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Immagino che a Stefano Lorefice piacciano le sfide.
Apre questa raccolta con la poesia in prosa che è certamente una mossa audace per una raccolta di poesie. La prima, in versi, arriva solo a pagina ventotto. Espone la sua posizione fin dall’inizio con Suite Alpina: “Aria di neve questa notte” ed è subito chiaro, al di là dell’analisi, il punto di caduta di tutte le ottantatré pagine dell’ultima raccolta del poeta, per dirla con Lui, del lago di Como. “Naiver”, il titolo della sua ultima selezione, parla di luoghi alpini, e frontiera. Ma non solo, come si vedrà.
“Naiver” è, a mio avviso, adunanza di esplorazioni su ciò che il cuore umano -se considerato come un concetto di emozione/ciò che ci rende umani, piuttosto che una semplice macchina aortica/ventricolare- può fare, sentire o raggiungere, in contrapposizione a ciò che può accettare o ignorare. È quindi tentativo di realizzare proprio quell’analisi che molta critica letteraria ritiene impossibile: dare corpo ai versi, vestirli di alberi, montagne, acqua, e freddo. Molto freddo.
Una poesia che è in-genuità semplice, di bambina, che guarda sbalordita una nevicata silenziosa, di cui il titolo, che mostra tutta la sua nudità di fronte al gelo. Vi è qui l’assonanza tra lingua grigiona a significare la neve, e il tedesco per dire ingenuo.
Mi ha ricordato Thomas Mann. Avverte la piccola nipote Nica: “Ich werde dir einen Rat geben, mein naiver Neffe”. -Sto per darti un consiglio, mia ingenua nipote- “Ich möchte nicht gestört werden während ich arbeite”. -Non desidero essere disturbato mentre lavoro-. E’ cosa nota: il poeta aveva nervi fragili.
L’uso della poesia è dare significato alle storie: trova titolo come s-punto di partenza. Funziona bene, poiché ci introduce fin dall’inizio al modus operandi della raccolta. Nella prima frase, del primo verso della prima prosa, subito ci avverte che nevicherà dopo la mezzanotte, così ha detto il meteo. Siamo pregati di spostare le auto, in specie se in discesa.
Onnipresenti sono coloro all’ascolto del battito di un cuore umano. Siamo noi; chiunque di noi può essere ovunque nella storia e può rovistare ovunque nel disincanto del nostro tempo: ci trovano osservatori privilegiati gli angoli, tutti gli angoli di un mondo stretto tra le valli, dove la montagna si svela primordiale. Sembra che gli alberi parlino, testimoni di chi ha trovato posto da molto. Dino Buzzati pare sorriderci. Nella solitudine delle foreste e dei ghiacciai alpini si muovono le avventure esistenziali del giovane Barnabo. Lì si animano i personaggi con le parole di Lorefice. Vivono. Come la ragazza, pagine avanti, passata accanto a Varenna.
Temiamo il disegno sporgente della roccia. Anche quando quel braccio di pietra sembra essere ben saldo al corpo. L’amputazione, con la dinamite, ce la racconta la festante banda musicale di Val di Giust. La montagna non urla la perdita dell’arto: è silente, anzi. Succede in fretta: la paura degli uomini non aspetta. Ci vengono incontro le parole del naturalista Richard Jefferies: “Il verde grano del cuore umano non deve essere calpestato“, monito dell’uomo alla stele.
C’è molto materiale da dedicare alla prima parte; è importante perché ciò che suggerisce, attiene in gran parte a questo progetto: quello di esplorare gli aspetti più profondi ed esteriori, intendendo ambientali, della montagna nel corso della storia che si fa orale. Memoria, dunque. Qui il Morteratsch si fa prosa di una ritirata dal tempo. “Il colosso -dice il Nostro- borbottando e scricchiolando se ne va”. Una sottrazione. Un venire meno dei calcoli.
Oppure, come un Virgilio, ci guida allo sguardo delle pareti silenziose che offrono colori diversi con il trascorrere delle ore. Ricordo l’effetto: lo scoprii tempo addietro, alle Sette Stelle, tappa del TransLagorai. La montagna non chiede il permesso quando, stanca, si lascia andare. Quando succede, gli uomini scappano. Qui, la poesia di Lorefice si fa cronaca di Qualido e della Sella di Pioda.
Il Richard Jeffries menzionato prima riecheggia nella seconda parte, “Do You Hear Their Echo?”, dove Naiver esamina la vita in continua evoluzione di chi vi dimora. Ecco il lupo:
Nel fitto del bosco
Fra sentieri dismessi
Tracce perdute di volpi
Torna il lupo
Osserva ciò che rimane delle antiche
Foreste
Annusa
E dirige il branco
Troverà ancora di cui
Vivere
Saprà ancora
Dove andare
Lasciando poco del suo passaggio
Un tempo che era lui a trattare
Col cervo, col tasso
Con la stagione a venire
Camere precarie (e increspature feroci) mi si scusino le parentesi, mi aiuta a svelare il Cuore Umano. Questo scrittore ha una bella idea:
“Poi, se davvero ci perderemo di vista, saprai trovare le viuzze per tornare?”
