Partiamo con una domanda e una statistica. La domanda è questa: ” secondo voi la cultura del vostro paese è superiore a quella deglia ltri paesi?”
Prendetevi un secondo per pensarci, poi rispondete – sempre che la domanda vi sembri sensata (ma facciamo finta che lo sia), bene.
Le risposte a questa domanda l’ha presentata in lucidissimo intervento all’ ultimo appuntamento stati generali dell’editoria, Roger Abravanel, autore di uno dei quei bestseller che qualificano l’editore che lo pubblica (il suo si chiama Meritocrazia), ed esperto consulente delle più grandi aziende del mondo, oltre che ad essere stato un manager di lungo corso. Ebbene: dopo aver dimostrato che gli italiani si percepiscono in crisi ( e lo sono: basta sfogliare i giornali di questi mesi) e che i dati confermano questa percezione, Abravanel spiega che in Italia la percentuale di persone in accordo con l’affermazione “la nostra cultura è superiore” è del 68% contro il 23% di quelle che non lo sono.
Gli “sciovininisti” francesi, per dire di un popolo che nel nostro immaginario normalmente si dà delle arie, mostrano dati opposti: solo il 32% pensa di avere una cultura superiore, in Gran Bretagna sono ancora di meno (il 31%), in Svezia addirittura la netta minoranza (il 21%). Gli Spagnoli, i canadesi, gli americani (con percentuali che vanno dal 50 al 55%) sono i più vicini agli italiani, ma di gran lunga distanti.
Opinioni, si dirà. Già. Non c’è dubbio: la differenza salta agli occhi, però, quando dalle opinioni e dalle percezioni si passa all’analisi dei fatti.
Classifica delle top cento università del mondo (secondo tutta una serie di parametri molto credibili e il più possibile “oggettivi”). Università americane 33, inglesi 12, australiane e olandesi 6,5, svizzere e francesi 3, per Canada, Germania, Hong Kong e Giappone e via discorrendo. Italia: zero. Forse si può obiettare ancora che tali statistiche sono di parte e favoriscono i compilatori (in questo caso il NY Times). Facciamo finta, ancora, che sia così.
Vediamo allora dei dati oggettivi proposti da un ente neutrale come l’Ocse. Controllando la percentuale di giovani tra i 25 e 34 anni in possesso di istruzione terziaria (comprese le lauree triennali/quadri/quinquennali e altri studi affini) – e solo per restare nei paesi paragonalibili al nostro (escludendo quindi i nordeuropei e Israele che, con tutta evidenza, sono per queste statistiche dei “paradisi”, o delle anomalie, a volerci nazionalisticamente proteggerci…) si scopre che la percentuale di ragazzi italiani laureati (dati di cinque anni fa) è dell’11%. Gli americani sono l 40%, gli spagnoli il 37%, i francesi il 36%, gli inglesi il 31% i tesedschi il 21%. Il Portogallo ci batte di qualche punto. I turchi ci affiancano. Forse potremmo continuare con altri dati, ma qui preme sottolineare, e Abravanel lo ha fatto benissimo, che non solo lo stato dell’istruzione volge al peggio ma che, strettamente connessa a questa, c’è una situazione economica che ne trae le debite conseguenze. La Gelmini è avvisata.
Solo per fare pochissimi esempi, l’economia italiana, negli ultimi anni, è stata superata nel rapporto PIL pro capite (a parità di potere di acquisto) da altre economie povere dell’Europa occidentale e dell’area mediterranea: non ha sorpreso l’Irlanda (ora in recessione come tutto il resto del Continente) ma anche la Grecia che, insieme alla Spagna che lo ha già fatto, si avvia anch’essa a superarci. Quello che desta più preoccupazione e il progressivo peggioramento dello stato delle cose. L’Italia non solo non considera la meritocrazia come un fattore di crescita collettiva, ma punisce o non favorisce i tentativi di emergere. La mobilità sociale è un miraggio. Chi nasce povero nel nostro paese, muore tale. Solo il 13% può ambire a migliorare la propria scala sociale.
Che c’entra tutto questo con i libri, gli indici di lettura e l’editoria?
Molto, tanto che negli ultimi Stati generli degli editori italiani hanno dovuto puntare i riflettori sui giovani per ricordare a delle istituzioni pubbliche sempre più distratte sul tema la vera risorsa sulla quale scommettere per far crescere il paese. (nella convention si è dato ormai per perso il lettore adulto che legge poco o non legge, meglio guardare alle nuove generazioni. Un pò come accade quando il medico di rianimazione deve decidere su chi concentrare gli sforzi, sul più giovane o vecchio; qualcosa del genere.ndr) In un momento in cui la scuola è scesa in piazza per protestare e gli editori si sono visti appioppiare di decreti che impediscono il cambio dei libri di testo se non ogni cinque anni o dei procedimenti da parte delle autorità antitrust per verificare l’ipotesi di cartelli tra editori scolastici per gonfiare i libri di testo , si capisce che la mossa degli editori è risultata azzardata.
L’editoria italiana si presenta, come al solito, con dati alla mano a questi appuntamenti, quest’anno (il 2008 per chi legge) ha commissionato una ricerca allo Iard per capire in quali contesti macroeconomici sono inseriti i nostri giovani, con quali consumi si istruiscono o si intrattengono, che speranza hanno di inserirsi nel mondo del lavoro e della società.
Di nuovo: a leggere la relazione dello Iard c’è da rimanere atterriti. Il “nostro paese”, vi si legge, ” è l’unico nel periodo 2001-2005 che mostra un calo nella spesa per studente in tutti i livelli di istruzione. Per ciò che riguarda l’università negli ultimi anni la Spagna ha ampiamente superato l’Italia. Da noi la spesa per studente è scesa da 7300 euro nel 2001 ai circa 6800 del 2005. Negli stessi anni la Spagna è passata grossomodo dai 6,600 ai 8.500 euro.” Nei test di Pisa sulla lettura, i quindicenni italiani mostrano notevolmente più difficoltà dei loro coetanei europei. “Il paese in cui è più alta la percentuale di studenti che mostra questa problematica è proprio l’Italia” scrivono gli estensori del rapporto dello Iard, “con il 26,8%” Capite? Un quarto dei nostri ragazzi non “sà” leggere! Negli ultimi dati i paesi nordici la fanno da padrona. I ragazzi nati in Olanda SveziaDanimarca, ma anche in Irlanda, hanno più possibilità dei nostri rispetto anche a tutto il resto d’Europa.