David Grossman ha recentemente terminato il suo ” tour” europeo iniziato nel 2010 e conclusosi proprio il mese scorso a Bruxelles, per l’ultima tappa. Tour per promuovere il suo ultimo romanzo, ma non solo. L’esperienza di ascoltare dal vivo e incontrare David Grossman rimane sempre qualcosa di affascinante e di unico al di là dell’occasione e delle spesso imbarazzanti domande poste dai giornalisti (soprattuto riguardo la sua vicenda personale), perché la profondità, l’umanità e la sensibilità della persona trascendono il ruolo dello scrittore, per arrivare semplici e dirette all’ascoltatore. Non si tratta del carisma o della personalità, ma del valore e del contenuto delle sue parole che non sono quindi solo prerogative dei suoi libri.
L’ultimo romanzo dello scrittore israeliano, pubblicato nel 2008, in Italia edito nel 2009, A un cerbiatto somiglia il mio amore avrebbe forse potuto avere un titolo più felice nella traduzione, almeno a prima vista. Ma la scelta andrebbe spiegata ed effettivamente é un verso tratto dal Cantico dei Cantici, sicuramente uno degli inni d’amore più antichi e più intensi della letteratura mondiale. Per il resto si tratta di suggestioni e associazioni d’idee che nascono una volta terminata la lettura. Un romanzo d’amore? Si, ma non in senso tradizionale. O meglio l’amore é visto al caledoscopio. Attraverso il tempo, attraverso diverse prospettive psicologiche e attraverso diversi tipi d’amore: quello materno, quello fra amici e quello fra amanti. 3+2 é la struttura dei personaggi. Un triangolo di amici composto dai protagonisti: Adam, Orah e Avraham, che potrebbe ricordare un po’ “Jules and Jim”, ma in realtà é ben più complesso. Poi due ragazzi, due giovani alle prese con il servizio militare, figli dell’unica protagonista femminile.
L’amore tuttavia assume il tono dell’urgenza.
Uno dei due giovani infatti non ritornerà più dalla guerra. La madre lo sa in qualche modo. Questo libro é la storia di questo presentimento. O meglio, del rifiuto e del disperato allontamento di esso da parte della donna. Non a caso il libro in francese é stato tradotto “Une femme fuyant l’annonce”. E per oltre 800 pagine Orah, cerca di rinviare il messaggio che sa l’attende a casa e per questo, come il protagonista del racconto “L’uomo che corre” dello stesso Grossman, cerca di sovvertirlo con l’aiuto di un’azione fisica quasi liberatoria e catartica, quale il cammino che la donna compie insieme al suo amico attraverso Israele.
Scorrono i ricordi lungo il paesaggio della Galilea, gioie, colline, nostalgie, vallate, rimorsi e acque. Ancora una volta Grossman si mostra un maestro nell’entrare nella psiche femmnile (e non solo) con una delicatezza, una profondità e una lucidità che vanno ben oltre la verità psicologica. Si tratta di percepire quello che sta al di là, il significato ulteriore che solo i gesti e i dettagli di un’epica quotidiana, quale quella famigliare, per Grossman la più ricca di mitologie, verità e simbolismi, nascondono.
Lo stile riflette l’aderenza alle piu’ piccole sfumature, reali o immaginarie, che ogni storia porta con sé. La scrittura é viva, trasparente e ricca, per non tralasciare ogni traccia di senso che un personaggio, un paesaggio, un gesto o un oggetto portano in sé. In primo piano troviamo l’umanità delle persone e dei sentimenti, perché il fine della ricerca letteraria é il senso esistenziale e umano in senso stretto, di quelle storie che, minori o maggiori, sono come tonalità di quell’unica musica che é la vita di noi tutti. Questa la grandezza di un autore contemporaneo autentico e profondo al di là di ogni semplicismo. Sullo sfondo, Israele, la sua vicenda, la sua anima, la sua natura, la sua quotidianità e il dramma di un paese che, a stretto contatto con la morte ogni minuto, ogni secondo, sceglie, inesorabilmente, la vita.