Penso che Roth si fosse semplicemente inc…zato di brutto. A tal punto, che si sedette alla scrivania e scrisse di getto Our Gang.
Siamo nel 71 e l’America non se la passa benissimo. La guerra in Vietnam rispetto le bonarie e sbrigative dichiarazioni che la davano breve, poco costosa e solo con qualche danno collaterale, si era già trasformata nella tragedia che quelli della mia generazione conoscono bene.>>
Il movimento dei neri d’America era molto più inc..zato di Roth; le rivendicazioni, le marce per la fine della guerra, i diritti e tutto l’armamentario della società civile in rivolta di quegli anni; disordini, si ricorderà, erano dappertutto. Richard Nixon sembrava vivere su un’altro pianeta; in Aprile, fece una dichiarazione a proposito della sacralità della vita umana, compresa quella dei non ancora nati, in evidente contraddizione con quanto stava accadendo sotto gli occhi del mondo dall’altra parte dell’oceano con quella guerra assurda e con un caso di crimine di guerra con cui fare i conti.
Ma, andiamo con ordine.
Nel racconto, la dichiarazione è in epigrafe al dialogo che segue nel racconto: Trickly rassicura un cittadino preoccupato.
Non è tanto di aver concesso la clemenza al Ten. William Calley per aver ammazzato civili vietnamiti inermi e disarmati a My Lay, un posto che non si trova neanche oggi sulle mappe, quanto, aver dichiarato la sua: “…convinzione personale della santità della vita umana, compresa quella di chi non è ancora nato perché, sicuramente, anche i non nati hanno diritti, riconosciuti dalla legge riconosciuti altresì dai principi enunciati dalle Nazioni Unite“.
Nella scena, c’è questo dialogo che, da solo, vale tutto il libro tra il cittadino e il Presidente Tricky Dixon: “…Sono seriamente turbato dalla possibilità che il tenente Calley potrebbe aver commesso un aborto”. […] Uno dei civili vietnamiti, che il militare ha ucciso, potrebbe essere una donna incinta. Il cittadino è turbato non tanto dell’ammazzatina, quanto della morte del feto in evidente contrasto con quanto dichiarato dal comandante in capo solo qualche tempo prima.
Tutto il libro è raccontato in forma di dialogo (e in alcuni casi, di monologo). Ridicolizzare e far emergere le contraddizioni di Nixon, sembra essere l’esercizio intellettuale dell’intero libro. Roth, contesta la decisione di Nixon di intervenire a favore del criminale di guerra William Calley, dopo che un giornalista aveva rivelato lo stato di gravidanza di una delle vittime. Per la verità Nixon fu a lungo contestato dall’intera comunità intellettuale americana e non solo, per questo.
A conti fatti, la ricchezza del libro sta nelle domande che la lettura impone ci sono e ce ne sarebbero, semmai, anche altre: quante centinaia di William Calley sono esistite negli ultimi quarant’anni? Come si fa a vivere un’epoca intera piena di questi scandali? Quanti crimini di guerra ci sono stati e ignorati in Iraq o in Afghanistan? O, per parlare di tempi verosimilmente più vicini a noi, se ha fatto più impressione il caso della stagista di Clinton o l’aver mandato i (suoi) bombardieri a fare la guerra in Jugoslavia – e noi con loro – al fine di fermare il genocidio di popolazioni civili ammazzandone, però, altre. Il libro, in questo, aiuta a conoscere il presidente Nixon e a riderne ad alta voce di esso ma a prendersi la faccia tra le mani dallo sgomento del resto.
Non sarebbe un esercizio più necessario, per quanto ancora oggi, il giornalismo utilizza la retorica dell’opportunismo politico con la satira. Perchè, diciamolo: la poltica così com’è fa’ veramente schifo oggi come allora, a tal punto, che non si sà se è meglio piangerne o riderne; la constatazione di un marcio irrimediabile, dell’insopportabilità della società in cui si è costretti, delle sue ipocrisie, della sua radicale ingiustizia e intima violenza (mi si scusi la disgressione che poco ha a che fare con l’oggetto del libro ma i cui temi sono aderenti: ci sarà un giorno, un giudice disposto a dire che alla Diaz di Genova durande i fatti del G8 di ben 15anni fa, fu una barbarie?, o dobbiamo ancora menare il torrone della risposta necessaria alle violenze di gruppi sediziosi in armi contro i “poveri poliziotti” colpevoli di fare il loro miserabile lavoro? Ma che razza di paese è il nostro?).
