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Lo spartiacque tra notorietà e oblio lo si deve certamente a Ragazze di Campagna del 1960. Come osservò il suo amico e collega Philip Roth : “Mentre Joyce, in Dubliners e A Portrait of the Artist, fu il primo cattolico irlandese a rendere riconoscibili la sua esperienza e il suo ambiente, il mondo di Nora Barnacle’ dovette aspettare la narrativa di Edna O’Brien “.
Scritta durante l’esilio a Londra , The Country Girls portò O’Brien, scomparsa all’età di 93 anni, all’attenzione internazionale.
L’accoglienza in Irlanda fu in gran parte ostile a causa della schietta rappresentazione della sessualità e del desiderio femminile da parte del libro. Fu denunciato come un “insulto alla femminilità irlandese” e bandito, così come diversi libri successivi. La notorietà creò una personalità pubblica duratura, la libertina glamour e mondana, istruita in convento, che a volte andò a scapito della reputazione di O’Brien come scrittrice seria e impegnata. Per decenni, il suo nome fu sinonimo di trasgressione e sovversione, in particolare per le donne.
Oltre a più di due dozzine di romanzi e raccolte di racconti, O’Brien ha prodotto numerose opere teatrali, un paio di memorie, libri per bambini e una raccolta di poesie. Le narrazioni lineari in prima persona dei suoi primi romanzi si sono evolute in uno stile consapevolmente sperimentale negli anni ’70 e ’80. A Pagan Place (1970) è scritto in seconda persona singolare: Night (1972) è un singolo monologo sostenuto.
Il debito nei confronti di Joyce, che O’Brien venerava e che era in grado di citare ampiamente a memoria, era ovvio. Come Joyce, capì come le cadenze, i ritmi e la sintassi dell’inglese parlato in Irlanda potessero essere usati per liberare la narrazione dal suo impulso empirico e, tra le altre cose, dare voce alla soggettività femminile. Ma i suoi temi erano interamente suoi.
Dagli anni ’90 in poi, O’Brien ha consapevolmente ampliato il suo raggio d’azione con quattro libri che trattavano dei grandi cambiamenti sociali, politici ed economici che stavano attraversando l’Irlanda, temi ampiamente ignorati da altri scrittori irlandesi.
Il primo di questi, House of Splendid Isolation (1994), affrontava i Troubles attraverso la relazione tra un repubblicano fuggitivo, McGreevy (basato sul paramilitare repubblicano Dominic McGlinchey, che lei intervistò nella prigione di Portlaoise), e una donna anziana, Josie, che lui prende in ostaggio. Nello stesso anno, intervistò Gerry Adams per il New York Times e nel 1995 pubblicò una lettera aperta sull’Independent invitando l’allora leader del partito laburista, Tony Blair, ad aprire un dialogo con i repubblicani.
In Irlanda e Inghilterra, il coinvolgimento di O’Brien nell’attività politica e la sua percepita simpatia per il movimento repubblicano portarono a critiche diffuse: sul Guardian fu descritta da Edward Pearce come “la Barbara Cartland del repubblicanesimo a lunga distanza”. Insistendo sul fatto che il dialogo è il primo passo necessario per qualsiasi risoluzione dei conflitti, O’Brien non fece altro che anticipare lo zeitgeist.
Nei libri successivi, O’Brien romanza eventi divisivi che un’Irlanda sempre più prospera avrebbe preferito ignorare. La vera storia di una vittima di stupro di 14 anni a cui era stato impedito, per legge, di lasciare l’Irlanda per abortire divenne Down By the River (1996). In generale, questi libri furono recensiti male nel Regno Unito e in Irlanda. Molti dei critici più severi di O’Brien erano le stesse persone che trovavano offensivo il suo intervento in politica e veniva regolarmente accusata di essere fuori dal contatto con l’Irlanda moderna.
Il tema dell’esilio è antico quanto la scrittura stessa. Per molti scrittori irlandesi, sembra essere un prerequisito, ma per O’Brien aveva una particolarità che trascendeva la sua separazione fisica dall’Irlanda. Fin da piccola, percepiva la propria femminilità come una forma di esilio. Credeva fermamente che la vera arte potesse essere prodotta solo dal dolore, dalla rottura e dallo spostamento.
Nel 1976, nel suo libro semi-autobiografico “Mother Ireland”, scrisse: “Vivo fuori dall’Irlanda perché qualcosa dentro di me mi avverte che potrei fermarmi se vivessi lì, che potrei smettere di sentire cosa abbia significato avere un tale retaggio, potrei diventare placida quando in realtà voglio ancora una volta e per ragioni indefinibili ripercorrere quella stessa strada, quella penetrante strada dell’infanzia, nella speranza di trovare qualche indizio che renderà, o vorrebbe, o potrebbe rendere possibile il salto che riporterebbe una persona al suo luogo e stato di coscienza originali, all’innocenza radicale del momento appena prima della nascita”.
BookAvenue ha avuto l’onere di discutere brevemente con la grande autrice su alcune questioni, tra letteratura e politica, in occasione della pubblicazione della nostra rivista di libri e cultura letterarie dedicata all’Irlanda. L’intervista è del 2010 e potete leggerla facendo click al collegamento di seguito: https://bookavenue.it/intervista-a-edna-obrian/
o scaricarla: https://bookavenue.it/wp-content/uploads/2010/08/interw_edna_ita.pdf
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Per Bookavenue, Loretta Severino
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Fonti: NYT, Booksirelandmagazine, BookAvenue Review n.4, Newsweek
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