“Una volta che avremo imparato a dominare il prolungamento della vita e ci saremo avvicinati alla possibilità di diventare eternamente rinnovabili, cosa sarà delle nostre energie, delle nostre aspirazioni?”
Se non lo avete ancora comprato, fatelo. Vi informo che quello che avrete nelle mani, è il più importante libro del più grande scrittore vivente. Come si fa, del resto, a non definire Zero K il romanzo di un’epoca, forse il romanzo più importante, la pietra d’angolo, della nostra epoca? DeLillo è l’autore che più ha interrogato le forme e il contenuto del nostro tempo; è grazie al suo lavoro, senza dimenticare Roth, Pynchon, McCarthy e Wolfe, che si può parlare di romanzo panoramico, che esplora, cioè, quello che il mondo racconta con la sua epica.
Qui De Lillo rompe i canoni della narrativa così come la conosciamo, trasformando il testo in qualcosa che va oltre una durata misurabile, di un tempo definito da un inizio e una fine. E’ come se le duecentotrenta pagine del libro sommassero tutta la produzione visionaria di questo grande scrittore: da Americana fino agli indimenticabili Underworld, L’uomo che cade e via via tutti gli altri. Cerco di spiegare come Zero K sia paragonabile (sottintendendo un per me) a 1984 per il solco che traccia tra un prima e dopo della letteratura degli ultimi anni (penso da Underworld e Pastorale Americana in poi) e di come quest’opera vada oltre anche l’Autore stesso, consegnando il libro direttamente dalle sue mani alla storia della letteratura contemporanea. Con la stessa potenza del libro di Orwell, e lo scossone alle coscienze d’intere generazioni che ha prodotto e ancora produce, la capacità visionaria di Zero K catapulta il lettore in un romanzo metafisico pieno zeppo d’interrogativi filosofici che chiedono all’intera comunità umana sul suo orizzonte etico e forse anche del suo destino.
DeLillo ha provato, riuscendoci, a esplorare il tema dell’estensione della vita raccontando la sfida colossale contro l’appuntamento che ci attende: quello con la nostra sorte. Che cosa significa vivere e cosa, invece, morire? Cosa resterà di ognuno? Davvero la medicina e la tecnologia potranno spostare all’infinito quel giorno?
Ross Lockhart è un milionario sposato con Artis Martineau, una donna più giovane, un’archeologa che, gravemente malata, sta per morire. Ross è il principale finanziatore di una clinica segreta, Convergence, dove la morte è controllata e i corpi sono ibernati nell’attesa che la scienza scopra il modo di guarirli in futuro. Lui stesso decide di sottoporsi alla criogenesi, forse per nuove ragioni da quelle di non separarsi dalla sua compagna. Il libro è narrato in prima persona da Jeffrey Lockhart, suo figlio, un trentaquattrenne che vive senza beneficiare del benessere della propria famiglia e sempre accompagnato da un sentimento d’inadeguatezza nella geografia del mondo causa la quale, vive in un perenne stato di crisi d’individualità.
Zero K (lo zero assoluto: zero gradi Kelvin e -273 Celsius) è la sezione della clinica che ospita i pazienti che si fanno congelare prima di morire naturalmente – come nel caso di Artis e Ross. Tutto ciò ha delle inevitabili ricadute su questioni filosofiche sul tempo e l’umanità, molte delle quali sono evocate dai diversi guru di Convergence. L’esplorazione di Don DeLillo si muove, però, di là dalla trama criogenica. Che cosa succede al concetto di continuità, cosa sono il passato, il presente, il futuro nel tubo crionico? Si può ancora definire un essere umano un individuo privato del suo tempo?
Abbiamo la presunzione dell’eternità, senza esserlo, ma siamo merce avariata destinata a scadere. E’ proprio questa scadenza che fa di noi degli esseri umani e sta nella consuetudine dei nostri gesti quotidiani che l’amore si nutre. Non vi pare una ragione di per sé sufficiente per godersela?
Il romanzo è come tagliato in due da un passaggio straordinario: l’attaccamento alla vita, a tutte le vite, raccontata da Artis con una potenza evocativa che richiama le immagini della scena finale di Blade runner: “ne ho viste di cose…”. E mentre riavvolgo il film al pensiero della disperazione del replicante a corto di vita, mi rendo conto, ci rendiamo conto, che esiste un inferno morale al pensiero del cervello conservato, “in contatto solo con se stesso” come afferma un monaco di Convergence a un certo punto.
E’ questa idea della coscienza congelata, chiusa in se stessa, privata della propria sensibilità, che svela il nodo di tutto il libro e che offre, a chi lo leggerà, un tocco alle corde più sensibili fino a farle vibrare per la nostalgia della vita che provoca. Tuttavia, proprio questo nodo offre anche una soluzione: quella di accettare la nostra fine. La morte, in fondo, ci offre il gesto gentile di liberarci dalle nostre vite ricordandoci che proprio perché muoiono siamo umani e non replicanti.
Per BookAvenue, Michele Genchi
[…] ambisce al classico, lo mette al pari dei grandi romanzi che hanno saputo guardare avanti come: Zero K di De Lillo, il bellissimo l’Uomo bicentenario di Asimov e Gli androidi sognano pecore […]