Più umano dell’umano.

robot al lavoro
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Lo dico subito e senza troppo girarci attorno: un altro grandissimo libro di Ian McEwan che non deve mancare sugli scaffali di casa (tradotto con il titolo “Macchine come me” e disponibile in libreria per Einaudi). McEwan ha avvertito che questo non è un romanzo di fantascienza; a giusta ragione, aggiungo, perchè la distopia visionaria del racconto, che già ambisce al classico, lo mette al pari dei grandi romanzi che hanno saputo guardare avanti come: Zero K di De Lillo, il bellissimo l’Uomo bicentenario di Asimov e Gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip Dick o, ancora, L’amore al tempo dei morti di Silverberg.

In realtà, il suo retro-futurismo realizza l’opposto: ci ricorda che alcune tensioni della fantascienza non sono tanto preveggenti quanto in pratica presenti. “Machines Like Me” è un romanzo visionario pieno di grandi idee e molto, molto intelligente. Il romanzo di McEwan sulla creazione della personalità di un robot, gli consente di speculare sulla natura dell’umanità e gioca con la cronaca che ci vede entusiasti testimoni dei robot al lavoro (o che ci provano grazie a quello dei ricercatori nelle molte università di tutto il mondo).

Il libro di McEwan è un romanzo visionario pieno di grandi idee e molto intelligente

Nel romanzo, in una Gran Bretagna degli anni ’80 quando le cose sono andate diversamente da come la storia ricorda, l’Inghilterra ha perso la guerra per le Falkland causa la quale Margaret Thatcher ha lasciato l’incarico di primo ministro passando la mano al laburista Tony Benn. Il quale, al di là del facile rimando, non somiglia per nulla a Tony Blair, ma a Jeremy Corbin che, “con la sua banda di trotzkisti” (cito il libro), avrebbe condotto trentacinque anni in anticipo la Gran Bretagna fuori dall’unione europea prima di morire ammazzato in un attentato. Ancora: John Kennedy è sopravvissuto all’attentato a Dallas, e qualche anno dopo Jimmy Carter ha sconfitto Reagan alle elezioni del 1980.

Le scienze non sono da meno; l’opera di alcuni grandi fisici quali Albert Einstein, Erwin Schrödinger, Richard Feynman e Paul Dirac, incidono profondamente la vita delle persone con le loro ricerche. Il pioniere dell’informatica Alan Turing non è morto giovane ma è sopravvissuto agli anni ’50 contribuendo all’invenzione di Internet e grazie al suo lavoro pionieristico sull’intelligenza artificiale è giunto a una serie di scoperte e invenzioni tecnologiche straordinarie come quello di un umanoide artificiale capace di intelligenza e aspetto plausibile, in grado di muoversi autonomamente e con cambiamenti dell’espressione, messo sul mercato a un prezzo assai abbordabile. La produzione consta di un certo numero di maschi, Adamo e altrettante femmine: Eva.

Il mio scrittore inglese preferito, famoso per la sua capacità di comprensione dell’intimità del dramma umano (leggi l’indimenticabile, Bambini nel tempo), si focalizza sull’intelligenza artificiale per una microstoria che evita di speculare sui grandi sistemi per concentrarsi sui piccoli sconvolgimenti domestici e ricadute sulla vita delle persone di una grande invenzione.

Nel libro chi narra è Charlie, un giovane londinese di trentadue anni che lavora come broker finanziario con scarso successo e qualche problema legale, che ha deciso di spendere un’eredità dopo la morte della madre per l’acquisto di un Adamo per pura curiosità. Per farla breve, è la storia di un ménage à trois tra un uomo, una donna e un robot maschio abbastanza sexy. Quando Adamo arriva, Charlie e la sua ragazza, Miranda, una splendida studentessa ventitreenne, scoprono che è una macchina straordinaria, con una pelle calda, davvero realistica e la capacità di fare molte delle espressioni facciali tipiche della maggior parte degli umani e dotato un grosso vocabolario. I due si impegnano, educandolo, a fare in modo che Adamo costruisca una sua personalità. Trasferiscono le loro preferenze nella memoria del robot, creando una specie di corredo culturale frutto di entrambi e generando le attitudini dell’androide. C’è pure un quarto personaggio più avanti: Mark, un bambino in carne e ossa di quattro anni che entra in scena interagendo con i sentimenti dei tre adulti, provocando l’affetto filiale di Miranda e la gelosia di Charlie e di Adam.

