L’esperienza di lettura del romanzo di Chiara Rango, Nel limbo sospesi, è una questione personale, perché i luoghi del racconto mi appartengono. Mi toccano nel profondo. Richiamano il nostro mare quotidiano e le sue due sponde.
Quella di fronte, ancora adesso, sembra essere percorsa dai timori della sua storia di ieri. Come ieri, sembra essere ancora una volta sull’orlo del non ritorno. Come ieri, rischia di vedere venir meno la sua civiltà capace di tenere assieme le grandi religioni monoteiste in pace per secoli che, a dispetto anche del nazionalismo di Tito, è divenuta ostaggio proprio di una di quelle fedi ed etnie. Questa epidemia attraversa il mondo: non è solo una questione balcanica.
Una civiltà capace di esprimere quell’aspetto culturale profondo, multiculturale e antinazionalista espresso da intellettuali come Niccolò Tommaseo, difensore delle piccole patrie, e poi spiritualmente tenuto vivo da Ivan Illich. Un multiculturalismo che esaltava e difendeva la pluralità e la varietà delle identità, ispirandosi a una tradizione cristiana cattolica e ortodossa, tollerante e aperta alla diversità che era tipica e peculiare della civiltà urbana non solo giuliana e dalmata ma che raggiungeva, attraversando la nazione, il Montenegro. Questo afflato del patriota italiano di origini croate ha animato e ispirato il lavoro di intellettuali, come Andric e l’indimenticabile Ponte sulla Drina ed Egidio Ivetic con la sua magistrale Storia dell’Adriatico: un capolavoro storiografico non dissimile da quello di Braudel sul Mediterraneo. Libri che hanno raccontato con passione le vicende storiche dei popoli affacciati sull’Adriatico, dei loro contagi culturali e incontri così come le guerre e conflitti. Sarajevo è il cuore pulsante di questo sentimento comune delle due sponde dell’Adriatico. Le due coste si somigliano. Si somigliamo le genti: i bosniaci della diaspora degli anni ’90 non erano, diversi dagli italiani dell’Istria di metà secolo scorso?
Oggi come allora c’è un rumore sordo di guerra in sottofondo pronto a far risuonare una grancassa che fa paura a tutti: la pace cammina lungo la corda di un equilibrio sottile: in un limbo sospesi, come ricorda il titolo di questo libro le cui pagine riflettono l’immagine di un passato che non passa. Succede ancora adesso a noi da questo lato di mare: non abbiamo mai fatto i conti con le nostra guerra più dolorosa: quella fratricida. Le sue ferite sono quelle più difficili da guarire.
Pedrag Matvejevic mi manca. Ha ragione ancora oggi quando dice: siamo tutti ex di qualcosa.
La storia di Chiara Rango attraversa, come il solo il Maestrale sa fare, quella di quei luoghi e delle persone che animano quelle terre. Il che ci riguarda. È una storia di come le guerre hanno segnato le vite di ognuno dei protagonisti del racconto. Quelle storie, vivono un confine immaginario, intimo, oltre che fisico; finiscono l’una nel destino dell’altro e diventano testimonianza.
Libera, la protagonista di un romanzo con molte voci, è divisa in due tra il padre borghese professore a Padova e la madre, una donna che sembra essersi arresa alla vita, in un silenzioso ritiro a Castromonte. Dice: “Non è che mio padre mi abbia rifiutata. Quando seppe della gravidanza, non consigliò a mia madre di liberarsi di me, ma neppure le propose un matrimonio riparatore, semplicemente non disse nulla, solo che spettava a lei decidere e lui in qualche modo ci sarebbe stato”. Il rapporto con Stefano, suo padre, è difficile e segnante. Il conflitto genitore-figlia è palpabile.
Nei riguardi del padre, dietro l’apparente affetto filiale, appare una sorta di sotteso disprezzo nei suoi confronti, che si rivela, in un passaggio successivo nel libro, in quel campeggio di luglio in un campo di nudisti. Libera descrive la debolezza del padre dipendente, oltremodo, del magnifico giovane corpo della sua amante. Libera si oppone alle solide certezze del padre che si indeboliscono, crollano anzi, di fronte all’insofferenza della compagna nei confronti di lei.
