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50 sfumature di spazzola e 100 colpi di grigio

Devo ammettere che la prima volta in cui ho sentito parlare di “50 sfumature di grigio”, ho pensato di poter rimandare. Mi ripetevo scaramanticamente che non sarebbe stato questo il caso editoriale dell’estate, che forse alla fine me la sarei scampata.

E invece eccomi qua, con il mio snobismo punito a suon di schiaffoni sul sedere da questo capolavoro di marketing moderno, prima portato nella stanza delle torture e poi sottomesso con un frustino dall’evidenza dei fatti. Con un ritardo di un paio di mesi (tranquilli, non sono incinta) mi sono messa a leggerlo, sapendo che sarebbe andata a finire così, seviziata dal primo della trilogia delle cinquanta sfumature di Mr Grey (il cognome del protagonista. E io che avevo pensato, povera illusa, almeno ad una metafora da pantone). Sono caduta stordita sotto i 100 colpi di questa spazzola inglese, insieme a Natalia Aspesi su Repubblica e Julie Bosman del New York Times.

Partire è un po’ vivere

Immaginate un uomo a cui è stato diagnosticato l’infarto costretto per settimane intere in una stanza d’ospedale, dove c’è luce artificiale sia di giorno che di notte, un uomo che non può muoversi, non può fare nulla se non evitare che pensieri tragici di morte lo trascinino sul fondo di un labirinto psicotico di ansia e depressione.

Stop

La solitudine dell’amministratore

Copertina libroLe ultime elezioni amministrative, per quanto limitate, hanno fatto giustizia di uno degli ultimi miti della politica italiana, ossia del presunto attaccamento dei cittadini alle istituzioni comunali. Quando quasi sei elettori su 10 non vanno a votare, evidentemente del comune non interessa più nulla a nessuno. Per capire le ragioni di questo distacco, clamoroso in un Paese legato a millenarie tradizioni municipali, è utile leggere il libro di un protagonista della politica locale, Roberto Balzani, catapultato all’improvviso dal tranquillo tran tran di docente universitario a sindaco di Forlì.

BookAvenue Book Festival. Due occhi, una notte insonne e quattro neuroni svegli, regalati a una mano.

di Paola Manduca

Oggigiorno, tutti scrivono libri.
Una frase tormentone che corre da qualche tempo sulle bocche di quei pochi che, con ogni evidenza, non l’hanno ancora fatto. Ed è una frase che, a volerla contestualizzare, circola più dai parrucchieri che nei salotti, per due motivi. Il primo è che nei salotti il rischio di conoscere qualcuno che abbia dato alle stampe il suo preziosissimo manoscritto è più elevato, ed è consigliata prudenza. Il secondo è che dai parrucchieri si leggono giornali che, per quanto discutibili, danno il polso reale di quel che sta accadendo alla nostra società: comici, conduttrici di tg, attori, suore, tennisti, astronauti ma anche perfetti sconosciuti affidano al libro il volano della loro interiorità fino ad allora inespressa, e si lasciano recensire con la voluttà di una vergine ipocrita.

Un libro a forma di nuvola, ovvero “Ogni giorno, ogni ora” di Nataša Dragnić

Siamo in Croazia, e gli anni ’60 si affacciano con la semplicità di un est che non ha ancora conosciuto l’ossessione della modernità all’occidentale. Siamo al mare, che impronta il ritmo della vita secondo i propri, immodificabili tempi. E siamo dentro un’infanzia fatta di quelle mancanze che rendono grande la fantasia dei bambini, come quando guardare le nuvole e trovare una forma è un passatempo che resta impresso per sempre. Chiunque abbia visto un cane o un’astronave in una nuvola da piccolo, sempre ci vedrà un bicchiere o un tridente da grande.