Lettere a mia figlia

   Tempo di lettura: 8 minuti

Le emozioni sanno diventare tante cose, se glielo permettiamo, anche lettere di compleanno.
Da quando è nata mia figlia le scrivo una lettera per ogni suo compleanno. Lasciatemi aggiungere che ho davvero una pessima grafia e in effetti, più che un regalo speciale credo che il suo sarà un esercizio di decrittazione, un pò come Jean-François Champollion che è riuscito a decifrare i geroglifici grazie alla stele di Rosetta!
Geroglifici a parte, questo piccolo tesoretto di lettere gliele darò quando compirà 18 anni: le ho scritte tutte nelle prime ore del mattino del suo compleanno in modo che in quel silenzio le mie dita, sull’onda delle emozioni e dei ricordi di quell’anno passato insieme, riescano a ricamare una sorta di punto croce a formare un disegno ogni anno diverso, un’immagine infusa di sensazioni, pensieri, tracce di memoria.
Scrivo di cose successe, belle e brutte, delle piccole prove di ogni giorno, di cosa significa per me vivere, delle risate ma anche di quelle lacrime che non ci siamo mai nascoste, insomma della vita in quell’anno di vita. E se non bastasse a rendere reale sui fogli tutto questo, aggiungo a questa dote di parole ed emozioni delle foto di noi scattate in quei giorni che compongono quell’anno, in modo da avere ben fermi sia sulla carta che nelle immagini le mie emozioni ed i miei pensieri e regalarle quasi un ologramma, e poter sempre essere di nuovo insieme, quando vorrà rileggere le mie lettere negli anni che verranno.
Rileggendo l’ultima lettera che le ho scritto, mi sono resa conto di averle parlato molto della felicità: in effetti è un tema a me molto caro ed ho letto tanto su questo argomento. Anni fa ho scoperto con piacere che ad Harward si tiene regolarmente un corso pratico di psicologia positiva definito “Corso per la felicità” tenuto da Tal Ben-Shahar. Incuriosita, ho letto il suo libro “Più felice”, un manuale pratico per essere felici nella vita di ogni giorno, che mi ha portato a leggere “Il vantaggio della felicità” di Shawn Achor sui sette principi della psicologia positiva, poi il best seller internazionale “L’equazione della felicità” di Mo Gawdat un mostro sacro ai vertici di Google, passando per “L’arte della felicità” del Dalai Lama con Howard C.Cutler, “Il permesso di essere felice” di Lucia Giovannini al più recente “Felici si diventa” di Natacha Calestèmè fino all’ultimissimo di Enrico Galiano “Scuola di felicità per eterni ripetenti”. Approcci diversissimi ma con un intento comune: insegnarci ad essere felici, o almeno indicarci la via per esserlo.
In effetti, dato il periodo che stiamo nostro malgrado vivendo, possiamo davvero definirla felicità, questa sconosciuta. Ho cercato pure la definizione: la felicità è lo stato d’animo (emozione) positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri bisogni. Nell’etimologia significa abbondanza, ricchezza, prosperità.
E subito, ne sono consapevole, scatta l’associazione con le cose materiali: se “possiedo” molte cose, allora sono felice. In realtà credo che il concetto si riferisca anche alla sfera emotiva, non solo a quella materiale, ma come si fa, oggi, che siamo immersi in una realtà davvero problematica, ad essere felici?
Oltre al “tesoretto” a cui sto dando corpo sotto forma di lettere, sto creando per mia figlia anche una sorta di biblioteca di primo soccorso, perchè alle grandi domade esistenziali i libri rispondono sempre in modo egregio.
E sugli scaffali trova posto il libro di cui vi voglio parlare, dopo questa lunga ma spero piacevole premessa: “Lettera a mio figlio sulla felicità”di Sergio Bambaren.
L’autore, noto al pubblico per il suo primo libro “Il delfino” con il quale ha ottenuto un successo mondiale, definisce questo libro (scritto per essere donato al figlio, ma anche a noi lettori) una mappa per affrontare il viaggio più importante in questa vita, ovvero quello verso la propria felicità. E mi piace molto il fatto che sia stato scritto da un padre per il proprio figlio, come una sorta di testamento emotivo, o forse un insieme di briciole da raccogliere per orientarsi lungo la grande strada della vita per riuscire a tornare a casa.
Bambaren è un autore australiano, nato in Perù e attualmente vive negli Stati Uniti: esperto surfista e ambasciatore di battaglie ecologiste ha girato il mondo in cerca del vero significato della vita.
Quando è nato suo figlio Daniel, decide di condensare in un libro quello che, nel bene e nel male, è la sua esperienza delle prove che lui, come tutti noi, dobbiamo affrontare ogni giorno. Leggendolo, seguiamo l’autore nel suo decollo vesro una vita di successo e al successivo crollo psicologico che lo costringe a fare i conti con i suoi limiti e le sue vere aspirazioni.
Molti di noi hanno probabilmente un approccio fai-da-te in questo ambito emotivo, con il risultato spesso di essere adulti confusi e (forse) poco felici, e se qualcuno ci avesse detto che si può imparare ad essere felici avremmo sicuramente dubitato di tale affermazione.
Eppure allo stesso modo in cui alleniamo la muscolatura del corpo si può imparare a migliorare la nostra prestazione emotiva, perchè imparare la felicità non è una gara di velocità di chi stacca il miglior tempo nei 100 metri piani, è più una corsa ad ostacoli o una lunga maratona dove avanzi con quel passo buffo ma efficace anche se sembra che tu stia per inciampare sui tuoi stessi piedi.
E allora, pare, si può imparare anche ad essere felici, se si sa come fare: ci si allena, come per padroneggiare una lingua sconosciuta, si traduce dal noto al meno noto.
Non è facile, ma neanche troppo difficile, proprio come imparare a fischiettare: magari non ne abbiamo nessun motivo, ma scopriamo che farlo ci mette di buon umore e ci prendiamo gusto.
Riprendiamo a fischiettare senza motivo quando andiamo in giro. E’ talmente raro oggi incrociare qualcuno che fischietta un motivetto allegro: potremmo iniziare noi, anche se pensiamo di non aver nessun motivo per essere allegri. Magari ci incontriamo per strada e anche se sconosciuti ci scambieremo uno sguardo d’intesa, come se appartenessimo ad un movimento occulto che sta proteggendo e tenendo in vita un segreto molto, molto prezioso: essere felici.
E nel leggere tutti questi libri così diversi ho capito che il segreto per esser felici è che non esiste un’unica formula: ognuno aggiunge e toglie ingredienti a quella ricetta di vita che sta seguendo con tanta attenzione e trepidazione.
E il risultato, anche se ci hanno indotto a credere il contrario, dipende molto più da noi che impastiamo che dall’insieme degli ingredienti che stiamo miscelando.

