Il prato di Pieve di Soligo era diventato il simbolo della battaglia di Andrea Zanzotto, poeta scomparso all’età di 90 anni, per preservare l’identità di un luogo dalle devastazioni di un Nord Est rampante e arrembante.
Quella Marca trevigiana da lui amata, cantata e mai abbandonata, che nel tempo ha assunto la forma ‘monstre’ di uno sviluppo e di un benessere che ha abiurato la ‘venetitudine’ del lavoro umile e silenzioso. Andrea Zanzotto incarnava tutti questi valori, scomparsi ma che riemergono come fiumi carsici nell’interiorità del Veneto tutto.
‘La Beltà’, raccolta di versi pubblicata nel 1968 e considerata ancora oggi l’opera fondamentale di Zanzotto, venne presentata da Pier Paolo Pasolini e Franco Fortini e consacrò Zanzotto al grande pubblico, grazie all’alloro che un altro grande, Eugenio Montale, pose sul suo capo dalle colonne del ‘Corriere della Sera’.
Zanzotto era il poeta delle cose semplici ma complesse, affiliato secondo la critica come continuatore della linea ungarettiano-ermetica. Un poeta delle parole cesellate e comprese dal loro interno. Mai magniloquenti ma sempre cariche di una forza in grado di cristallizzare l’emozione in un verso. Il poeta nasce nel 1921 a Pieve di Soligo.
La sua famiglia è apertamente anti-fascista. La formazione scolastica avviene a Treviso, successivamente sarà all’Università di Padova che Zanzotto consegue la laurea in Lettere forgiando la propria conoscenza abbeverandosi alle lezioni del latinista Concetto Marchesi e del poeta, Diego Valeri.
Fu proprio Valeri a spingerlo a conoscere i poeti simbolisti francesi, da Baudelaire e Rimbaud. Laureato, Zanzotto inizia ad insegnare nella sua Marca, in quel di Valdobbiadene. Fu arruolato nel 1943 e partecipò attivamente alla Resistenza veneta nelle file di ‘Giustizia e libertà’.
Dagli anni ‘60 inizia il percorso poetico che lo condurrà a collaborare a numerosissime riviste letterarie, tra cui ‘Il Caffé’ che riuniva gli esponenti di spicco del panorama letterario italiano, tra cui Calvino, Ceronetti e Volponi. Nel 1969 pubblica ‘Gli sguardi, i fatti e Senhal’ dedicato allo sbarco sulla luna.
Ma è nel 1976 che Zanzotto fa un incontro cruciale, quello con il regista Federico Fellini con il quale collabora al ‘Casanova’. Con il cineasta riminese, Zanzotto collaborò anche alla sceneggiatura de ‘La città delle donne’. Per Fellini scrisse ancora i ‘Cori’ per ‘E la nave va’ del 1983.
In quell’anno, fertile e denso di novità, Zanzotto pubblica un’altra opera fondamentale: ‘I Fosfeni, secondo libro di trilogia grazie al quale conquista il premio ‘Librex Montale’.
Iniziano in questo periodo i problemi di depressione che affliggeranno, periodicamente, il poeta gettandolo spesso in un cupo e ripiegato silenzio. Gli ultimi anni vedono Zanzotto al lavoro sulla lingua veneta, nel 2001 esce ‘Sovrimpressioni’, meditazioni attorno alla distruzione del paesaggio. Poi nel 2005 è la volta dei ‘Colloqui con Nino’ , una sorta di introspezione nel passato e nell’educazione sentimentale.
Il 2009 segna l’uscita di ‘In questo progresso scorsoio’, conversazione con il giornalista e amico Marzio Breda. Un testamento spirituale in cui il poeta esprime l’angoscia del tempo presente. La poetica di Andrea Zanzotto è fortemente innovativa e declina un’avanguardia estremamente personale. Una rarefazione del linguaggio frutto di un’intervento di pulizia e recupero di fonemi ascrivibili quasi a un linguaggio infantile ma al contempo colto. Amplissime e frequenti le sue incursioni nell’universo semantico del greco classico, che il poeta sa intrecciare con visionaria precisione dell’etimo al suo verso sempre misura, sempre minutamente cesellato.
Zanzotto non è un oratore civile, a differenza da altri protagonisti, nel panorama letterario italiano che gli furono pure amici. Ma non mancò proprio nel giorno del suo ultimo compleanno, sul limitare dell’intera sua esistenza, di intervenire con parole nette e vibranti su di un tema di stringente attualità nel dibattito politico. Ebbe a dichiarare in un’intervista al quotidiano ‘La Stampa’, “Mi ha fatto molto piacere sentire il Capo dello stato riaffermare l’unità d’Italia e liquidare certi giochi di parole che negli anni avevano creato un imbroglio. La Padania non esiste, il popolo padano neppure. Questa è una storia più che ventennale di equivoci e spettri. La riaffermazione di Napolitano potrà darci il senso di una tregua. E sono convinto che piano piano questo fantasma sparirà”.
…in una intervista, mi pare nel giorno del suo novantesimo compleanno, il giornalista gli ha chiesto se avesse compreso il senso della vita. E lui, con un sorriso e gli occhi illuminati, ha risposto: ho novant’anni, per comprendere il senso della vita ce ne vogliono novecento…
e io mi sono commossa.
ev