C’è il racconto dell’’infanzia a Castromonte, un luogo dove l’insegnante delle elementari accompagnava i suoi scolari a: “studiare la natura in autunno. Le foglie soffici coprivano il terreno, un tappeto di rossi e bruni sfumati in gradazioni d’ocra”. Castromonte è anche il paese di Simo, il suo giovane amico. La voce di Libera risuona in quelle di altri.
Sarajevo è la città universitaria di Libera e di Izet che perde i suoi famigliari nella guerra del ’90 e la poesia sembra essere il solo posto dove trovare conforto. Ma è anche la porta per un salto temporale nella guerra del 1940 che con sapienza e pathos Chiara Rango descrive con le storie di quelle persone.
A Pirano, c’è Elio in “una lingua di terra protesa sull’Adriatico, talmente stretta che con lo sguardo il mare lo incroci sempre. Una penisola per sbaglio, tanto che nessuno si stupirebbe se un giorno liberasse l’ormeggio per conquistare il mare aperto. Siamo cresciuti come naviganti in attesa di salpare”.
Ho visto sulla carta quei luoghi di passaggio della storia; sono dietro l’angolo delle nostre case al sicuro di una quotidianità distratta che bada ad altro.
“Nel limbo sospesi” è molte cose. C’è molta poesia nelle pagine del libro: una poesia che reclama attenzione alle singole parole che dice. Un parnaso di storie, ma che sa essere anche un romanzo duro perché richiama un passato in cui le vittime sono travolte da eventi mostruosi che le hanno private della loro umanità la cui sofferenza è impressa nella carne anche di chi è venuto dopo.
Bravi i tipi della Besa edizioni a scoprirlo e pubblicarlo.
Finisco. I personaggi sono corali ma l’attenzione ai sentimenti e ai pensieri di Libera, la descrizione di quell’ambiente sociale, e l’educazione, sono il filo rosso che annoda e tiene insieme quegli degli altri. A proposito di educazione: chi non ricorda con affetto gli stessi interminabili anni delle medie, e quanti possono ricordare con lo stesso amore una professoressa Ricata? Libera costruisce i suoi principi morali: scrive, biografa di se stessa, il ritratto di una crescita. La sua.
Questo esperimento di metaletteratura, capace di sollecitare l’immaginario nel lettore, fa di “Nel limbo sospesi” un romanzo di formazione e di educazione sentimentale assai ben scritto tra i migliori pubblicati negli ultimi anni.
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Per BookAvenue, Michele Genchi
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Una postilla per un ricordo personale, perché sono un ex di qualcosa anche io.
Nel dicembre del 1992, non ricordo bene se a inizio o più avanti nel mese, con gli amici dei Beati Costruttori di Pace e di Pax Christi con Don Tonino Bello alla testa del corteo, accompagnato dalla dolorosa passione della malattia che lo uccise di lì a breve, partimmo da Ancona verso Spalato da dove proseguimmo a piedi verso Sarajevo in una difficile marcia per la pace. Dopo due giorni, ci fermammo a Kiseljak per una sofferta discussione se proseguire o no in un territorio già in guerra. Dopo diverse contrattazioni con i soldati ONU e l’accordo che una delegazione di una decina di persone rimanesse a Kiseljak, partimmo per Sarajevo di tardo pomeriggio, un paio di giorni dopo. Arrivammo in piena notte nei pressi del Palazzo di Città e accolti da alcuni esponenti del governo cittadino. Alcuni, parteciparono a un incontro istituzionale. A Sarajevo, per chi lo ricorda, in primavera c’era stata la strage del pane. I sarajevesi, ricordo con immenso affetto, ci mostrarono emozioni contrastanti tra sorpresa, amicizia e soprattutto di speranza. Quello sguardo non l’ho dimenticato; me lo ha ricordato questo libro.
Pregare per la pace fa bene alla pace.
Il libro:
Chiara Rango
Nel limbo sospesi.
pp. 240, Besa edizioni 2022
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L’autrice:
Chiara Rango ha trascorso l’infanzia tra il Veneto e l’Emilia. Nel 1993 si è laureata in Conservazione dei Beni Culturali a Udine. Da molti anni è tornata a vivere nel paese ai piedi dei Colli Euganei dove è nata. Lavora nell’ambito della grafica, della comunicazione e dell’architettura. Da quando è piccola frequenta la costa istriana, qui è nata la sua passione per i Balcani, per la loro storia, cultura e letteratura. Nel limbo sospesi è il suo romanzo d’esordio.
(Dal sito dell’edizioni Besa)