Non molto tempo fa, rispondendo alla richiesta di consigli di lettura della nostra amica Paola Manduca, abbiamo finito inevitabilmente a parlare di letteratura. Non facciamo i critici letterari per mestiere, intendiamoci; siamo solo un gruppo molto eterogeneo di persone che condividono da diverso tempo una grande passione per i libri, motivo sufficiente per scambiarci alcune esperienze di lettura. Talvolta queste esperienze diventano cosa scritta per i lettori di queste pagine.
Di quel breve scambio di messaggi, mi è rimasta impressa una fulminante considerazione di Paola a proposito di quelli che lei definisce libri furbi. Questa semplificazione ha aperto le paratie di una diga piena di pensieri che sono precipitati a valle. Provo, cioè, la sensazione spiacevole di aver perso molto tempo a leggere libri che non mi hanno aiutato, come dice la Yourcenar nei taccuini in coda alle Memorie di Adriano, “ad ammassare riserve contro un inverno dello spirito”. Molta letteratura è stata intrattenimento fino a se stesso.
Mi è sembrato di tradire un principio non scritto da nessuno secondo cui i libri furbi sono quelli che ingannano il lettore intrappolandolo in storie che lo tengono “incollato” pagina dopo pagina ma che alla fine non restituiscono nulla in cambio del tempo dato. Preciso: non ho mai buttato un solo libro in vita mia. Piuttosto, mi è capitato di abbandonarne qualcuno su una panchina a beneficio di altri oppure di donarli a qualche associazione che li mette a disposizione di chi non può comprarli. Perciò, ho fatto volare il libro, il cui titolo non sarà mai rivelato, dentro una speciale scatola che ho a portata di mano.
Durante gli anni di studio ricordo bene la lezione di Umberto Eco degli Apocalittici e integrati. Non metto in dubbio che c’è una tendenza oggi a trasformare il senso delle cose, peggio: a semplificarle. Compresa la letteratura. Di qui a dire, come purtroppo ho sentito durante una presentazione, che “Se questo è un uomo” è un libro interessante, ce ne vuole davvero tanto. Ha ragione quindi la nostra amica Paola Manduca a sottolineare la nascita di un nuovo genere letterario: i libri furbi (e a riconoscere persone cui hanno dato ripetutamente padellate sulla testa, cito ancora la Manduca). Appunto.
Il pippone era per introdurre lor signori alla cronaca di lettura che segue.
Con Inverno, Ali Smith è giunta a metà della tetralogia dedicata alle stagioni iniziato con Autunno, selezionato per il Man Booker Prize il 2017. Il libro non è un sequel del precedente ma ne condivide alcuni argomenti e qualche osservazione sull’arte, la famiglia e la politica. L’autrice, anzi, coglie l’occasione per togliersi dei veri macigni dalle scarpe a proposito di Brexit e di politica-reality dell’ancora-per-poco presidente americano, con una serie di narrazioni solo apparentemente separate, corroborate da numerosi flashback che s’inseriscono in un intricato collage di situazioni a volte paradossali a volte divertentissime, e con molti giochi di parole.
Nel libro, le sculture di pietra di Barbara Hepworth, i film con Elvis Presley (“GI Blues”), Charlie Chaplin (“Il grande dittatore”), Elizabeth Taylor, i romanzi di Dickens e le opere di Shakespeare informano della natura metaforica del romanzo consumato dalle macchinazioni familiari. Il romanzo si svolge durante le vacanze di Natale e riguarda principalmente la ri-unione di due sorelle estranee tra loro, Sophia Cleves e Iris. Sophia è una donna d’affari di grande successo in pensione e vive nella dimora con una quindicina di stanze da letto che possiede in Cornovaglia. Sophia incarna la stagione dell’inverno: ha superato la mezza età, è impaziente ed è dura. Ancora peggio, sembra essere insensibile alla sofferenza che sa esistere nel mondo e verso Iris che questa sofferenza ha cercato di combatterla per tutta la vita. Sono passanti trent’anni da quando ha visto Iris l’ultima volta ma è ancora assai poco sollecita a comprenderne la natura ed è la ragione di tanta irritazione verso la sorella compresa la convinzione di considerarla un’”attivista radicale” e “mitologa senza speranza“.
È quasi Natale, un periodo caratterizzato, a dirla con le sue parole, come “un esercizio per ricordare come fermarsi e poi tornare alla vita in modo flessibile“. Sophia invita il giovane figlio, Artie (Arthur) e la sua ragazza Charlotte, a trascorrervi le brevi vacanze. L’unico problema è che, all’insaputa di Sophia, Artie ha da poco lasciato Charlotte e, per evitare inutili discussioni familiari, ha assunto una giovane coetanea croata, Lux, per farla passare come la sua nuova fidanzata (per un migliaio di sterline). Art scrive un blog sulla natura spacciandosi per un ecologista, ma vive la natura attraverso i video di YouTube che guarda comodamente dal divano di casa e la banalità dei suoi post sul blog riflette la falsità delle sue esperienze e della sua identità pubblica.