Le strofe di questa breve poesia/prosa riprendono l’intenzione e adottano lunghezze diverse, sebbene non troppo vicine a un “dolce disordine” che l’autore pure menziona poco più avanti, dove prosegue:
“Oppure anche tu soffocherai all’improvviso in un qualsiasi mercoledì d’agosto?“.
La sezione dà corpo a versi ulteriori, come quelli di pagina cinquantacinque che ne contiene alcuni tra i più intensi della raccolta. Eccoli:
Si è poi scoperto
che anche tu avevi spine,
curve e anse
a ogni vertigine;
anche tu pagavi
dazio a ogni dolore
C’è molto da dire sulle forme usate in Naiver. L’ars poetica è un esercizio del cuore più che dello stile. Spesso predilige il verso lungo, concentrando in ogni unità di pensiero il più possibile, che si tratti di un verso o di una strofa come i versi di pagina cinquantasette, una bellissima poesia su uno sguardo fissato sulla pellicola; ci viene detto:
Di quel passaggio
Di quella particolare
Flessione nello sguardo
È rimasto il rullino A trentasei pose,
Che in un cortometraggio
Riprende uno ad uno
I tuoi passi verso i miei…
Ci ho visto il Bevilacqua della Camera Segreta, la cui mancanza è un buco nero.
cammina con me sulle punte,
ti prego
non alzare la voce
per non distoglierlo almeno con l’inganno
questo mattino con il respiro del mondo
che uguaglia l’ora del millennio
lascia che io possa prolungarlo
farne il mio sosia
che dia di battente sulla mia porta
almeno una volta,
per farmi capire
che ancora qualche respiro mi resta
prima di scomparire
Chi legge, afferra come un troppo poetico che è anche una specie di amplificazione; è come spiare il cielo attraverso un telescopio: mette le cose sotto una nuova luce, ramifica, vediamo e sentiamo di più. C’è anche qualcos’altro da dire di questi e di molti altri versi della raccolta, dove vediamo insinuarsi parole e frasi che si fanno sentiero. I nostri occhi si sono saziati. I versi sono bastanti.
Come per la poesia menzionata in precedenza, in queste pagine si trovano diversi accenni consapevoli alla poesia. Dove i versi sono metafora di quello che è; la sezione Erratici selvatici risponde alla chiamata. C’è una metafora consunta di un presente infinito; si parla molto dell’abilità dove i poeti si contrappongono ai filosofi e vincono, ovviamente.
Il poeta, i poeti, sebbene non siano filosofi fanno breccia nell’illusione; nella loro illusa visione di mondo che genera forme adorabili. Traducono il cambiamento, e i poeti hanno sempre suonato i cambiamenti per dare forma all’amore, all’amore di ogni genere. Illusione redentrice per impreziosire vite e tempi con le parole.
Quando ho letto per la prima volta questa raccolta, è stato solo in queste che ho capito e finalmente visto il cuore Naiver. Tuttavia, quando ho finito di leggere quella che mi è sembrata apparentemente una lezione di storia – una lezione di storia preziosa- ho dovuto rileggerla e procedere a ritroso a partire dalla poesia finale, “Notizie dal confine della pioggia”. Mi sono ritrovato a tornare ad essa per riflettere sul suo: “sempre venti ostinati ho cercato“.
Per BookAvenue, Michele Genchi
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Nota a margine.
Stefano Lorefice è una certezza in un tempo di storytelling vorace, di ipnosi da lunghe e complicate trame, di serie e di spin off, di complottismi giornalistico-esoterici, di astratte fantasie di dominio, di desideri mimetici allo stato brado. E’ anche un tempo di equivoci. Una manifestazione pro-loco sparsa su una lingua che sta tra il letterario-sostenuto e il giornalistico il cui risultato è una miniserie TV dove si accavallano incoerentemente avanzi di commedia all’italiana e scarti di una narrativa che si fa icona seminuda con ciuffi e lentiggini dove il solletico pruriginoso di mutandine con i cuoricini sollecita onanismo onirico e polluzioni notturne e che spiega la mia crescente difficoltà a parlare di narrativa ostaggio del romance.
Ecco perché, dopo Frontenotte e Passeggeri solitari, ho ritrovato un ambiente a me famigliare che mi restituisce, forse, alla letteratura.
il libro:

Stefano Lorefice,
Naiver,
La Gru edizioni,
ed. 2025 pp.83
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