Alcuni giorni fa una nostra (e per nostra intendo mia e di Michele) ex collega, fortunatamente per lei pensionata, è passata in libreria con un’idea precisa. Per la verità due erano le idee; una delle quali, dopo breve conciliabolo, stroncata dall’esegesi della quarta di copertina, abstract secondo la definizione dei bibliografi.
Invece sulla fiducia ha acquistato, per farne dono, Piero fa la Merica di Paolo Malaguti. Il libro è stato pubblicato il giorno prima e la fiducia è riposta sull’autore e su i suoi precedenti libri. Io l’avevo appena iniziato, poche pagine, e non mi sentivo di dare un giudizio, anche se dentro di me l’inizio l’avrei definito acerbo. (Sì, acerbo: ognuno lo interpreti a suo modo).
Passati alcuni giorni ho finito il libro e con l’intento di tranquillizzare la mia ex collega sulla scelta del libro le ho scritto: “Ho finito Malaguti. Non mi è dispiaciuto. La seconda parte migliore. Perplessità sull’ultimo capitolo.”
La sua risposta è stata: “Grazie per la recensione.” Recensione? E subito ho cominciato a pensare che avrei dovuto almeno aggiungere: finale sorprendente, ma anche forse usare un altro lessico. Io non volevo recensire, volevo solo tranquillizzare sulla scelta del libro, a mio parere, valido/a (il libro/la scelta).
E se mandassi questa recensione a Michele? Lui che mi accusa di avere il blocco dello scrivano.
Nota bene: non posso avere quello dello scrittore, perché tale non sono. A Michele non andrebbe bene, troppo sintetica, già mi accusò in passato di eccessiva brevità, e ogni volta che tagliavo una frase cercavo di aggiungere altrove per farlo contento.
Ah, la dura vita dello scrivano!
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Per BookAvenue, Davide Zotto
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ll Libro
Paolo Malaguti,
Piero fa la Merica,
pp. 208, Einaudi
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