La nostra amica Silvia Belcastro ha assistito all’incontro-intervista con il già premiato allo Strega Giovani (e fors’anche prossimamente a quello maggiore) Paolo Cognetti e Mauro Corona, troppo grande per aver ancora bisogno di un cenno biografico. Il vino, diciamolo, ha accompagnato le parole – in specie – di quest’ultimo che, proprio per questo, finisce con l’essere amato. Il racconto della presentazione che segue è molto bello e a tratti divertente ma per poterselo gustare dalla prima all’ultima parola ha bisogno di una decina di minuti, forse qualcuno meno. Staccate la spina e buona lettura! (ndr)
E’ un sabato di inizio estate e il caldo della pianura è già impietoso e indescrivibile a chi non l’ha provato. Due avventori stanno aspettando l’intervista seduti ai tavolini di un bar al di là della piazza. La piccola platea all’aperto è piena e qualcuno sta portando altre sedie. La prima domanda di Samuele Govoni, giornalista de La Nuova Ferrara, è per Mauro Corona: <<come nasce il libro Quasi Niente?>>
Corona sorseggia un calice di vino. Lo appoggia a terra e la sua voce inonda la piazza: “Buonasera a tutti! Il libro è nato chiacchierando con un mio amico, Luigi Maieron, musicista bravissimo e sconosciuto. Luigi ha vissuto una tragedia di recente e da lui ho imparato a reagire al dolore in silenzio. Il libro è nato così: ci siamo seduti davanti a una damigiana e l’abbiamo scritto, cosa vi devo dire…”.
Paolo Cognetti ride e prende il microfono per rispondere alla stessa domanda:
“Il mio libro nasce da una storia d’infanzia. Sono cresciuto in un appartamento milanese, di fronte alla televisione. I miei genitori mi portavano in montagna per l’estate: d’improvviso la scuola finiva e la mia realtà diventava un sentiero, un torrente, un bosco. Quando tornavo a Milano continuavo a sognare la montagna e da adulto ho avuto la fortuna di recuperare quel sogno. Per me c’è una montagna d’infanzia e una montagna da adulto. È da adulto, infatti, che ho visto stagioni che non conoscevo. Poi gli incontri con i montanari: amici che somigliano molto al personaggio del mio libro. È stata la vita a mostrarmi una storia e io non ho dovuto fare altro che sedermi e scriverla”.
<<A proposito di storie>>, dice Govoni, <<Quasi Niente raccoglie le storie degli uomini e delle donne che non hanno mai trovato posto nei libri di storia. Perché è importante raccontare queste storie? >>
“Macedonio Fernàndez”, dice Corona, “era il maestro di Borges e disse che bisogna scrivere per lottare contro l’oblio. Bisogna documentare, soprattutto per gli ultimi, perché se esistiamo è perché qualcun altro è finito male per far posto a noi. Dobbiamo documentare con la scrittura, la pittura, i film. Pensate alla Pietà di Michelangelo: quanto di quel blocco di marmo è stato buttato? Qualcuno di noi riesce ad arrivare, qualcuno ha la salute, qualcuno ha successo… ma quanti vanno perduti? La montagna insegna questo: per essere così aguzza, quanta della sua pietra è rotolata giù? Siamo noi e il nostro sguardo a rendere belle le cose. L’albero non si guarda da solo, non dice: “sono bello”. Questa è la bellezza di stare al mondo: guardare. Quando andavo in montagna con mio nonno, lui mi faceva osservare queste cose: quando vedi un camoscio e dici “che bello”, non è mica lui che si vede da solo. Sei tu che vedi il camoscio! Mi piace la montagna per questo: se vogliamo vederla bella, dobbiamo predisporre l’animo alla gentilezza”.
Paolo Cognetti ascolta con un’umiltà naturale e divertita. Sembra portare in sé il ricordo di una timidezza che ha trovato il suo pertugio nella scrittura e che ora è a suo agio anche sui palchi letterari. <<Paolo, tu racconti di un’amicizia tra un bambino di città e un bambino di montagna, un’amicizia che ricomincia da adulti. Quanto di te c’è in quel bambino?>>
“È evidente che in Pietro c’è molto di me, invece Bruno è una creatura che appartiene alla montagna in maniera misteriosa. É un essere che è tutt’uno col suo pascolo e la montagna. Sono cresciuto a Milano, ma quel luogo avrebbe potuto essere ovunque. É questo straniamento dell’infanzia che mi ha portato a interessarmi di personaggi come lui. Da bambino mi interessavano i bambini selvatici che vedevo in alpeggio. Quando salivo con mio padre vedevo questi bambini timidissimi e avrei voluto superare la mia timidezza, ma da bambini si cede a questa timidezza, come Pietro all’inizio del libro. Quella difficoltà l’ho superata da grande e sono arrivato all’incontro.