Artie e Lux vengono raggiunti da Iris che si unisce con sorpresa alla riunione di famiglia, senza mettere in conto che le “porte della reminiscenza”, cito il libro, tra le due sorelle si aprano su una serie di disastrosi scontri di classe, e durissime recriminazioni che culminano in una serie di rivelazioni di segreti di famiglia le cui situazioni, abbastanza comiche, le fanno somigliare tantissimo alle storie di casa nostra. Uno spasso.
Per dirla con Barbara Hepworth, la già citata artista, il romanzo è come una sua scultura, “ti fa camminare attorno e guardare attraverso i diversi lati, vedere cose diverse da posizioni diverse“, lo stile di Ali Smith fa sì che il lettore faccia lo stesso con il racconto, come “vedere dentro e fuori qualcosa contemporaneamente”. Una scrittura, questa, che fa di Ali Smith una delle voci più importanti della letteratura contemporanea del Regno Unito.
Dickens e Shakespeare, ampiamente presenti nel racconto, sembrano essere anche i nomi tutelari del testo. Imprimono al romanzo lo stesso timbro di A Christmas Carol sotto forma del gruppo di persone sotto l’esame delle proprie colpe durante le loro peregrinazioni natalizie in Cornovaglia; ma è il Cimbelino (*) di Shakespeare, il cui rimando connota con forza il libro, commedia assai amata da Lux, ad essere lo specchio del racconto di Ali Smith. Lo vedo, cito la falsa fidanzata e giovane protagonista, come una “farsa ingarbugliata di un pasticcio”. È come se le persone nella commedia vivono nello stesso mondo ma separatamente l’una dall’altra. Compresa lei stessa. Qui tutti fingono di essere qualcuno o qualcos’altro. Sophia a un certo punto afferma una verità semplice sulla sua famiglia riguardo che “alla fine il bilancio ritorna e tutte le bugie sono rivelate e le perdite ricompensate” e percepisce la storia famigliare come dentro “un’opera teatrale in un regno sommerso dal caos: dalle menzogne, ai cosiddetti poteri energetici di sua sorella, dalla divisione e da una grande quantità di avvelenamento e auto-avvelenamento“. Queste sono descrizioni di una famiglia che ha perso il senso di sé.
Quando l’Inverno finisce, mi si passi la facile battuta, con la famiglia Cleves e i nevrotici messaggi post vacanze mandati in copia da Artie alle due sorelle (sua madre e la zia Iris) che le manda in bestia entrambe, il lettore sorride di gusto sperando che come “selvaggio vento occidentale“(**) di Shelley citato con Keats da Sophia, che soffia come un presagio di una “primavera non molto lontana“, la Primavera di Smith (appena tradotto) non tarderà ad arrivare, con il primo, sul mio tavolo.
Finisco con un’ultima riflessione. Nella seconda pagina del romanzo, Smith scrive che la storia “parla di cose reali che stanno realmente accadendo nel mondo reale che coinvolgono persone reali in tempo reale sulla terra reale”. Affida questa aderenza con la realtà alle pagine conclusive del libro, dove l’inverno sembra essere tornato in luglio con Trump che definisce Natale il momento in cui gli americani torneranno a spendere soldi dopo tanta austerity. (***) Beh! S’illude: il mondo auspica non abbia la possibilità di ripetere le molte sciocchezze dette in questi quattro anni.
Vale per i lettori e la nostra amica Paola Manduca, questo è un buon libro per niente furbo che potrà leggere sicura che non ruberà il suo tempo e di nessun altro.
Per BookAvenue, Michele Genchi
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note:
*Il Cimbelino è un dramma romanzesco che curiosamente combina un episodio di storia britannica all’epoca della dominazione romana con una novella del Decamerone. Protagonista del dramma è la bella e innocente figlia di Cimbelino, Imogene, che si trova al centro di una complessa rete di forze che vorrebbero imporle le nozze con il figlio della matrigna. Solo dopo un’innumerevole serie di equivoci, travestimenti e colpi di scena, Imogene riuscirà a riabbracciare il marito segreto Postumo, a ricongiungersi con il padre e a propiziare una nuova alleanza tra romani e britanni. (dal retro di copertina del libro) Christmas Carol non ha bisogno di essere ricordato.
** Percy Bysshe Shelley, Ode al vento occidentale tr. da Nuovi argomenti
***Trump all’associated press conference 2019.
Il libro:
Ali Smith. Inverno, BigSur edizioni