Podcast. John Mayall: quando il Blues suona, il silenzio si impone

   Tempo di lettura: 4 minuti

Quando il Blues suona, il silenzio si impone. Non lo dico certo per emozioni personali. Non lo dico perché il Blues è il primo amico nei momenti di sofferenza e il primo a scuoterti nei momenti di esaltazione… No. Lo dico perché quando il Blues ha l’opportunità di far uscire tutte le potenzialità dei musicisti, ci troviamo immersi in un miscuglio di suoni di chitarra, piano,fiati, batteria e armonica irraggiungibile. Troviamo la massima espressione della musica Pop / Rock, perché possono suonarla solo degli strumentisti con le p…  e, perché non lascia spazio alla retorica nei testi, perché la voce è sempre al massimo della sua espressione: non è possibile cioè sviare grazie a mezzi e mezzucci dalla qualità. E dall’improvvisazione, dal groove, dal mood della band: un Blues si fa anche al momento, e si improvvisa, si innescano alchimie particolari. E’ per questo che John Mayall, con questo e altri dischi, è uno dei pochi bianchi che dopo il periodo florido dei bluesmen neri d’America, è riuscito a portare avanti una musica che altrimenti sarebbe vissuta solo in quei vecchi long playing.

Dalla discoteca di casa “Jazz – Blues – Fusion”, disco del ‘72 rigorosamente dal vivo , la Band capitanata dal talento londinese John Mayall (armonica, piano e chitarra) suona la musica nera come se fosse Muddy Waters, e gli assoli rivivono i fasti di Charlie Parker e Dizzy Gillespie: la tromba di Blue Mitchell è fantastica, il sax di Clifford Solomon pieno ed evocativo. “Mess Around” è l’omaggio a Ray Charles, in una bella versione completamente rinverdita, e “Good Times Boogie” è pura Fusion, tra Jazz e Blues (da qui il nome all’album). Se non lo avete, è assolutamente da possedere. Non ricordo se l’ho già raccontato in precedenza: a Bari c’era un discaio rosso in faccia per via di tute le birre che s’era bevuto; mi ci aveva portato il mio non ancora due di coppia…L’ho gia detto? Ah!, beh, allora…

Questa session, registrata tra New York e Boston, mette in mostra degli istrioni della musica, capaci di fare del proprio Vangelo la sola musica suonata e vissuta. Ben lungi dal mischiare sonorità “nuove”, o sperimentazioni che in quegli anni (inizi ‘70) andavano occupando (giustamente) la mentalità di tutti i nuovi musicisti. Mayall fa invece un “Blues Revival” mettendoci solo un po’ di classe in più rispetto al Blues rurale e sporco per eccellenza. Mayall ci mette un po’ di spirito “Inglese”, ponendo l’occhio quindi sui grandi assoli e le grandi performance dei singoli musicisti, ma cercando comunque un sound compatto, “da live”. Uno che insomma ci ha visto lungo sin dall’inizio e regala ancora incredibili emozioni: ancora oggi, dimostra che per un bluesman la parte più importante è proprio il live, come lo è per quasi tutte le musiche popolari del mondo (o quantomeno di origine popolare).

Come succede nella musica di radice africana, nella Bossa sudamericana o nella Taranta pugliese e via discorrendo, i gruppi mostrano sempre grandi performance e grandi musicisti e il risultato è sempre un mix di diversissime trame sonore, che sono in grado di colpire tutti gli appassionati di musica al cuore.
Siccome il Blues è una di queste musiche “popolari”, non resta altro che starcene zitti e ascoltare: sarà il Blues ad entrare dentro di noi, senza chiedere alcun permesso! E scusate l’arroganza… una musica così, se lo può permettere.

Una volta tanto, una lezione al mio due di coppia che in fatto di jazz se la tira, ah!, se se la tira. Il pezzo in ascolto è dall’album “Live…” ,”Change Your Ways Mayall” che, con molta fortuna, ho trovato su YouTube. Buon ascolto e alla prossima.

 

I libri

in italiano di Mayall, c’è solo una manuale di patologia veterinaria. Per chi sa le lingue, con 15 dollari potete comprare una decina di titoli da Barnesandnoble. Assicurano spedizioni molto veloci.

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