C’è anche un archetipo nell’amicizia di Pietro e Bruno. È un libro che ho amato da ragazzo: Narciso e Boccadoro. Normalmente, di Herman Hesse si ricorda Siddharta, che prima sceglie l’ascetismo e poi si immerge nel mare del mondo. La stessa storia è però raccontata in Narciso e Boccadoro tramite due personaggi, una coppia di amici in cui uno sta fermo e l’altro sceglie di esplorare il mondo. Trovo in questo mito qualcosa di molto antico: due parti di ciascuno di noi. Pietro è destinato a vagabondare, mentre Bruno è una sorta di santo che appartiene alla montagna”.
<<In entrambi i libri si fanno i conti con se stessi, con il passato, il futuro e la società. Cosa abbiamo guadagnato in questa corsa al progresso? Cosa abbiamo perso?>>
“Stare al mondo”, dice Corona, “è come un trasloco: qualcosa si trova e qualcosa si perde. Siamo stati attenti a non essere nostalgici. Per esempio, una volta c’era violenza sulle donne: mia mamma è andata in coma tre volte a sprangate, perché mio padre non scherzava. C’è una poesia di Noventa che dice: <<Così che alla fine io non starò, con gli altri vecchi intorno al fuoco, così che alla fine io non starò a dire «Noialtri…»>>. Ecco, io non starò a dire «Noialtri…». Bisogna andare avanti. Però bisogna anche salvare la memoria di quello che è stato. Si scrive per salvare qualcosa della propria civiltà personale: cosa c’era qui a Copparo cent’anni fa? Testimonianza significa lasciare qualcosa a chi viene dopo e io voglio salvare questa memoria, per esempio quella dei boscaioli e delle loro tecniche. Oggi è tutto gelido, ma una volta bisognava sapere quando tagliare l’albero a seconda dell’uso che se ne voleva fare. Sapete che se volete l’abete a Natale, va tagliato l’ultimo plenilunio di Novembre? In Alto Adige per la canna fumaria si taglia l’albero il 1 Marzo, non dopo! Non è bello sapere queste cose? Non è importante insegnarle ai bambini? Poi useranno l’I-Phone e va benissimo, ma queste robe mi piace conservarle dentro. Se perdiamo la memoria di quando gli uomini vivevano a contatto con la natura, perdiamo noi stessi. Io voglio vivere di sogni, non di desideri! Non voglio dire: “Voglio la Ferrari”. Voglio dire: “Voglio volare sulla montagna”…
Se Corona incarna una generazione che tiene in vita ciò che ha potuto vedere, Cognetti parla ai giovani che cercano di recuperare ciò che è stato loro tolto prima della nascita. Questi scrittori rappresentano due speranze, due vie che procedono insieme nella ricostruzione di valori imprescindibili.
“Io sono il figlio di emigrati”, dice Cognetti, “persone che sono partite dalla bassa veneta per andare in montagna. Per loro, quello che andavano a costruire valeva di più di quello che si lasciavano alle spalle. Alla gente della mia generazione è invece successo che siamo diventati adulti durante una grande crisi economica. Che senso ha la città, se nella città non troviamo più un futuro? Le persone come me hanno quindi cominciato a chiedersi se non fosse il caso di tornare indietro. Alcuni ci chiamano <<i nuovi montanari>>. Molto poetico e ottimistico! Per altri siamo invece <<i ritornanti>>. Ci vuole anche una certa carica utopica personale. Io ad esempio avevo una formazione molto romantica che andava da Hemingway, a Corona, a Into the Wild. Una visione ingenua, come se le Alpi fossero l’Alaska. Ma no, sulle Alpi ti accorgi che non sei su un terreno selvaggio. In tante valli alpine negli ultimi anni c’è stata anche un’inversione demografica. Non sono cose che ci appartengono, ma le stiamo scoprendo. Per esempio, per me il bosco era un bosco e non sapevo distinguere gli alberi o le tracce degli animali. C’era in me un enorme senso di meraviglia quando sono arrivato: la sensazione di riappropriarmi di qualcosa che amavo ma che non era mai stato mio”.
<<Che cos’è per voi la montagna e cosa significa per voi il termine “montanari”?>>
“Io vedo”, dice Corona, “che i nuovi montanari sono quelli che vengono da fuori. La montagna non viene salvata dai montanari, ma da chi viene da fuori. È una cosa bellissima e deve essere così. Il mio paese sta crollando ma qualcuno che ha comprato una casa ha acceso un fuoco nel camino. Di queste persone una volta si diceva: << Sono foresti!>> Ma “foresto” a chi?! “Foresto” perché non sei nato a Erto? Ma ragazzi, siamo anime. A me farebbe piacere se uno di voi diventasse ertano, se accendesse un fuoco in una casa. Siamo fatti di carne, ossa e anima. Bisogna fonderci. Perché l’anima sta bene qui, ma anche lì e là. La montagna, i paesi, le case… cosa sono? Soltanto pietre. A me non interessa la montagna dove nevica firmato. Per me tutti i sentieri devono finire in un bar, altrimenti c’è qualcosa che non va”.
