Dio c’è e, senza peccare di apostasìa, è sceso in terra sotto le mentite spoglie di Keith Jarrett. Questo straordinario uomo e compositore, pianista e (udite, udite) clavicembalista nato ad Allentown (Pennsylvania), negli Stati Uniti l’8 maggio 1945, è considerato tra i più importanti pianisti jazz viventi.
Nato da una famiglia multietnica, Keith è il maggiore di cinque fratelli. In famiglia, sin da piccolo, Keith respira aria di musica. La nonna paterna suona il pianoforte ed una zia lo insegna, mentre il padre, che a causa della Grande Depressione non è riuscito ad avere una buona educazione musicale, è lo stesso un grande innamorato della musica.
La madre, dal canto suo, fin da piccola ha studiato musica ed ha avuto modo di cantare in alcune orchestrine locali. Così, Keith inizia a prendere lezioni di pianoforte all’età di tre anni e si esibisce nel primo concerto a nove. Dai dodici anni in poi, suona come professionista.
Jarrett si trasferì al Berklee di Boston e conseguì una borsa di studio per studiare alla prestigiosa cattedra di Nadia Boulanger a Parigi la stessa cui si rivolse anche Astor Piazzolla, cosa che pero’ non fece mai. Tornato a New York prima con il clarinettista Tony Scott, un italo-americano geniale e sfortunato, che aveva suonato anche con Billie Holiday, e poi con Art Blakey nei Jazz Messengers, ovvero l’università della musica più visceralmente nera mai esistita. Fra i messaggeri Jarrett coltivò quel gusto per il gospel e il blues che non lo abbandonò mai più. Era il dicembre 1965, e Jarrett aveva 20 anni. La sua carriera inizia con Art Blakey, ha proseguito poi con Charles Lloyd e Miles Davis. Fin dai primi anni settanta riscuote grande successo nel jazz e nella musica classica, come capo formazione e come solista. La sua tecnica d’improvvisazione pianistica abbraccia, oltre al jazz, diversi generi musicali: in particolare, musica classica, gospel, blues e musica etnica.
La sua discografia è imponente. mi limito a citare solo un frammento di quella “piano, solo”
Il primo album di Jarrett per l’ECM, Facing you, è di solo piano, registrato in studio. Altri dischi vennero registrati con la stessa modalità nella sua carriera, inclusi Staircase (1976), The Moth and the Flame (1981), e The Melody At Night, With You (1999). Book of Ways (1986) è una registrazione studio di clavicordo solo.
Gli album in studio sono stati accolti con discreto successo, ma a partire dal 1973 Jarrett si esibì in concerti completamente improvvisati, le cui registrazioni lo hanno reso uno degli artisti jazz di maggior successo commerciale. Tra gli altri, vi ricordo gli album:
Solo Concerts: Bremen/Lausanne (1973)
The Köln Concert (1975 – uno degli album più venduti nella storia del jazz)
Sun Bear Concerts(1976 – cinque concerti giapponesi)
Concerts (Bregenz / München) (1981 – inizialmente pubblicato in 3 LP, solo il concerto di Bregenz è incluso nella versione CD. Il concerto di Monaco di Baviera (più di un’ora e mezza di musica) non è stato ancora pubblicato su CD, eccezion fatta per una sezione di dieci minuti nella collezione :rarum, supervisionata dallo stesso Jarrett. Stando al sito ufficiale della ECM, è prevista una riedizione)
Paris Concert (1988 – 38 minuti di un’improvvisazione dalle sonorità tipicamente classiche, seguiti dalla rielaborazione di un brano del pianista Russ Freeman, e un blues)
Vienna Concert (1991 – secondo Jarrett, la più raffinata delle sue improvvisazioni)
La Scala (1995 – la prima volta che il teatro milanese ha accolto un solista non classico)
Per non incorrere nei guai del copyright, a seguire solo un frammento di No Moon At All dall’album Jasmine, in compagnia di Charlie Hayden. Buon ascolto!
{play}images/stories/media/Keith Jarrett, No Moon at all.mp3{/play}
il libro
Sono sfortunata. Alla seconda recensione, mi tocca dire anche questa volta che il libro è esaurito. Mentre mando uno dei quei strali da far tremare le mura dell’edizioni Socrates per averlo praticamente lasciato nell’oblio, invito i signori della casa editrice a ristampare l’unica vera straordinaria biografia che poi, anche qui, è un’autobiografia. Non fosse altro per non lasciate incompiuta la voglia di acquisto che questa recensione farà venire ai lettori di BookAvenue e di questa rubrica in particolare.
Questo libro è una mappa per esplorare con intelligenza e commozione la complessa geografia esistenziale e artistica – pianoforte e improvvisazione, jazz, interpretazione dei classici, composizione – di Keith Jarrett. Per la prima volta il musicista, che è sempre stato considerato difficile e misterioso, indulge – in articolate conversazioni con Kunihiko Yamashita – al racconto di episodi e personaggi chiave della sua vita, svela i segreti della sua musica, cita i suoi auctores prediletti.
Una ricca e insolita documentazione fotografica correda il testo e trasmette tutta la tensione, fisica e psicologica, del rapporto di Jarrett con il pianoforte. Scrive Carlo Maria Cella nella sua forte e convincente prefazione: «L’improvvisazione di Jarrett è un free climbing che affida alla prensilità delle dita, alla flessibilità del corpo, alla concentrazione del pensiero, non solo la strada e la meta, ma la sua stessa vita. “Non ho nemmeno un seme quando comincio. È come partire da zero”». Un lungo, attento saggio di Peter Rüedi descrive il percorso musicale di Keith Jarrett.
La trascrizione dei temi più importanti – tra cui Kôln Concert e Spirits – e una esauriente appendice critica concludono un libro denso e articolato, che si torna a leggere e a sfogliare più volte con rinnovato interesse.
Visto che ci siete stati la scorsa settimana per B.B.King, ora tornate in biblioteca per Keith Jarrett.
Per ora è tutto: alla prossima.