C’è un bellissimo e significativo articolo di Giorgio Ruffolo, dedicato a Federico Caffè nato il 6 gennaio 1914 scomparso e mai più ritrovato.
“Siamo sicuri che questo rigore che spietatamente cade sulla povera gente sia un investimento per l’equità di domani, e non un premio all’ingiustizia di ieri e di oggi” Una frase illuminante non scritta di questi tempi, ma agli inizi del 1997. Sotto accusa, di questa frase di Ruffolo è la Politica del Rigore. Lo scritto in questione è “Federico Caffè L’Ultima Utopia” che in poche battute descrive la “presenza” di Federico Caffè nel panorama intellettuale italiano che godeva di grande prestigio ed esercitava notevole fascino sugli studenti e su molti appassionati. Dice ancora Ruffolo, Utopia: una parola che a Caffè piaceva. Lui conosceva perfettamente il testo di Tommaso Moro: in cui a rileggerlo bene, si trova insieme con qualche stravaganza, non il profilo di una società impossibile, ma il calco profetico dello Stato del Benessere. Di una ricchezza redistribuita.
Ma l’attualità di Caffè si comprende dalla sua lungimiranza ben sintetizzata da Giuseppe Amauri che sottolinea come “Caffè abbia sempre rifiutato di preferire l’efficienza all’equità, il mercato alla democrazia, la finanza alla produzione”. Una sorta di rivincita di Caffè che keynesianamente aveva molta fiducia in idee che poteressero contribuire alla creazione, di una “civiltà possibile”, più equa.
Come non apprezzare in questo periodo di sbriciolamento dell’economia la sua battaglia contro il mercato finanziario con una definizione della borsa quale “gioco spregiudicato che opera sistematicamente a danno di categorie innumerevoli e sprovvedute di risparmiatori, in unquadro istituzionale che di fatto consente e legittima la ricorrente decurtazione e il pratico spossessamento dei loro peculi“? Un uomo moderatamente e fermamente contro. Riformista estremo e “rivoluzionario”
Contro l’iniqua equità.
Sembra sentire la sua voce che dice “al posto degli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l’assillo dei riequilibri contabili“. Come non pensare all’attualità di un Governo “distante” chiamato per riequilibrare i conti senza pensare alle attese della povera gente? Può un governo “aristocratico” capire per bene le esigenge delle altre classi sociali e precisamente quelle più “basse”? Un Governo “in vitro” non può riuscire a “sentire” le istanze del popolo. Manca il contatto diretto. Manca il nodo della rappresentanza. E comunque un governo del genere se non è nella condizione di ripristinare “per legge” o con “formule e alambicchi” una giustizia sociale, non avrà raggiunto i suoi obiettivi in tempi in cui le gestioni “allegre” ,che Caffè avrebbe biasimato, continuano ad esistere, malgrado una prima mano di “sobrietà” che non riesce a coprire le pareti ancora sporche di un sistema che ha superato ogni limite di decenza.
Ecco perchÈ, per dirla con Ermanno Rea, autore di un bellissimo libro (L’ultima lezione) oggi Federico Caffè è soprattutto “luce riflessa”: quella che continua a provenirci dal suo protagonista, il cui fascino, lungi dall’essere appannato dal rascorrere del tempo, sembra rinverdire di giorno in giorno, e non soltanto per il perdurante mistero che circonda la sua ormai remota scomparsa, ma per la qualità e attualità del suo insegnamento. Con l’impegno di rendere sempre meno sopportabile la distanza tra etica e poltica, etica ed economia. Con la parola “uomo” in primo piano, per il suo benessere e le sue speranze.
Caffè è nato il giorno dell’Epifania, che significa, per chi crede, Manifestazione. In quel giorno si è fatta la storia. I Magi partirono verso una meta, in attesa di una stella che poi trovarono. E fu stella polare. Ma “Erode” non è terminato: c’è sempre chi per salvare se stesso, colpisce gli altri. In tempi difficili, cattivi. Caffè vedeva un mondo “disumano” e cercava di umanizzarlo cercando i rapporti con gli altri con una naturale solidarietà sociale. Caffè non tratteneva per se, ma generosamente elargiva la sua “Sapienza”. Anche oggi. Con la stessa lucidità e la stessa lungimiranza.
Sbaglierò – afferma ancora Ermanno Rea – ma continuo a ritenere che se il piccolo professore di via del Castro Laurenziano riesce a essere ancora oggi in mezzo a noi e a parlarci, ciò dipende soprattutto dalla modernità delle sue vedute e delle sue opzioni. Per uomini smarriti e in cerca di ispirazioni adeguate al tempo difficile che viviamo ritengo che egli resti un odello senza alternative, palpitante quanto il suo stesso ´enigmaª nel quale ñ almeno questa è la mia opinione ñ vedo riflessa la sua disperazione di uomo incompreso, di economista incompreso (e deluso).
Ecco perchè anche per Caffè, vale quello che Sciascia disse a proposito della scomparsa di Ettore Majorana con l’immedesimazione nelle motivazioni non dette, nella logica e nell’etica segreta del personaggio, che sfiora l’incadescenza della verità.
Caffè è stato autorevolmente definito “consigliere del cittadino e non del principe”. Questa definizione è forse la migliori in tempi di un Machiavellismo imperante che travolge tutto e tutti per far spazio ai pochi che hanno reso questa Italia in perfetta solitudine mondiale con la solitudine delle coscienze.
Ecco perchè, alla fine di questo articolo, per capire fino in fondo il valore di questo straordinario personaggio prendo ancora in prestito le parole di Ermanno Rea, che sono una fotografia sempre attuale che sembra valere e parlare sempre:
” Caffè diceva che dobbiamo preoccuparci per prima cosa dell’uomo: forse è semplicimente qui, in questa parola d’ordine elementare ed eversiva insieme, il segreto del suo duraturo fascino”
ANTONIO CAPITANO
Federico Caffé, Ezio Tarantelli e tanti altri grandi uomini hanno fatto grande Via del Castro Laurenziano. E chi, come me, ha avuto la fortuna di fertilizzarsi – almeno in parte – mediante la frequentazione degli stessi luoghi e delle stesse aule non può che dire grazie a questi spiriti liberi.
Saluti,
Roberto
è proprio così…
forse avrebbe detto e in questo mi permetto di pensarlo che l’Europa non è solo un Affare economico, ma soprattutto di unità dei popoli, di identità e ricerca del vero cittadino europeo che è colui che si sente a casa anche quando si trova in un Paese rappresentato dal un piccola stella gialla
La scomparsa di Caffè è avvenuta alla vigilia di grandi avvenimenti della nostra storia, a cominciare dall’evento epocale simboleggiato dal crollo del muro di Berlino nel 1989. In un quadro del genere le vicende dell’Europa assunsero la grande novità di un processo aggregativo faticosamente cercato con mezzi pacifici e democratici.
Le intese raggiunte sugli aspetti economici furono parte rilevante di tale processo (in particolare l’adozione dell’euro) e rappresenta ancora oggi un chiaro segno di fiducia reciproca tra i paesi coinvolti. Di fronte ai vivaci dibattiti che sono nati in occasione delle recenti cronache – la crisi della Grecia in primis e poi tutto il resto – mi è capitato di chiedermi che cosa avrebbe detto Caffè, magari con un certo imbarazzo sulla posizione tedesca dove ci “leggo” quasi dell’ingratitudine: in fondo il costo della riunificazione è stato sostenuto dall’intera comunità. Oggi la Merkel ha quasi voltato le spalle a quella promessa.