Scuserete, ancora una volta, le lungaggini sentimentali che dedico ogni volta alle mie cronache di lettura. Chiedo perdono e pazienza in anticipo: vorrei davvero coinvolgervi in questa scoperta che è Jonathan Franzen, un autore straordinario e del suo libro Libertà, salutato come un capolavoro e decretato tale dai lettori prima che di tutta la critica internazionale.
Una decina di anni fa notai un romanzo Einaudi appena uscito. Fui colpito essenzialmente dal titolo, Le correzioni, e dalla copertina, la foto di un bambino degli anni ’50, seduto a tavola, con un’espressione imbronciata. Non sapevo niente di Franzen, e nessuna delle persone che conoscevo lo aveva mai letto. Il libro in prima edizione però, sembrava enorme allora decisi di comprare un altro libro suo, La ventisettesima città, che in tascabile appariva più corto. Mi promisi: prima leggo questo, se mi piace, proseguo con Le correzioni.
La ventisettesima città, è il suo primo romanzo, parla di Saint Louis (la ventisettesima città statunitense in ordine di numero di abitanti), delle speculazioni edilizie e di un nuovo, spregiudicato capo della polizia, Jammu, una donna di origine indiane che domina la vicenda dall’inizio alla fine. Il romanzo non è facile, lo dico per chi vuole affrontarlo, la prosa è molto curata e spesso ci sono delle lunghe pagine dedicate al tema delle operazioni e delle speculazioni immobiliari. Grazie a quella acuta descrizione psicologica dei personaggi, all’ambiguità che si respira man mano che la vicenda si fa strada e si conoscono i protagonisti, ci si trova immersi in quel mondo panoramico che fa dei romanzi e degli autori americani contemporanei, l’idea di scrittura che sonda il mondo che viviamo e come esso cambia sotto i nostri occhi.
Ho capito che Franzen aveva delle doti narrative straordinarie. E così, appena finito La ventisettesima città, lessi Le Correzioni. E fu una rivelazione.
Anche se il romanzo non mi sembrò, a prima lettura, costruito su una trama appassionante, la lettura proseguì senza sosta dall’inizio alla fine. Il merito di tutto questo è che Franzen riesce a costruire dei personaggi che costituiscono il perno di tutta la narrazione. Si va avanti nella lettura, senza sosta alcuna, per scoprire cosa faranno quei personaggi, come reagiranno a certi eventi, cosa nascondono negli anfratti della loro personalità. Mi, ci paragoniamo continuamente al loro essere, al loro vivere, al loro appartenere al genere umano.
Il plot del romanzo era costruito intorno a una famiglia benestante americana e ogni capitolo esplorava i componenti dei componenti di quella famiglia, padre, madre, due figli e una figlia. Ogni volta sono rimasto incantato da questa formula del “cambio di prospettiva” e mi sono calato in ciascuno di loro (il padre malato di Alzheimer, la madre apprensiva, il figlio scapestrato, ecc.). Uno dei più bei romanzi che avessi letto negli ultimi anni. Un libro che è diventato presto un classico.
Nei suoi romanzi, in genere, le famiglie tendono a diventare metafore per qualcos’altro, qualcosa di più grande: per la società in cui vivono, sui nostri comuni desideri e sentimenti, sul senso che diamo all’amicizia e forse alle relazioni umane in generale, e a molte altre cose ancora. I Berglunds, la famiglia al centro di Libertà, il nuovo straordinario romanzo di Jonathan Franzen ne sono un esempio. E questo libro, è un capolavoro nel vero senso della parola, anche per altro. Provo a raccontarvi, questa cronaca di lettura che , come di rado accade, ha tenuto me come centinaia di migliaia di altri lettori, incollato alle pagine di questo libro dall’inizio alla fine.
Franzen riferisce come “l’esperimento americano di auto-governo”, quell’esercizio intellettuale con cui gli individui guardano e vivono il conformismo delle loro società sulle proprie aspettative : tutte cose che, a ben vedere, definiscono il (nostro) modo di pensare la libertà. Come tutti i romanzi “panoramici”, da Roth della Pastorale alla De Lillo di Underworld, questo libro sonda il sentiero tutto americano del self-made man. L’idea della libertà che gli individui evocano e che è stato il concetto su cui si sono fondati gli Stati Uniti.
La Dichiarazione d’Indipendenza ha annoverato la libertà tra i diritti inalienabili dell’umanità. Per essa, o contro di essa, è stata combattuta la Guerra civile. In suo nome, l’America si è schierata in prima linea nella battaglia contro la schiavitù e contro l’apartheid.
Con la liberazione dell’Europa dal nazifascismo e la fine della guerra fredda l’idea della libertà diventa per il popolo americano l’emblema della propria coscienza di sé e della propria funzione di portatrice dei grandi ideali di sviluppo e progresso.
E, infine, la difesa della libertà anche al di fuori dei propri confini è stato il dichiarato criterio ispiratore, e insieme il principale schermo ideologico, della politica estera americana, dalla seconda guerra mondiale alla guerra fredda, da Cuba al Vietnam, dalle guerre del Golfo a quella del Kossovo, a quella in Iraq, in Afganistan . Peccato che questo ideale è stato consumato proprio per l’abuso con cui, in suo nome, si è andati a fare le moderne guerre di liberazione.
E non mi meraviglia che con così tanto peso metaforico da sopportare, i Berglunds si pieghino, successivamente, sotto la pressione del loro tempo, non a caso il romanzo parte proprio dall’articolo sul NYT sul fallimento professionale del protagonista.
