Come costruire una perfetta macchina del fango. Come prepararla e utilizzarla.
Ingredienti.
Un investitore (di facciata o vero che sìa). Dategli un nome: Vimercate e un titolo, Commendatore.
Un direttore di testata. Simmei di nome (e Machiavelli di fatto)
Un giornalista miserabile, un relitto di infima categoria come caporedattore. Date anche a questo personaggio un nome: Colonna.
Un gruppetto di cronisti della stessa categoria di cui sopra, buttati fuori da mille giornali per incapacità manifesta e/o fannulloni per scelta e, possibilmente, scemi inconsapevoli. Meno uno.
Una redazione con un nome: Il Domani
Preparazione
Mettete gli ingredienti tra le quattro mura della redazione e agitate bene su un argomento qualsiasi mai accaduto e un nome che avete preso di mira e fate uscire il pezzo con il vostro giornale avendo cura che tutte le menzogne che state preparando appaiano del tutto vere e il fango è pronto (attenzione!, le notizie non devono sembrare verosimili: devono apparire vere.) Basta poco no?
Qualche anno fa, proprio su queste pagine, commentando il libro dell’allora giornalista, ora onorevole, Massimo Mucchetti, Il baco del Corriere, dicevo che la mancanza di indipendenza e opacità comportamentali nella redazione (del Corriere ndr.) denunciata dall’autore, favoriva l’emersione del groviglio di interessi economici che gravitavano sul giornale più importante del paese ma che di riflesso abbracciava – e abbraccia – tutta la questione dell’informazione nel nostro Paese e il peso che essa produce sulla democrazia.
Le stesse opacità che appaiono immediatamente evidenti nei rapporti di ambiguità al limite del compromesso tra editore (il commendatore) e il suo direttore “Machiavelli”. Questo la dice tutta su come la libertà di stampa è spesso condizionata e tradita da valutazioni la cui cifra è solo l’interesse personale e l’opportunismo, altro che bene pubblico! E’ proprio il “Machiavelli” del romanzo a spiegare a Colonna i trucchi del mestiere: A) l’uso del virgolettato per coinvolgere ed attribuire le persone quando non si hanno vere fonti, in modo da spostare l’attenzione del lettore verso il quale, B) vi è un vero disprezzo considerato come un miserabile idiota affamato solo di pettegolezzi e gossip.
Il Domani non è, dunque, un giornale ma un imbroglio che si occupa di argomenti avvenuti il giorno prima ma che per definizione è un giornale che parla del domani ipotizzando fatti non accaduti ma che potrebbero succedere e coinvolgere personaggi illustri (per poterli impiccare sulla pubblica piazza).
Insomma: un potente mezzo in grado di condizionare e indirizzare il comportamento dell’opinione pubblica e la questione che gira intorno al Numero Zero sta nel fatto che tutti lavorano al numero di lancio di un giornale che non uscirà mai per i motivi che si scopriranno alla fine. Una infallibile arma di ricatto con la complicità consapevole del direttore e del suo caporedattore.
Umberto Eco si serve del romanzo per raccontare i tempi che viviamo. Dietro questo sentimento che anima il libro, scopriamo il sintomo di una malattia, la nostra, ben più grave; quella, cioè di dare per scontato quello che scontato non è. L’enorme illegalità nel nostro paese, la corruzione di oggi e la menzogna. La stessa aria degli anni novanta epoca in cui si muove il romanzo con le trame di allora, le bombe colorate di rosso ma piazzate dai neri, la politica connivente ed eversiva, quella sì, del conte Borghese fino alla P2 e tutte le altre sozzure di quegli anni.
C’è una lezione di fondo, un filo rosso sotteso che conduce il libro dall’inizio alla fine: la lezione di Umberto Eco ai lettori nel suggerire di rifiutare le notizie senza averle corroborate di una minima verifica, a stare più attenti a cosa si legge e a cosa si ascolta. L’epoca evocata dall’autore è ancora quella della carta stampata pur di fronte ai nuovi mezzi con cui l’informazione si fa cronaca sia essa distribuita sui fogli che su uno schermo di un computer o della TV. Al giornalista e al suo mestiere cosa rimane? La schiena dritta. Sembra poca cosa ma a pensarci bene è l’unica cosa che rimane per sentirsi coerenti con la dimensione sociale di questo mestiere.
A proposito del libro; il giornale non uscirà mai. Uno di redattori con la fissa dei complotti viene trovato morto, il commendatore si ritira e il direttore in fuga con una collega. Scopritelo da soli: il libro si legge con il ritmo di un noir.
C’è un’amara ironia sulla fine del giornale. Credo che Umberto Eco affonda, come una lama, la sua opinione di come i giornali aprono e chiudono, le cui esistenze sono scandite dal numero di copie che riescono a distribuire, ai soldi che si ricevono come contributo e, soprattutto, dal benestare di chi vuole davvero che il giornale esista.
Per tutto il resto c’è sempre Wikileaks.
per BookAvenue, Michele Genchi
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