosi anglo-americani affrontano la selva di culti offerta dal panorama internazionale e si soffermano su contesti grandi e piccoli: nazismo, comunismo, estremismo islamico, ma anche piccole e grandi sette spirituali. Illuminante è l’analisi del ruolo della donna e della riproduzione (di riflesso, anche delle pluralità di genere) e il controllo che il sesso esercita sia tramite l’inibizione che l’esortazione al sesso. Si affronta anche l’uso della lingua e la sistematica demolizione dell’identità, ma ciò che sconvolge è che tutto questo ci riguarda quotidianamente: non è “altro da noi”.

Ci sono pagine bellissime che, nel mio percorso personale, mi aiutano a riposizionarmi di continuo e a far mio l’assunto che il pregiudizio cognitivo è parte integrante della prospettiva e dello sguardo, e che la creazione di reti di attaccamento alternative – pacifiche – forse deve passare proprio per la cultura del potere.

Mi ha incantato il lavoro di Janja Lalich che, attualmente, è una delle voci più autorevoli in fatto di lavaggio del cervello. Commovente il suo lavoro con le donne sopravvissute a culti e gli inaspettati memoir che troverete sui siti.

Silvia Belcastro

Per spulciare sul web:

Janja Lalich, TED in italiano (4 min.) sul perché le persone si uniscono a culti e ideologie estreme https://www.ted.com/talks/janja_lalich_why_do_people_join_cults

Janja Lalich: sito con articoli e risorse sulle basi della struttura del culto https://janjalalich.com/blog/

Alexandra Stein, sito “capire i gruppi estremisti”: qui ci sono ancora le basi dei culti e molti articoli della Stein, tra cui uno dedicato al perché i culti sono peggiori per le donne. Bellissima la presentazione video del suo lavoro Love, Terror and Brainwashing. https://www.alexandrastein.com/ (disponibile in fondo alla pagina)


il libro:

Alexandra Stein,
Terror, Love, Brainwashing: Attachment in Cult and Totalitarism System,
Routledge pbs. pp.302


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