E’ stato presentato martedì 13 dicembre 2011 a Modena il comitato “Amici di Edmondo Berselli”, promosso da un nutrito numero di amici dell’intellettuale modenese scomparso prematuramente nell’aprile del 2010. la nobile finalità dell’ associazione è quello di riuscire a realizzare, nel giro di pochi mesi, una attività che abbia come fine quello di favorire “la diffusione della conoscenza del pensiero, dell’opera e più in generale del vasto patrimonio intellettuale di Berselli”. Le ultime parole scritte dall’impareggiabile Edmondo Berselli, parlando di Economia Giusta, sono queste: “Dovremo adattarci ad avere meno risorse. Meno soldi in tasca. Essere più poveri. Ecco la parola maledetta: povertà. Ma dovremo farci l’abitudine. Se il mondo occidentale andrà più piano, anche noi tutti dovremo rallentare.
Proviamoci con un po’ di storia alle spalle, con un po’ di intelligenza di umanità davanti.” Eddy, come ci piace chiamarlo, è stato una forza naturale (e ancora lo è e lo sarà), come l’acqua o il vento che permette ad un Mulino di produrre energia (Edmondo lavora di Mulino, avrebbe detto Brera…). Trasparente come l’acqua e intenso come il vento. Molti di noi oggi vorrebbero un suo editoriale come un faro che illumina questi tempi di un buio medievale. Soprattutto nella nuova economia sbilanciata. Che assomiglia sempre di più al pollo di Trilussa.
Nell’epoca della new economy, Berselli avrebbe rivalutato, se non altro per campanilismo, le partecipanze emiliane. Soffermandosi ironicamente sulle panze degli italiani o su alcune panze senza sostanze. La domanda di rito è perché pagano sempre gli stessi. Perché di fronte all’evidenza dei fatti chi ha di più paga di meno o non paga affatto? Siamo passati dal folklore al rigore. Ma c’è bisogno di governi tecnici, per fare operazioni chirurgiche senza bisturi? Attraverso le parole del Mago Herrera di Berselliana memoria, la situazione attuale potrebbe essere così sintetizzata: “esta es geometria, precision tactica. No hay spacio por la improvisaciòn”.
Tornando a noi e al dettato di Berselli, possiamo descrivere ancora con le sue preziose e millimetriche parole un sistema che necessità di un angioplastica: “Come terapia sociale, occorrerà guardare alla nostra storia, per vedere su cosa si è fondata. Ed è superfluo ripetere che alle nostre spalle c’è un passato di redistribuzione, quel sistema realizzato dalle democrazie cristiane e dalle socialdemocrazie europee. Che non riuscirà a innescare di nuovo la crescita ruggente all’americana, ma proverà a resistere agli scossoni dell‘economia. Nel frattempo, noi europei proveremo a vivere sotto il segno meno: meno ricchezza, meno prodotti, meno consumi. Più poveri, insomma. Non ci siamo abituati, ma non sembra esserci alternativa plausibile. La scelta è tra essere poveri nella consapevolezza della propria condizione storica e antropologica, da un lato, e dall’altro essere poveri nell’assoluta inconsapevolezza di ciò che è avvenuto, nella sorpresa dell‘indicibile, e quindi soggetti a tutte le frustrazioni possibili.
Occorre accingerci a costruire una cultura, forse non della povertà, bensì della minore ricchezza. Di un benessere più limitato, e sapendo che questo minor benessere si ripercuoterà su ogni aspetto della nostra vita. E allora conviene chiedersi: quale cultura è in grado di adeguarsi alla stagnazione? Forse quella del monetarismo spinto, nell’attesa della crescita che verrà, una volta sciolti gli ultimi vincoli? Oppure, una visione collettiva più prudente, con la quale ci si abitua agli attriti della crescita lenta? Qualche anno fa saremmo stati presi per sciovinisti a sostenere la seconda ipotesi. La parola dominante era la ‘stagflazione’. Ovvero l’incubo della stagnazione più l’inflazione. Oggi la stagnazione l’abbiamo già, anzi, abbiamo visto la decrescita. Per l’inflazione, aspettiamo. Intanto le ricerche della Banca d’Italia dicono che la produzione industriale italiana è indietro di cento trimestri. Sembra impossibile, ma è così”. Da queste parole il caro Eddy avrebbe certamente girato lo sguardo verso il declino italiano e verso i dotti, medici e sapienti che cercano la cura giusta, sempre sul medesimo paziente: l’italiano pagante, il pagatore. Quello che con qualunque governo paga. Tutto. E qui torna Berselli con il suo quadro clinico: “Se vi chiamate Helenio Herrera e avete un sufficiente spirito opportunistico vi approprierete dell’abilità altrui, segnalando con meravigliosa improntitudine ai caca dubbi e agli invidiosi che quello scarto rispetto alla norma, quel salto del cavallo, quella mossa in apparenza così marginale e deviante, quel dribbling insistito a dispetto di tutti i canoni e i moniti, quel tiraccio da distanza improbabile che imbrocca l’incrocio, in realtà erano stati accuratamente previsti: perché il vero mago dell’organizzazione è colui che riesce a trarre profitto anche dagli individualismi più sfrenati, e poi passa alla cassa”. E aggiunge: “Non lasciatevi ingannare dai grandi organizzatori.
Sono pochissimi fra loro gli esteti autentici, quelli capaci di registrare i successi delle strutture con una smorfia di disappunto, perché il successo, derivasse pure da solo da una imprevedibile congiuntura del caso, li priva dello smisurato piacere di analizzare le profonde ragioni di un fallimento, di nutrire un sordo rancore verso i collaboratori. Per la quasi totalità sono invece persone che nutrono una fiducia disarmata e disarmante nei pezzi di carta , credono in buona fede che poiché così c’è scritto sull’orario ferroviario il treno arrivi davvero. Si immaginano che le disposizioni impartite vengano rigorosamente eseguite, che gli individui accettino di collocarsi acriticamente di buon grado nel disegno generale senza poter muovere una benché minima obiezione. La loro vita è piena di disillusioni, sono infelici. Perché la regola fondamentale delle organizzazioni è: nessuna organizzazione è correggibile. Le singole unità di un consorzio si rifanno a regole che preesistono a ogni riforma e che nessuno sarà mai in grado di modificare. Una grande programmazione serve solo a precostituire la condizioni per dover risolvere i problemi con l’improvvisazione. Quando tutte le strategie saranno ingloriosamente cadute, nel chiuso dello spogliatoio dopo il primo tempo l’allenatore urlerà:” Ma che cos’è questa una squadra di deficienti? Macchè schema e schema! Date la palla a Sivori , e ci pensi lui” Alla fine rimane sempre l’Uomo non la Zona”.
E a noi rimane l’Uomo Berselli. Un Uomo Giusto. E parlando in termini economici, abbiamo ancora un grande risorsa, siamo ricchi. Anche se il Paese è attualmente povero di tutto. Povero di idee. Eterodiretto. Ma nonostante tutto è l’Italia.
ANTONIO CAPITANO