La sindrome di Grimilde

michela murgia
   Tempo di lettura: 6 minuti

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Di Michela Murgia

Molti mesi fa ho rilasciato una breve intervista al Corriere della Sera (che però è uscita adesso) a proposito degli stereotipi femminili veicolati nelle fiabe e negli altri atti narrativi rivolti all’infanzia. Ave Mary era uscito da poco e il tema della demistificazione dell’immaginario era caldo anche socialmente, sull’onda lunga di Se non ora quando e del lavoro capillare nelle scuole e sul web di Lorella Zanardo, Loredana Lipperini, Michela Marzano e decine di altre blogger, giornaliste e intellettuali impegnate sul tema. Lo spunto dell’intervista era apparentemente superficiale – l’annuncio dell’uscita di due rivisitazioni cinematografiche su Biancaneve – ma proprio per questo ho risposto volentieri.

Esiste un immaginario che diventa doppiamente efficace quando trova scarse resistenze critiche, magari figlie proprio dell’equivoco sulla presunta innocenza del tema. Elena Gianini Belotti ha già dimostrato a sufficienza che il simbolico rivolto all’infanzia non è mai innocente e Biancaneve dell’immaginario infantile è un pilastro evergreen troppo evidente per potersi permettere di ignorarla, specialmente quando esce al cinema con il volto di Kristen Stewart, l’eroina-vittima della saga vampiresca più famosa del mondo: la sua Biancaneve la vedranno milioni di ragazze e ragazzi. L’intervista verteva sulle presunte differenze tra la versione di Lily Collins, molto dolce e tradizionale, e quella dove compare appunto la giovane attrice di Twilight, che obbedisce invece a una sceneggiatura da film d’azione, con una Biancaneve guerriera in armatura e spadone che sembra mandare in frantumi l’immagine passiva e vittimistica proposta dalla fiaba classica.
Sembra, appunto.

Il trailer in inglese – quello italiano ancora non c’è – mostra una fanciulla pallida e scialba che solo la finzione narrativa potrebbe cercare di venderci come più bella della sua matrigna, una folgorante Charlize Theron. Biancaneve/Stewart però è una combattente agile che, addestrata proprio dal guardiacaccia mandato a strapparle il cuore, affronterà la sua nemica senza per questo rinunciare a vivere anche elementi della trama tradizionale, come la mela, il bacio del principe e il risveglio. Molte delle domande dell’intervista sottintendevano che la Biancaneve guerresca fosse più emancipata rispetto alla fanciulla in crinoline dell’altro film, come se l’introduzione di elementi narrativi associati al maschile – spada, vendetta e battaglia – strappasse la protagonista allo sfondo degli stereotipi disneyani. Alcune domande tendevano poi a ridefinire il ruolo di Biancaneve solo in ordine al suo rapporto con le figure maschili, guardiacaccia e principe, perché le anticipazioni davano ad intendere che la dinamica della salvezza con il primo e dell’innamoramento con il secondo fosse meno passiva e scontata che nella fiaba.

In attesa di vedere se è vero, rimane però l’impressione di una visione parziale che trascura del tutto il fatto che la distruttività della storia di Biancaneve derivi prima di tutto dal rapporto tra i personaggi femminili. Lo schema generale della favola rimane identico: una donna matura, ma comunque molto avvenente, odia un’altra donna perché è più giovane e più bella. Non è un caso che Loredana Lipperini in Non è un paese per vecchie abbia chiamato “sindrome di Grimilde” la declinazione reale di questo meccanismo di trama. Gli uomini nella storia sono interruttori narrativi funzionali (uccidere/salvare) e confermano la logica vittoriosa della maggiore bellezza di Biancaneve: il primo la risparmia e il secondo se ne innamora. Il femminile viene presentato dentro un rapporto antagonista, violento e competitivo sul piano dell’aspetto fisico, che nel trailer del film con la Stewart assume connotazioni magiche e metafisiche (“Beauty is my power”). Proprio questo film, che nelle intenzioni si vorrebbe presentare come più emancipatorio (perché propone un’eroina armata), finisce per radicalizzare lo scontro tra i personaggi femminili, aggiungendo elementi di ulteriore violenza laddove la fiaba originale aveva solo un lieto fine matrimoniale.

Non esiste alcuna coesistenza tra generazioni in questo schema: la vecchia vuole la giovane morta e la giovane per sopravvivere dovrà ammazzare la vecchia. Non ci sono armature nè correttivi al rapporto con il maschile che possano stemperare l’impatto distruttivo di questo messaggio. Le bambine che andranno a vedere il film si troveranno davanti alla narrazione di due donne per cui la bellezza implica potere e di uomini che le proteggeranno e ameranno nella misura in cui questo potere sarà più evidente. Lo specchio delle nostre brame e quello delle nostre trame si incroceranno a quel punto fino a confondersi, ma sempre di noi si sta parlando. In quella narrazione le altre donne, specialmente se più vecchie, appariranno descritte come nemiche maligne che nel migliore dei casi vorranno essere noi e nel peggiore ci vorranno morte. Poi si esce dal cinema e ovviamente alle bambine si può sempre dire che tanto è una fiaba. Davanti alle protagoniste dell’accanimento anagrafico da chirurgia plastica che sfilano in tv e sui giornali sarà però più complicato convincere anche noi stesse che la verità sia davvero quella.

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1 commento

  1. Grande Michela Murgia come sempre!

I commenti sono chiusi.