La gente ride.
“Dico davvero! Pensate a questa signora che ha aperto un bar in un paese di sedici anime: la finanza è andata tre volte a farle visita. Ma dico io… una vecchietta che tiene vivo il paese! Quando la legge è ingiusta, bisogna aiutare questa gente a resistere: è questa la resistenza della montagna. Anzi, vorrei dire ai ministri che non sanno cosa sia la difficoltà della vita: ci fosse anche un solo bambino in un paese, ci vuole una scuola! Questa è la resistenza della montagna”.
La platea di Copparo applaude. Mi colpisce osservare la dinamica che si è creata tra questi due scrittori. Cognetti si è definito più volte come un uomo di pianura. Esprime un rispetto gentile, un’umiltà volta a sottolineare che è Corona – tra i due – a impersonare il suo Bruno, la creatura che è tutt’uno con la montagna. Corona, dal canto suo, ha a cuore proprio l’abbattimento di questo limite.
Prende la parola Paolo Cognetti:
“Mauro ha un modo di dire: vivere sul ripido. Ed è vero: una cosa a cui non si pensa è che in montagna bisogna fare i conti con la forza di gravità. La prima volta che sono andato in baita ho parcheggiato l’auto per due settimane e quando ho cercato di riaccenderla non partiva più. Ho chiamato un montanaro, che ha visto subito che l’avevo parcheggiata a muso in su. E’ una regola semplice: in montagna tutti i lavori si fanno verso il basso, non viceversa. Per noi gente di pianura è difficile capirlo.
Un altro dato importante è che la forza di gravità genera rabbia e la durezza della gente di montagna viene dalla fatica di fare cose che altrove sono semplici. Questa violenza c’è in tutti i racconti di Corona e c’è una differenza rispetto a Rigoni Stern. Rigoni Stern racconta la montagna nobile, che nobilita chi la abita. Se leggete Corona invece, scoprirete montanari arrabbiati e depressi. Sono entrambi visioni giuste. Noi gente di pianura non lo sappiamo, ma la montagna ha un lato al sole e un lato in ombra. Queste due anime, la luce e l’ombra, sono la montagna che ti spinge a nobilitarti, ma anche a essere vinto dalla fatica.
Infine c’è la libertà. Io partivo a piedi e camminavo per giorni e giorni. Questa esperienza di camminare per giorni in un luogo che non è di nessuno, è un miracolo oggigiorno. Un luogo dove si cammina e basta. Così, quando la montagna diventa troppo dura, cerco di ricordarmi questo: la libertà e l’estrema gioia che mi dona.
<<Negli ultimi anni si sta manifestando un ritorno alla natura. Perché? Cosa ci manca? Cosa abbiamo bisogno di ritrovare?>>
Risponde Corona: “Dentro di noi ci sono sempre il gene e l’archetipo del contatto con la natura. I nostri bambini stanno perdendo l’uso delle mani. La tecnologia è sacrosanta, ma perché non mandiamo nelle scuola anche gli artigiani e i contadini? Bisogna risvegliare nei bambini l’idea che sono un tutt’uno con la natura. <<Conosco>>, diceva Whitman, <<il metodo per fare gli uomini migliori: vivere a contatto con la terra>>.
“Posso aggiungere poco”, dice Paolo Cognetti. “Come persona nata e cresciuta in città, ho avuto molta familiarità con la tecnologia. Da scrittore però mi sono arrabbiato con gli scrittori post-moderni per cui ha importanza soltanto la rappresentazione della realtà, e non la realtà. Tutta l’invadenza dei mezzi tecnologici non colma il bisogno di ritornare agli altri. Non diventeremo mai soltanto homo tecnologicus. Più la tecnologia diventa invadente, più sentiremo il bisogno di qualcosa d’altro. La montagna rappresenta questo”.
“Vorrei chiudere l’incontro”, prende la parola Corona, “con una citazione di Hugo Von Hoffmansthal. Lui era un genio e un principe dei salotti viennesi, eppure si ritirò in un paesino della Stiria. Quando gli chiesero come mai, rispose: <<Amo immensamente questa terra e più passano gli anni più essa mi sembra ricca. Quando sarò vecchio, dai suoi boschi e dai suoi torrenti mi verranno incontro i ricordi dell‘infanzia e il cerchio si chiuderà>>”.
per BookAvenue, Silvia Belcastro
* credits. La foto è dal sito della manifestazione Le Storie in testa del comune di Copparo