Crisi americana. Non è solo questione di sub-prime

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foto autoreDue anni fa, una miscela velenosa di cattiva economia,unitamente ad una regolamentazione molto permissiva, ha fatto saltare letterarlmente in aria il sistema finanziario degli Stati Uniti causando la sua fase discendente e ripida dai tempi della Grande Depressione.
Gli antidoti alla crisi, architettati da molti dei giocatori che hanno suscitato la sbobba tossica originaria, hanno fatto peggio tirando l’economia americana quasi sul baratro.
E tali rimedi non impediranno crisi future. Joseph Stiglitz, vincitore nel 2001 del Premio Nobel per l’economia, analizza quanto accaduto e le prospettive future in “Caduta libera. L’America, i liberi mercati e l’economia mondiale (Freefall, Norton).

In contrasto con le norme emerse dalla Grande Depressione, che hanno promosso la crescita e la stabilità, la risposta a questa crisi ha portato ad una azione meno competitiva del sistema finanziario dominato dalle banche che sono troppo grandi per fallire, scrive.
Stiglitz, ex economista capo della Banca Mondiale e ora professore alla Columbia University di New York, si concentra sui casi di fallimento di alcune grandi banche che non hanno saputo o voluto valutare e gestire i rischi, soprattutto quando sono mascherati da strumenti finanziari complessi. Tali alchimie “moderne” hanno trasformato i rischiosi mutui sub prime in prodotti xxx-rated (qualcosa di inguardabile come la pornografia) capace di mangiarsi i fondi pensione della gente.

I mercati finanziari americani non sono riusciti ad allocare il capitale produttivo, dice. “Al loro picco nel 2007, il settore finanziario ha assorbito il 41 per cento dei profitti del settore delle imprese”, scrive Stiglitz.
Per aggiungere la beffa al danno, alcuni di questi profitti sono stati spesi per influenzare il Congresso a rendere pubblica l’idea che il governo non avrebbe regolato o fermato il rischio dei derivati o frenato i “prestiti predatori”, dice proprio cosi: della serie che tutti sapevano e tutti tacevano.
Per altro, queste strutture di “incentivazione viziata” favoriscono la corruzione, la promozione di contabilità ingannevoli e nessuno si è mai sognato di abbassare il ritmo dei profitti attesi, sostenuti da prezzi sempre più elevati, tali da generare stock option e bonus sempre più alti per i “maghi della finanza” che operano a Wall Street.

Alla fine del 2008, l’economia della nazione era in caduta libera e gli Stati Uniti, un paese che pretende di insultare il socialismo, ha sostenuto alcune banche che si erano esposte e, cosa senza precedenti, sono intervenuti sui mercati direttamente piuttosto che farle fallire tutte come avrebbero meritato, scrive Stiglitz.
Ma a che punto è il sistema finanziario e, soprattutto, l’economia americana? “E ‘molto probabile che avremo una ripresa molto lenta, spero non prolungata, come accaduto ai giapponesi, ma nel decennio prima, nessuno pensava che ne avremmo affrontata una, indipendentemente dai cicli economici che, di solito, ne prospettano una più o meno forte giusto ogni dieci anni” ha detto l’Autore in una recente conversazione con la Reuters.

Il Giappone è preso ad esempio nel libro di come ha perso un decennio di crescita durante il periodo ’90-’00 prima che l’economia registrasse una ripresa solo dopo il 2004-06.
Stiglitz ha detto che una differenza tra il Giappone e gli Stati Uniti è che il Giappone ha una crescita 0% della forza lavoro, mentre gli Stati Uniti hanno un tasso in positivo dell’ 1% del lavoro che dà vigore alla crescita, il che “non è così male a confronto”. Ma l’Autore ha scritto troppo presto il suo saggio perché gli USA registrano in questo primo semestre 2010 una disoccupazione molto più forte che negli ultimi dieci anni: altro che 1%!.
Ci sono pure altre differenze che esistono tra il Giappone e gli Stati Uniti, che fanno sperare ad una ripresa più rapida per gli Stati Uniti rispetto anche ad altri paesi che registreranno una più lenta ripartenza, ha detto Stiglitz.

Ma, mentre il Giappone potrebbe trovare nell’esportazione la sua via d’uscita al rallentamento sostenuta da un buon livello di scambio della sua moneta, gli Stati Uniti non possono fare altrettanto perché la crescita europea, mercato di riferimento USA, è lenta nonostante il dollaro abbia un buon livello di apprezzabilità contro l’euro.
Per altro, il Giappone ha pure iniziato la sua recessione ma con un alto tasso di risparmio  che ha permesso di sostenere i consumi interni, gli Stati Uniti si trovano nella situazione opposta con un tasso di risparmio pari a zero: è noto che gli americani sono possessori di una decina di carte di credito pro-capite e più che risparmiare devono provvedere prima a restituire il debito. Tuttavia la ripresa del risparmio ha due facce: il risparmio in aumento può contribuire in modo significativo a un rallentamento prolungato” dice Stiglitz nel suo difficile saggio.

Ancora. La situazione sanitaria negli Stati Uniti, con i suoi problemi di equità e di accesso, ha anche implicazioni per la crescita degli Stati Uniti. Salute, produttività e costo delle cure sanitarie influiscono sulla competitività. “A peggiorare le cose”, aggiunge, “abbiamo commesso l’errore fondamentale di collegare la prestazione dei servizi sanitari al lavoro, con conseguenti forti interazioni tra le carenze del sistema sanitario e i problemi nel mercato del lavoro. La soluzione a questo problema sarebbe quella di passare a un sistema unico ordinante, che riconosce la salute come un costo sociale, e non un costo del lavoro. Fornire i lavoratori scarsamente qualificati che guadagnano salari minimi di una assicurazione sanitaria di tipo sociale che non incida sul costo del lavoro in modo che ne riduca il peso tale da far riprendere i consumi o una parte di essi.

Ma il rischio più grande per la ripresa economica è anche un forte rischio politico rappresentato da coloro che ritengono che la riduzione del disavanzo è la priorità del Paese a scapito di tutto il resto. La dice lunga la difficoltà con cui il Presidente Obama ha fatto passare una piccola riforma sanitaria, frutto di un compromesso piuttosto che difendere un’idea non negoziabile che gli è valsa la sua elezione.
“Il Presidente Obama sta cercando di camminare lungo una linea molto sottile su questo punto, dicendo che ridurrà il deficit nel lungo periodo e nel frattempo lavorare per stimolare l’economia nel breve periodo”, ha detto il premio Nobel il cui giudizio sull’attuale amministrazione è assai severo.

Son tempi duri per tutti, anche per Obama.
La mia impressione e considerazione sul saggio di Stiglitz è che la miopia dei falchi democratici, prima ancora che quella degli oppositori, è di tale portata che non permetterà loro di farglielo fare. Ma, come molti miei lettori sanno, amo troppo quel Paese per non pensare che, il primo afro-americano assunto alla sedia più calda della pubblica amministrazione del suo Paese, ce la farà.

 

per Bookavenue, Michele Genchi

 

cober

 

Joseph E. Stiglitz
Freefall
Norton pbs

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