Questo pezzo è stato scritto ascoltando “Ho imparato a sognare “ di Fiorella Mannoia

per BookAvenue, Marina Andruccioli

il libro

Sergio Bambaren,
Lettera a mio figlio sulla felicità,
Sperling&Kupfer 2013


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2 commenti

  1. Quanti tipi di felicità esistono?

    Anni fa, in un momento di caduta libera dove si cerca di aggrapparsi a qualsiasi cosa riesca a pur di non sbattere sul fondo, lessi “Bambini nel tempo” di Ian McEwan. E’ un libro cui sono debitore e che ha segnato distintintamente il prima e il dopo della mia genitorialità.
    Non conosco la via alla felicità. Non esiste un manuale per imparare a trovarla: ognuno impara e fà quel che gli riesce. Su una cosa sono, però, persuaso: che il compito maggiore sia quello difenderli dal male del mondo. Insegnare a conoscere il male è un grande impegno e esercizio: se conosci il male, puoi essere felice. Istruzioni per essere infelici, a dirla con il titolo del celebre libro di Paul Watzlawick.
    Ho amato le tue parole perchè specchiano il nostro modo di guardare gli angoli più acuti preparandoci e preparandoli in tempo per superarli: perchè cessino di essere pericoli ancor prima di diventarlo. Non so se è quello giusto, ma è un modo per cercare la felicità.
    Grazie delle tue paole, Marina
    Michele

    1. Grazie Michele per le tue belle parole. Le cadute libere (almeno le mie) sono state modi eccelsi per crescere ed imparare, anche se rudi e molto dolorosi.

      Hai spostato il mio punto di vista da cui osservavo, e mi piace molto ritrovarmi nell’osservare gli angoli acuti, ne ho smussati molti mio malgrado.

      Si, ognuno impara e fa quel che può, ma è importante, se si trova l’agognata felicità, che sia condivisa: anni fa, attraversato un periodo buio e tornata a veder le stelle, scelsi di essere la luce di una candela, piuttosto che uno specchio che rimanda la sfavillante ed intensa luce di altri. Infatti la gioia che si prova nel vedere la tenue luce di una lucciola non è paragonabile a nessuna altra manifestazione di luce, con un’unica eccezione: l’alba.
      Marina

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