Certo è, che hanno iniziato alla grande. “Walter e Patty sono stati i giovani pionieri di Ramsey Hill, il vecchio cuore di quartiere St. Paul caduto in disgrazia trent’anni prima.
Benestanti, molto ben educati e di sinistra a dirla con quell’aspetto benevolente e politicamente corretto che hanno certi democratici vestiti da liberal che negli Stati Uniti, fanno molto cool, in mezzo ai loro vicini poveri e conservatori in quel pezzo di terra che sembrava da colonizzare. Entrambi provengono da famiglie nevrotiche e complicate, e fuggono da adolescenze difficili e tormentate. Ramsey Hill rappresenta per loro una nuova frontiera da colonizzare e la possibilità di rinnovare il mito dell’America come terra di libertà, “dove un figlio poteva ancora sentirsi speciale”.
Insomma, il plot del mito della terra della libertà, buona con i figli dotati di buone dosi di sano coraggio americano, qui condito con una spruzzata di corroborante carattere del Minnesota che, nell’arco di pochi anni, trasformano il loro quartiere in un enclave di civiltà signorile.
Ma, come molti sogni di plastica, sono consapevole che i Berglunds stanno andando verso una caduta e, come scopro, verso una serie sempre più imbarazzanti di dolorose cadute.
Walter, apprendo nella parte centrale del romanzo, si sposterà da St. Paul a Washington, dove da essere un “uomo integerrimo” dovrà sopportare con notevole imbarazzo (appunto) , tale da dover essere segnalato sul New York Times, il suo fallimento che viene qui rivelato, si riferisce alla deriva di una combinazione fatale di buone intenzioni e di giudizio imperfetto, tale da essere bollato dai giornale come “arrogante, tirannico ed eticamente compromesso”.
La stessa combinazione che farà, come per il suo lavoro, della sua assistente giovane e bella Lalitha, una catastrofe coniugale.
Causa per cui Patty, ex atleta ex stella con un ginocchio distrutto, sprofonda nella più nera depressione e nell’alcolismo, e inizia una relazione clandestina con Richard Katz, amico di infanzia del marito e musicista rock.
(Tolstoj è il nome tutelare della scrittura di questo romanzo e Guerra e pace è il grande romanzo che serpeggia in Libertà; Franzen lo cita esplicitamente, rimodellando nella storia di Patty, Walter e Richard il triangolo amoroso tra Natasha, Pierre e Andrej).
Proprio il personaggio più complesso, è scelto come il mio preferito nel romanzo, Richard Katz l’amico di famiglia Berglund (e, a volte, il peggior nemico). Un punk-rocker trasformato in musicista country, è intelligente ,irresistibile per le donne ma sempre più disgustato dalla superficialità dei suoi rapporti con i suoi amici. In fuga da un passato abbastanza recente che lo ha destabilizzato (il successo della sua band che vale loro un Grammy) e il rifugio in una vita da recluso e un lavoro manuale.
Il mio momento preferito nel libro è quando Richard, indietro nel tempo, si trova in piedi sul tetto di un edificio a Manhattan di fronte a una donna giovane e attraente, l’ultima di una lunga serie di giovani donne attraenti con cui ha flirtato e, disposta a giocare con lui per qualche minuto. Capisce che è stanco di quei minuti, di quella donna, di quella musica, di quella libertà. Stanco dal troppo desiderio dell’approvazione degli altri che lo rende schiavo delle loro opinioni.
Alla fine, la libertà, quella libertà, è un paradosso e, forse, un ideale irraggiungibile.
Franzen indaga attraverso la storia personale di questa gente raccolta nel libro, qual’è il prezzo personale che siamo disposti a pagare per raggiungere una libertà personale e che sentimento diamo ad essa. Cosa siamo disposti a barattare per conquistarci il nostro posto nel mondo e a cogliere quel poco di felicità che cerchiamo?
Cosa significa per noi essere liberi e che dimensione sociale diamo a questa parola, in nome della quale un Paese (quello degli USA) è diventato quello che è? Ed è stata questa opinione a farmi capire che Libertà è un romanzo impressionante, e memorabile. Ma è anche un romanzo sul matrimonio, su ciò che ci lega a un’altra persona, e sulla politica, che è ciò che ci lega a tutti gli uomini. Sul desiderio e il risentimento, sull’invidia che fonda le amicizie, sul conformismo della società di massa e sulle aspettative deluse: tutte cose che, a ben vedere, sono modi diversi di pensare la libertà.
Signori e Signore, ecco a voi un capolavoro.
per BookAvenue, Michele Genchi
bravoooooooooooooooo!
Sono capitato per caso su questo articolo da google. Sono entusiasta di come ha scritto di Franzen.
Grazie mille.
Mamma mia che recensione!
Meraviglioso, Michele.
Mi toccherà comprarlo. E intanto mi chiedo: perché i narratori italiani
hanno perso questo senso “epico” e “ventrale” della narrazione che
invece gli americani riesco sempre a riprodurre?
Sono sempre più convinto che l’Italia stia attraversando un nuovo Medioevo:
ci siamo dimenticati completamente di cosa siamo stati capaci di fare.
In questa era post-industriale, con la disoccupazione alle stelle, con la politica corrotta,
con il cattolicesimo sempre più conservatore, con la scienza a libro-paga,
con l’economia senza regole, mi aspetterei dei narratori MAESTOSI, liberatori, realmente ribelli.
Voglio gli Hugo, i Zola, i Cechov, i Tolstoj di oggi, dove sono?!
Un abbraccio dalla Romagna.
Àlen
Impressionante, davvero. Sono colpita e affascinata dal suo modo di raccontare i libri che legge. Domani vado in libreria. Grazie. Loredana