Oggi, forse, abbiamo meno passione civile di allora, sufficiente da far saltare questo indegno sistema. Questo è, secondo me, scritto dentro le pagine del libro: quelle che non si vedono; ciò nonostante, Our Gang è probabilmente uno dei libri più sottovalutati, a torto, di tutta la bibliografia di Roth; un gioco di finta satira politica che è pure una finestra su quello che Roth sarebbe diventato con la sua straordinaria carriera.
Oggi sembrerebbe un lavoro di routine – mi si passi il termine forse inopportuno per definire un certo modo di insultare la politica – ma negli anni sessanta doveva essere addirittura esilarante. E a vederla con il senno e gli occhi di poi, il povero Richard Nixon non sembra essere altri che un moderato. E noi, certi moderati, abbiamo imparato a conoscerli bene.
Il libro non si ferma solo a William Calley. In un crescendo di tono e di esasperazione del personaggio, si assiste, tra l’altri, ad una paradossale rivolta di boy scout soffocata nel sangue, all’invasione della Danimarca e ad un intera agenda di malefatte fino alla discesa all’inferno di D(N)ixon e il tentativo si prendere il posto di Satana sullo scranno più alto, anzi più basso di quel posto.
Roth è incredibilmente bravo a imitare il vocabolario di Nixon ma anche a gettare un occhio sulla stupidità dei media moderni (di allora) aiutando chi legge a interpretare quelli di oggi.
per BookAvenue, Michele Genchi
ps. A proposito di moderati di casa nostra. Sono gli stessi, che da questa parte dell’oceano governavano i giorni del G8 citato prima. Uno sta scontando i servizi sociali per bancarotta dopo essersi venduto la reputazione nei bunga-bunga, l’altro (cacciato dal primo dal suo partito personale) fà il commentatore politico – essendo stato non rieletto – con soldi della collettività. Ad entrambi ci si è dimenticati di chiedere dov’erano mentre si compiva la mattanza.
nota (da Wiki):
Calley fu rimpatriato il 5 settembre 1969 dal Vietnam dove era in servizio e obbligato a giustificare il suo cruento ordine di sterminio di 347 persone innocenti, tra donne, bambini ed anziani, oltre alla morte di alcuni soldati statunitensi. Il processo a Calley cominciò il 17 novembre 1970. Dopo aver deliberato per 79 ore, la giuria lo condannò, il 29 marzo 1971, per omicidio premeditato. Calley, durante il processo, affermò che stava eseguendo gli ordini ricevuti dai suoi superiori, come il Capitano Ernest Medina. Medina fu assolto da tutte le accuse relative all’incidente. Il 31 marzo 1971, Calley fu condannato all’ergastolo mediante lavoro forzato. Tutti i 26 ufficiali e soldati accusati di complicità con Calley furono risparmiati dalla legge. Calley fu considerato da alcuni un capro espiatorio usato dall’esercito statunitense.
Il 1º aprile 1971, il giorno dopo la sua condanna, Calley ricevette un atto di indulgenza da parte del Presidente Richard Nixon, che ordinò di trasferire Calley dalla prigione agli arresti domiciliari, scatenando le proteste di Melvin Laird, Segretario alla Difesa. Calley scontò questa pena per tre anni e mezzo, prima che la corte federale decidesse di liberarlo definitivamente il 25 settembre 1974.
questo paese cerca di togliere anche la memoria di quello che è accaduto senza, per fortuna, riuscirci. Bene ha fatto il capo della polizia ha sospendere dal servizio quel pirla di poliziotto che si è vantato du FB delle sue belle azioni e di quell’altro imbecille del suo sodale. Chi non ha pagato il conto sono(spiace dirlo: non hai voluto fare i nomi e cognomi) Gianfranco Fini, allora ministro dell’iterno e il suo capo, al tempo ancora cavaliere Berlusconi, per non parlare di De Gennaro capo della polizia nel 2001. Questa gente dovrebbe stare in galera, quella vera. Altro che servizi sociali e dibatti televisivi a pagamento! bb
A Michè!, sei troppo forte.
:)ff