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Amo I libri brevi, suscitano in me la consapevolezza della preziosità del tempo che l’autore ha dedicato a cercare la sintesi, saper delineare la storia, descrivere i personaggi con l’essenzialità di poche parole e con ricchezza di tonalità e di sfumature emotive; scegliere di togliere per dare molto, è dono di pochi.
Erri De Luca, nel suo Le regole dello Shangai sceglie anche di non dare nome ai suoi protagonisti di questa intensa storia, e lo motiva così: “I loro nomi non contano, per me. I nomi non aggiungono niente alle persone. Anzi tolgono: se chiamo Federico il personaggio, ecco che chi legge lo associa involontariamente a una persona che ha lo stesso nome. Questo abbinamento non aggiunge, toglie. Nessuno assomiglia a qualcun altro, neanche I gemelli omozigoti”.
Leggiamo le prime righe e subito siamo calati dentro la storia, come se noi -insieme ai protagonisti-, sapessimo benissimo cosa ci ha (li ha) portati sin qui, come se sapessimo l’antefatto, il prima, quello che ci porta a ridosso dell’incrocio delle loro vite, come se fossimo già al corrente di quello che è successo nell’esistenza di quei due, come se ce lo avessero già raccontato, o lo avessimo letto in un inesistente capitolo precedente.
Ecco. Questa è la magia dei racconti, o dei romanzi brevi. Sono scritti così bene che hanno il dono di farci sentire già nella storia; siamo avvolti nella sensazione di essere in intimità con i protagonisti: qui, un vecchio campeggiatore solitario ed una giovanissima gitana in fuga dalla sua famiglia.
I dialoghi sono essenziali, scritti con l’inchiostro della sensibilità e le figure ben tratteggiate con il chiaroscuro del carboncino. Alcune immagini le ho percepite non scritte ma meravigliosamente disegnate ad acquarello; come la lieve danza di una foglia rossa che si stacca dal ramo di un Acero in autunno: è la spiegazione della vecchiaia che ci dà De Luca: “Com’è essere vecchi?”. “E’ quando ti parlano e ci infilano la parola ancora. Lei lavora ancora? Ancora va in campeggio, ancora fa questo e quell’altro? Così la mia parola preferita è diventata ancora. Quando qualcuno mi chiede come sto, rispondo: “ancora; ancora ci sto”.
Si, quella foglia sta ancora volteggiando mentre plana verso terra.
O la delicata interpretazione del concetto di prendere “Hai preso il sole. Perché sorridi?. “Mio nonno mi ha insegnato a rispondere: non ho preso niente, l’ho avuto in regalo. Non dire ad un gitano che ha preso qualcosa. Pure se sta a inzupparsi sotto un temporale non dice che ha preso acqua”. “Ho capito, il sole addosso lo hai ricevuto per regalo”. “Sono gente delicata, fanno attenzione con le parole. Basta poco a offenderle”.
De Luca sembra mostrarci la vita come un gioco di equilibrio, dove I tanti bastoncini, lasciati cadere alla rinfusa, si toccano l’un l’altro, si influenzano l’un l’altro, e sembra impossibile prenderne uno senza far muovere inevitabilmente gli altri. Invece il gioco dello Shangai sembra mostrarci come ogni persona ha un suo punto di equilibrio, si deve vivere cercando si di toccare ogni bastoncino, ma senza far perdere l’equilibrio agli altri.
Il vecchio gioca la sua partita più importante, cercando di non far perdere l’equilibrio alla giovane gitana: il risultato, è una storia superba.
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Per BookAvenue, Marina Andruccioli
Il libro:
Erri DeLuca,
Le regole dello Shangai
Feltrinelli