La sfortunata carriera del partigiano Levi

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Il “segreto brutto” e il misterioso suicidio di una donna ebrea. Non si placano le polemiche occorse intorno al libro di Sergio Luzzatto “Partigia” dove si ricostruiscono i passaggi salienti della breve e sfortunata carriera di partigiano di Primo Levi. E, in particolare, del “segreto brutto” custodito dal grande scrittore a proposito della fucilazione da parte dei partigiani della banda del Col Joux di due compagni giudicati responsabili di qualcosa che filtrerà sporadicamente tra le pagine successive di Levi e che Luzzatto immagina, pur dentro la tragedia della guerra civile e dell’occupazione tedesca, forse esagerata, se non conseguente a “futili motivi”. Cioè il contenuto di un senso di colpa non dicibile.

La Stampa ha ospitato settimane fà un intervento dello storico Alberto Cavaglion, che suggerisce una chiave di lettura diversa per capire il “segreto brutto”. Dalle pagine di Petite Chronique di vita parrocchiale pubblicata nel 1970 dall’arciprete di Brusson, don Adolphe Barmaverain, lo storico ricava una relazione tra il suicidio di una signora ebrea di 65 anni e la fucilazione dei due partigiani, Fulvio Oppezzo e Luciano Zabaldano, avvenuto pochi giorni dopo il giorno l’esecuzione. I due avrebbero in qualche modo vessato la signora anziana.

Cavaglion non si capacita di come nel libro di Luzzatto non si faccia menzione della morte di Mme Polkorny Elsa, almeno per suggerire una relazione tra i due fatti, sottintendendo in  qualche modo una certa trascuratezza di “Partigia” funzionale al disegno di suscitare qualche ombra sulla figura di Levi e, filologicamente parlando, di dar credito selettivamente ai dati storici utili a confermare la sua tesi.

Luzzatto ha prontamente replicato smontando quel nesso causale (la donna si è uccisa prima dell’esecuzione) e respingendo al mittente le accuse di imperizia filologica (“sedicente scoop”, “incapacità di distinguere quanto riesce plausibile e quanto no nella testimonianza a posteriori di don Barmaverain”). A partire dalla conoscenza (che latita in Cavaglion) della donna ebrea. Intanto restituendo il vero cognome alla donna, Mme Pokorny. E facendo luce sulla tragedia di una famiglia ebrea-asburgica travolta dalla follia nazista e riparata in Italia e perduta  successivamente dall’ordine di polizia n. 5 emanato a Salò che prescriveva l’arresto e la deportazione di tutti gli ebrei italiani o stranieri presenti sul territorio della Repubblica sociale.

Di sicuro, il 9 dicembre i due giovani furono giustiziati dai compagni della banda: secondo le carte d’archivio del 1943-44, perché il giorno prima a Saint-Vincent avevano compiuto un «colpo» troppo azzardato, perché parlavano o straparlavano di «comunismo», perché minacciavano di scappare e di tradire. Seguì, il 13 dicembre, il rastrellamento nazifascista che scompaginò la banda dei casalesi, provocò la cattura di Primo Levi, Luciana Nissim e Vanda Maestro, costrinse altri ebrei nascosti in val d’Ayas a un periglioso fuggi fuggi nelle nevi. La mia ipotesi è che Elsa Pokorny non abbia retto alla terribile accelerazione degli eventi, e si sia data la morte in un giorno compreso fra il lunedì 13 e il venerdì 17.(Sergio Luzzatto, La Stampa 4 giugno 2013)

Fin qui la battaglia filologica. Resta la difficoltà di restituire, al di fuori del cerchio consolatorio dell’agiografia, i crudi fatti di una esperienza fondante ed eroica ma umana come la Resistenza e affrontare temi tabù come i partigiani che uccidono altri partigiani. Per estensione, il “segreto brutto” sta nell’impossibilità di liberarsene custodendo la memoria di Primo Levi come fosse un santino e non un uomo….un uomo trascinato nel cuore di tenebra della storia.

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