di Silvia Belcastro
Siete scontenti del sistema sanitario? Il rapporto medico-paziente non vi soddisfa? Vi sembra che il chirurgo che vi ha operato farebbe meglio a dedicarsi all’uncinetto? Ebbene, fermatevi: avete bisogno di sapere che la Medicina può ancora essere Poesia.
Ecco dunque per voi un’altra piccola gemma, un “nuovo” classico a cui togliere la polvere, i nove racconti di Michail Bulgakov conosciuti come Appunti di un giovane medico. Probabilmente lo sapete già, ma negli ultimi due anni l’Inghilterra ha tratto da questo libro una fortunata serie televisiva con Daniel Radcliffe (l’ormai maturo Harry Potter) nei panni del giovane Bulgakov. La trasposizione filmica e il sex appeal dell’attore hanno sicuramente rilanciato le vendite in libreria, ma io non ne sapevo un bel nulla e sono inciampata nei racconti su consiglio di un’amica naturalizzata inglese. Dunque li ho letti così come un classico andrebbe letto, senza nulla tra me e le pagine di carta. E li ho amati. Ma permettetemi un consiglio: non leggeteli se siete facilmente impressionabili dalle descrizioni mediche, perché ce n’è un certo numero.
Ma veniamo alla Storia, quella vera. Nel 1917 – nel pieno della Rivoluzione – Bulgakov aveva 25 anni. Ancora fresco di laurea fu spedito nella provincia di Smolensk, nel cuore della Russia rurale e nel mezzo del più completo nulla. Per un anno si trovò così a contatto con un’ingente mole di problemi – casi clinici e contadini poverissimi – e si confrontò con la pratica della medicina in un ambiente estremo, senza tecnologie e senza esperienza.
E il primo aspetto che vi balzerà all’occhio leggendo queste memorie (scritte al limite dell’umanità e forse a lume di candela), è l’affascinante e delicata ironia che le anima. Come figlia di due medici esperti, la mia esperienza mi dice che soltanto i grandi medici sanno essere ironici sulla loro professione in questo modo particolare e sommesso, sofisticato e modesto al tempo stesso. Il giovane Bulgakov fu dunque abbandonato nel cuore gelato della Russia con una manciata di eroici e imperturbabili assistenti. Si trovò a dover affrontare i casi più estremi e difficili eppure non ho potuto fare a meno di sorridere quando – prima di affrontare un’operazione – ritorna di nascosto a casa per imparare a memoria qualche pagina dei libri universitari. E la ragione che mi ha portato a sorridere è che come lettori ci rendiamo immediatamente conto delle straordinarie capacità del Bulgakov medico, del suo talento, della sua intelligenza votata alla risoluzione fredda di un problema, della sua abilità e dei suoi sforzi. Ma soprattutto ci accorgiamo del suo candore, siamo incantati di fronte a questa naturale grandezza umana eppure anche commossi dalla sua piccolezza.
E questa purezza è un aspetto che vorrei mettere ancora in luce. Bisogna studiare umilmente, ripete Bulgakov a se stesso in ogni racconto. Lo ripete come un mantra e più i racconti scorrono verso la fine, più ci rendiamo conto che è una frase che vorremmo sentire più spesso non tanto da Bulgakov… quanto dal nostro medico. In qualità di paziente difficile, a volte mi piacerebbe davvero sentirmi dire Non so nulla, devo studiare, ma si tratta di un fatto più unico che raro. La professione medica infatti, soprattutto in Italia, fa rima con presunzione. Molte volte osservo nella classe medica un’arroganza umana e intellettuale, e l’arroganza porta inevitabilmente il medico a ciò che in linguaggio tecnico si chiama malpractice, ovvero quell’allontanamento dalla deontologia che riguarda sia l’etica che la scienza, e che porta all’errore. Dunque forse un primo passo sarebbe proporre ai giovani medici la lettura di questi poetici racconti su come la medicina incontra l’uomo, racconti che terminano appunto con queste parole: Bisogna studiare umilmente.
L’aspetto più evidente di questa piccola opera d’arte è quindi il suo richiamo all’umanità. Un richiamo al restare umani, per citare le bellissime parole del nostro giornalista italiano Vittorio Arrigoni. Ogni piccola storia è un aneddoto, un caso clinico che Bulgakov dovette affrontare e risolvere restando – appunto – umano. Ci sono parti podalici, amputazioni, estrazioni dentarie, operazioni chirurgiche, viaggi notturni nella neve alta, poi i fantasmi dell’inverno russo e il presentarsi dei fantasmi interiori, come nel racconto intitolato Morfina. Ma l’accento è sempre lì, su quell’integrità umana che chiede internamente di essere corrisposta. Le descrizioni crude potrebbero disturbarvi se siete troppo sensibili, ma prendetevi un paio d’ore per leggere questi racconti se lottate ogni giorno per accettare la vita e le capacità umane per ciò che esse sono: spaventose a volte, ma anche grandi.
Per BookAvenue, Silvia Belcastro