Tempo di lettura: 8 minuti

Devo confessare che le mie letture non si erano ancora spinte fino alla letteratura per ragazzi e, quando mi hanno passato un libro per adolescenti, si è aperto un mondo che avevo erroneamente ignorato perché lo credevo molto lontano da me per via dell’età: ora alterno spesso questo genere di letture a quelle per grandi e sono fonte di meravigliosi ripensamenti emotivi post lettura.

Parlo di  “Ogni giorno” di David Levithan. L’ho trovato distopico, affascinante, coinvolgente, originale, e ve ne voglio parlare indipendentemente dal fatto che non sia un libro recente, dato che è stato pubblicato nel lontano 2016.

David Levithan, classe 1972, scrittore americano già vincitore di numerosi premi, tesse con la delicatezza di un merletto questa storia avvincente e sorprendente: A., è un’entità non meglio definita, forse un’anima, e ogni giorno, da quando è nato, si sveglia in un corpo diverso. Maschio o femmina che sia, l’unica cosa che accomuna tutti i suoi risvegli, è l’età del corpo che lo ospita coincide con la sua: 5994 giorni, ovvero sedici anni e qualche giorno.

A. cerca di non interferire con l’identità del corpo che occupa, proprio per non modificare l’esistenza del ragazzo o della ragazza di turno; sente se stesso, ma può “accedere” ai ricordi e ai sentimenti dell’ospite e coglie frammenti se non altro per ricordarsi i nomi dei familiari e degli amici, per arrivare a scuola, e per tornare a casa.

Vive il presente. È difficile vivere senza poter creare legami duraturi e poter mai decidere sulla vita degli altri per non interferire. Si definisce un vagabondo; ci racconta che deve lasciare che la giornata scivoli via senza che lasci tracce di sé. Ogni volta, però, c’è una cosa che porta via: copia la loro conoscenza. Dice: “Imparo. Capita che m’insegnino qualcosa che mi è già stato insegnato dozzine di altre volte, ma capita anche che m’insegnino qualcosa di nuovo. Accedo a un corpo, a una mente, scopro quali informazioni vi sono custodite, e quando lo faccio, imparo. La conoscenza è l’unica cosa che trattengo quando vado via”.

Un giorno, tuttavia, accade.  A. abita un ragazzo di nome Justin e si innamora della sua ragazza. E le cose cambiano.

La storia parte proprio da qui. Come sempre, preferisco lasciarvi il piacere di farvi coinvolgere dalla vita di A. e da questa storia avvincente e delicata senza aggiungere altro sulla trama.

Quello che faccio, invece, è porre l’accento su un valore tra l’altri, di cui è ricco il racconto.

L’empatia è una caratteristica che A. deve sviluppare per immedesimarsi subito con la persona che lo ospita e con gli estranei con i quali interagirà quel giorno di vita e per non parlare poi del doversi adattare ogni giorno ad un corpo diverso, più o meno grasso o magro,  sano o malato, femminile o maschile.

Rifletto sul fatto che l’empatia è quella caratteristica che ci pone immediatamente in relazione con lo stato d’animo di un’altra persona: è un dono prezioso di tutti e i particolare di persone che comunemente  sono definite sensibili e spesso vissuto come  un limite invece che un super -potere, se non la si sa usare bene.

Davvero. Considero l’empatia un vero e proprio superpotere. Da una parte, la disponibilità di darsi all’altro, di comunicare a braccia aperte; dall’altra, capita invece di osservare la paura di possederlo: una palla al piede più che una corazza capace, all’occorrenza, di disarticolare gli assalti di chi fraintende.

Avere questa sensibilità nella propria cassetta degli attrezzi è un dono del Cielo, una magia da usare a nostro vantaggio; come la pelle che usa il tatto per leggere il mondo. Nello stesso modo con cui la ragione utilizza i solleciti dai 5 sensi, l’empatia utilizza l’emozione -un super senso che non usiamo quasi mai in modo consapevole- per capire cosa succede intorno a noi.

Saper leggere il corpo degli altri, riconoscere cosa provi chi ci sta davanti: se è triste, o felice, ferito o no, può fare la differenza e disinnescare, a nuovo esempio, l’ennesima discussione in ufficio e far nascere una nuova collaborazione più proficua. Come di un incontro su un ring, può mandare metaforicamente a gambe per aria anche la persona più muscolosa con un unico dolce tocco. Saper usare la propria dose di empatia con chiunque si abbia di fronte, permette di toccare le sue corde invisibili che lo rendono vulnerabile nella giusta misura ed in grado di entrare in relazione cercando il bene comune. Vinciamo entrambi perché abbiamo creato una soluzione comunicativa che soddisfa entrambi. Fantascienza? No, empatia applicata: provare per credere.

A. deve concentrarsi sul presente, perché è l’unico momento che gli è concesso abitando ogni giorno la vita di uno sconosciuto, invece di pensare il passato o sognare un futuro improbabile. Il passato e il futuro sono complicati, suggerisce A.: il presente è semplice.

Un grande insegnamento per noi che abbiamo sempre pensieri rivolti a un futuro pieno d’ombre e paure e riviviamo continuamente il passato senza lasciarlo andare. Eppure, tutto muta, si trasforma; anche il dolore cambia a seconda di come lo si guardi. Proprio come l’acqua, assume la forma del recipiente che la contiene, così il dolore assume la forma dell’anima che lo ospita. Dalle pagine di questo libro, A. ci invita a stare qui, nel presente: riconoscere la nostra possibilità più grande.

Ecco, questo è A.

“Ogni giorno” è un libro che ogni adolescente dovrebbe leggere e ogni adulto che è stato tale dovrebbe aver già letto.

Anch’io, chiudendo questo libro, come A. ho trattenuto con me la sua coscienza; il suo modo di vedere la vita. Lascio che siano le sue parole a spiegarcelo: “Ognuno di noi è un’opportunità; i romantici disperati lo percepiscono con maggior precisione, ma anche gli altri alla fine devono arrendersi al fatto che l’unico modo di cavarsela in questa vita è vedere ogni persona come un’opportunità. Il suo modo di essere si basa su ciò che più conta per me: cortesia, creatività, partecipazione nel mondo; un senso del dovere nei confronti delle opportunità che gli stanno attorno. Non ho molto tempo prima di andarmene da questo corpo, l’orologio non la smette di ticchettare. A volte non lo si sente, altre invece lo si sente eccome”.

Per BookAvenue, Marina Andruccioli

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ps. Mi ha fatto da colonna sonora, mentre scrivevo, la canzone “E’ delicato” di Zucchero

Il libro

David, Levithan,
Ogni Giorno,
Rizzoli editore,
2016 – pp.374

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