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di Michela Murgia
Parigi è offensivamente simile alla sua rappresentazione in cartolina. La parte di città dove mi sto muovendo da giorni sembra essersi messa d’accordo per replicare con fedeltà ogni singolo stereotipo che qualunque non francese associa in automatico alla Francia. C’è tutto: baguette, bistrot, croissant e sopra ogni cosa quell’atmosfera retrò da vecchio cinematografo, unita al gusto per le cose vecchie disposte in apparente casualità sui davanzali di certe case dalla facciata di legno. Speri che la città ti risparmi almeno l’organetto e invece giri l’angolo di rue de Seine ed eccolo lì, pronto a spararti Edit Piaf tra i tonfi dei passi della gente che viene via dalla visita a Notre Dame.
Però sono le donne il vero mistero magico di Parigi. Le parigine hanno un modo di camminare talmente caratteristico che ne riconoscerei una ovunque la incontrassi. Non è tanto il movimento, ma il fatto che esprime grazia, assoluta naturalezza, sicurezza di sé e noncuranza insieme. E’ il passo libero di chi non ha niente da dimostrare. Mi fanno venire in mentre quello che Antonio Gurrado scrisse due anni fa sul Foglio a proposito di certe studentesse inglesi che avevano fatto un calendario nude, commentando che le inglesi sembrano vestite anche quando si spogliano, a differenza delle francesi che camminano come se fossero nude qualunque cosa indossino. In qualche modo riconosco che questo paradosso è vero, almeno per quanto riguarda le francesi.
Ieri sera ero a cena con la mia amica Martine e gliel’ho fatto notare. Mi ha risposto che ad essere diversa non è la donna, ma lo sguardo dell’uomo francese. La serata era piovosa e un po’ fredda, ma l’esterno del bistrot era riscaldato dalle lampade a infrarossi e quindi siamo rimaste a parlarne per un po’. Lei, che ha sposato un italiano e ci vive da anni per buona parte del suo tempo, è in grado di fare un confronto che a me sfugge.
Dopo qualche anno passato in Italia, Martine mi ha detto che quando è tornata in Francia in un primo momento si è sentita invisibile: nessun uomo la gratificava di uno sguardo e qualunque cosa indossasse nessuno sembrava farci caso. Bella e straniera, a Roma aveva vissuto continuamente sotto sguardi maschili molto invasivi che giorno dopo giorno erano arrivati a sembrarle la normalità. Al suo rientro ha dovuto fare i conti con altri codici e con la propria apparente scomparsa dall’orizzonte del desiderio dell’altro sesso, ma quel piccolo choc culturale le ha permesso anche di realizzare quanto debba essere terribile sentire di esistere nella misura in cui un altro ti posa gli occhi addosso.
Iaia Caputo nel suo saggio Le donne non invecchiano mai rivelò di aver capito di star invecchiando quando, entrando in una stanza con tante persone di ambo i sessi, si rese conto che nessun uomo aveva guardato nella sua direzione con un interesse anche solo vagamente sessuale. Percepì di colpo il baratro dell’inesistenza sociale determinato proprio da quello contro cui, femminista e culturalmente iperstrutturata, aveva combattuto tutta la vita: l’idea che una donna esista solo se esiste per un uomo.
Nel passo delle parigine non c’è traccia di questo dubbio. Mentre sfiorando la terra con i piedi infilati dentro le ballerine capisci con assoluta certezza che nessuna di loro in Francia ha mai avuto bisogno di essere guardata con desiderio per sapere di esserci.
Ho letto con molto interesse le riflessioni di Michela e concordo pienamente!!
Ivana Marangon