Alberto Bevilacqua nei Meridiani

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copertinaE’ uscito il Meridiano di Alberto Bevilacqua. I primi sette romanzi, la scatola nera dell’opera di uno dei più grandi scrittori del nostro tempo.
L’arrivo ai Meridiani è il riconoscimento all’uomo, alla personalità, allo scrittore, alla sua appartenenza alla nostra civiltà culturale il cui lavoro si è espresso sempre in maniera non comune e con grande indipendenza intellettuale. Curato e introdotto da Alberto Bertoni, il Meridiano Bevilacqua «Romanzi» offre anche una cronologia redatta da Antonio Franchini, cronologia che è un vero e proprio racconto di un figlio del secolo. E pochi nostri narratori del Novecento possono, ritengo, ambire a simile sostanza.

Bevilacqua ha raccontato, parlando dell’amore verso la sua Parma, che proprio in quell’ambiente, in quei luoghi,  ha maturato quella vocazione al romanzo dove ha sempre dimostrato, e qualche volta ostentato, il staccarsi e ricongiungersi incessantemente con la sua città culla, madre e radice di tutte le sue avventure. Che si sono trasformate, col tempo, anche in poesia: «La polvere sul’erba» (del ’55, ripubblicata nella versione del 2008), «Una città in amore» (’62) qui  nella versione 1970, «La Califfa» (’64), «Questa specie d’amore» (’68), «L’occhio del gatto» (’60) qui nella versione del ’90, «Una scandalosa giovinezza» (’78), «I sensi incantati» (’91). Dunque: le radici, come dicevo, il capolavoro, costantemente rifornito di linfa e di occasioni, con i due libri imperdibili, «La Califfa» e «Una scandalosa giovinezza», forse il migliore romanzo di Bevilacqua, la narrazione nella quale la favola e le insidie si sono fuse in una stregata realtà.
Il perimetro di questa operosa presenza resta lineare, e da vicino, quasi di dentro, appare così: «La Califfa» esamina il conflitto tra borghesia e proletariato e diventato negli anni un libro che ambisce al “classico”: un vero capolavoro di romanzo civile. «L’occhio del gatto» con dieci anni di storia spiati dall’angolo della violenza e dell’ingranaggio tecnologico. «Questa specie d’amore» ripropone il dissidio tra Federico e Giovanna che si odiano e si amano  tra  pericoli e speranze. «Una scandalosa giovinezza» è ancora oggi il poema compiuto perché s’intride di estri, sanguigne passioni, piaghe nascoste, e, insomma «di quella cosa che chiamano vita. E che poi non si sa». Zelia è il più bel personaggio inventato da Bevilacqua, è il più antico e nuovo insieme, è personaggio di romanzo, di famiglia, di mistero e di virtù, anche quando incontra «gente senza storia, già condannata dalla storia del mondo».
Ma Bevilacqua è così. Attorno ai suoi protagonisti avviluppa sempre un reticolo di segrete partecipazioni personali (la poesia ce ne dà piena  giustificazione) che non sono soltanto il suo grande Io, ma anche il tentativo di redigere un codice dell’indignazione e della sopportazione morale con le quali il narratore cerca di compiere un dovere, il suo dovere di testimone.
I sette romanzi del Meridiano portano Parma al centro, sempre. Alberto  o le sue controfigure vi arrivano, vi permangono, ne ripartono, vi ritornano (sposati, divorziati, separati, padri, figli che siano), colgono gli umori del tempo che filtrano tra le piazze e le case dell’Oltretorrente, nelle osterie, sui marciapiedi del centro, nei salotti borghesi dove l’umano spirito si purga e trama, e guadagna e si compromette. 
A tratti, si scorgono i margini del laboratorio di scrittura, come un vero e proprio marchio di fabbrica dell’autore costruiti sulla traccia dei grandi maestri della nostra letteratura: D’Annunzio, ma anche il più contemporaneo Savinio per non parlare del fatto che anche la musica ne abbia influenzato, e molto, il carattere; uno per tutti: Gioacchino Rossini. Non a caso, nei suoi libri, ci si trova invischiati nel solenne rituale realistico; in altri momenti si avverte come un sottile, crepuscolare rimpianto, un addio sempre rimandato e il ritmo del «viaggio misterioso», tra vita e morte, che troverà poi in anni più recenti il toccante cordoglio della poesia alla madre, altro insuperato esempio di umanità e di «pietas».
Ma quanto ancora adesso stupisce e incanta trovando i testi in sequenza cronologica fra gli anni Sessanta e Novanta (riscritture comprese) è la separatezza piuttosto evidente che Bevilacqua vuole conservare tra sé e le mode letterarie, come ha più volte sostenuto: «Le mode sono facili. Le verità, no».

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