Da subito Adamo, inizia a conoscere l’umanità e in particolare quella dei suoi due tutori a un ritmo esponenziale acquisendo competenze culinarie e molte altre cose compresi lavori di giardinaggio e a leggere letteratura. Tra l’altri, scoperte le capacità di broker del replicante, Charlie lo mette al computer per far fruttare i propri investimenti. A causa di questa complessa operazione di inseminazione culturale e forse suo malgrado, Adamo rimane coinvolto nella relazione di Charlie e Miranda innamorandosi di lei e qui le cose si complicano.

La domanda sorge spontanea: può una coscienza artificiale avere un concetto di amore? Il proprietario di Adamo, Charlie, può diventare rivale in amore di una macchina a tal punto da divenire, cito ancora il libro, “l’ultima novità in tema di corna” di fronte al sesso tra l’androide e Miranda?

A complicare ulteriormente le cose è la complessa personalità di Miranda che certo non aiuta. Tra le diverse vicende che animano il rapporto tra i due, c’è il desiderio di Miranda di adottare Mark il ragazzo abusato da una famiglia immeritevole della genitorialità, così come il suo timore che un compagno di scuola, Gorringe, che in un passato recente ha accusato di stupro, sia rilasciato dalla prigione dove lo ha fatto condannare a sei anni di reclusione e la cerchi per vendicarsi. Miranda, in verità, non è stata stuprata: ha mentito per vendicare un’amica pakistana, Mariam, violentata, lei sì, da Gorringe che non ce l’ha fatta a uscire dal suo incubo suicidandosi qualche tempo dopo.

Machine like me dà libero sfogo alla filosofia chiamata a raccogliere il senso di quello che sta dietro la fiction. Ian McEwan ha abituato i suoi lettori a spiegare le ragioni che muovono i comportamenti dei suoi personaggi; qui lo fa a lungo, a volte in modo brillante e persino connotato da un certo disincantato umorismo tipico dei suoi libri, mentre i suoi beniamini cercano irrimediabilmente di razionalizzare l’ineffabile.

A un certo punto l’autore fa dire ad Adamo che tutta la letteratura eccetto gli Haiku giapponesi è fondata sui fallimenti della comprensione umana. Questo romanzo certamente non si esime anzi, estende quel fallimento a una fondamentale dissonanza tra la morale umana e la chiamata all’appello degli individui alla dimensione di senso che danno, che diamo, ai comportamenti.

Con tutto quello che accade, compresa la denuncia per falsa testimonianza di Miranda ad opera di Charlie, il suo arresto, quello che segue e molti altri avvenimenti, ci sono molti momenti di profonda inquietudine in questo libro. La lettura è tenuta da una tensione emotiva che dura dall’inizio alla fine grazie alla capacità di McEwan di tenerci sulle corde delle incertezze riguardo al futuro come ce lo immaginiamo,   sui motivi che muovono i personaggi, i punti di svolta che più di una volta riconfigurano l’idea che stiamo costruendo della storia e la nostra comprensione della figura di Adamo, la cui ambigua energia è a volte umana e a volte no. Nel cervello digitale di Adamo, potrebbe esserci una logica confusa, ma non esiste una moralità confusa.  Semplicemente ne è privo, ed è il solo motivo per il quale non comprende le ragioni dei comportamenti umani. E’ questo scontro di coscienze –digitale e umana- a causare la traumatica fine (che non vi dico) del ménage à trois.

Finisco. Come un trattato di idee, Machine like me è terribilmente intelligente, ma è anche un dramma emotivo che mi ha ricordato “Io Robot”, il celebre film dal libro di Asimov. Se questa storia fosse stata raccontata da Adamo, il libro sarebbe apparso più fantascientifico ma, credo, il risultato non sarebbe stato molto diverso.

Il mio amico Marco Crestani è avvisato.

Per BookAvenue, Michele Genchi

il libro.

Machine Like Me, di Ian McEwan, Vintage pbs, 2019 pp 320 –
Traduzione italiana a cura di Susanna Basso, edizioni Einaudi, 2019 pag. 281

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