“Uno scrittore argentino che insegna l’arte di narrare.
La crepa abissale che a volte si apre tra gli esseri umani e l’amore come ponte
sono i motivi ricorrenti di un’opera di grande spessore”.
Beatriz Vignoli
Prima di perdere se stesso, un uomo aveva un nome. Oggi, si fa chiamare Pessoa.
Ancora bambino, sta schierando i suoi soldatini attorno al gigante di ferro, quando il gigante parcheggia l’auto davanti a casa e spara due colpi di pistola. Il bambino – che un giorno diventerà l’uomo – “smette di parlare con Dio”. Anni dopo, da ragazzo, si ritrova coinvolto in un crimine tremendo e per questo passa diciassette mesi in un carcere minorile.
Esce dal carcere e cammina per le strade cercando vendetta. Le strade sono quelle di Rosario tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta. Viene accolto a casa di una zia, ma la donna è troppo impegnata nel suo personale regolamento di conti con Dio per poterlo vedere e quindi amare. Il giovane uomo sceglie di nuovo le strade di Rosario, finché approda alla locanda gestita da una donna – la Turca – che porta sul volto il ricordo della passione e della bellezza. L’Argentina è uscita da poco dall’incendio della dittatura: alla pensione della Turca, i sopravvissuti danzano le loro vite danneggiate, come farfalle colorate che si alzano dalle macerie. C’è Sánchez: con la sua musica, i suoi vinili e soprattutto con il suo nome, che è il nome del vero Roberto Sánchez, “l’Elvis argentino”. C’è la Turca e c’è la paraguayana, coi figli dai nasi gocciolanti che corrono di qua e di là. Poi ci sono gli studenti, che forse ancora non hanno un nome. Insomma, la locanda è la sgangherata famiglia di chi è in viaggio nella vita e di chi ha imparato a stare a galla in acque profonde, ma forse è anche il circo della nostra anima.
Eppure, l’anima dell’uomo è rosa da un tarlo buio. Ha una vendetta da compiere. Insegue un’ombra per le strade di una città che sta conoscendo le violente privatizzazioni, la crisi ferroviaria e la politica di Carlos Menem. L’ombra – che presto diventa la sua – lo attira in una stanza dalle tende tirate, dove una vecchia cieca ascolta storie lette ad alta voce e una ragazza attende la morte di suo padre. Che cosa troverà Pessoa? Che cosa resta, oltre il fuoco che in un attimo brucia l’esistenza di un uomo e di un intero paese?
Oltre il fuoco, ultima opera narrativa del giornalista e scrittore argentino Javier Nuñez, è un romanzo di formazione ed espiazione. Possiede la magia delle storie semplici che si divorano in poche ore, ma i suoi riverberi richiamano il lettore anche dopo molto tempo. È una storia sul potere della letteratura di riportare l’uomo all’amore essenziale che lo abita, e di risanare le ferite dell’errore, della colpa, dell’odio e del dolore.
“Volevo ricominciare”, dice il protagonista nella prima riga del romanzo. “Non avevo letto molto di Borges e non sapevo che preesiste un futuro, che dal momento in cui Paride si innamora di Elena, Troia è già in fiamme”. Leggendo e rileggendo questa storia, ho pensato che uno dei grandi temi della letteratura è proprio questo: rivelare che il Tempo ha più a che fare con la poesia, che con gli orologi. Il Tempo, in narrativa, è circolare. O forse assomiglia all’esplosione del Big Bang: va in tutte le direzioni, compreso il ritorno. La prima pagina di un buon libro comprende sempre l’ultima riga, uguale e diversa così come lo sono le variazioni in una partitura musicale. E così appare, a volte, anche la Storia. I poeti e gli scrittori pensano spesso il tempo della vita in questo modo, e forse la pensava così anche Fernando Pessoa, uno dei più grandi poeti portoghesi. Sembra che dietro questo romanzo ci sia proprio lui, forse in molti modi…
Il poeta fornisce il nome al personaggio, che è anche la voce narrante. Durante i mesi bui della colpa e della permanenza nel carcere minorile, il ragazzo segue un laboratorio di scrittura con l’insegnante Aragòn. Il mentore gli dona un seme: Il Libro dell’Inquietudine di Fernando Pessoa. È l’unico testo che il giovane non riesce a leggere, ma “i libri hanno pazienza” – dice il maestro – perché sono concepiti per andare oltre il tempo, dato che la loro essenza è l’amore. Difatti, il libro salterà fuori di colpo dalla valigia e rimbalzerà nelle parole della Turca. Non sappiamo se a dare un nuovo nome all’uomo sia stato il vecchio maestro, la Turca, oppure il libro e in esso la volontà del poeta portoghese. D’un tratto, il personaggio rinasce alla vita con il nome di Pessoa: Persona.
Sebbene la storia sia ambientata in Argentina e tratti della formazione di un’identità attraverso la violenza subita, perpetrata e interiorizzata, mi sembra che la parola della letteratura – nella figura del poeta Fernando Pessoa e del cantautore Roberto Sánchez – sia quasi la matrice del racconto. Quel libro – donato – trascenderà il tempo e risanerà l’anima, fornendo prima la maschera, poi la chiave per costruire una nuova narrazione degli eventi, e infine un’identità matura e una nuova vita. È la radice del termine matrice a suggerirmi il paragone. Matrice significa “utero” e “madre”: è quindi la femmina iniziale, l’azione creatrice che stabilisce la griglia entro cui il mondo verrà disegnato. È un vincolo, e per questo fornisce la possibilità dell’infinito.
Qui, il canto dell’artista è davvero matrice e griglia della storia. Ogni capitolo è infatti preceduto da una citazione dai testi del cantante Roberto Sánchez. Su un foglio, possiamo mettere le citazioni in fila l’una accanto all’altra, e con esse creare una storia: una promessa che diventi un destino che diventi di nuovo promessa. Oppure, possiamo leggere i capitoli nell’altra direzione, verso il basso: calandoci nella profondità di ogni citazione, per esplorare ogni singolo mondo generato dalle parole della letteratura, della poesia, della musica.
Questo è ciò che anche Fernando Pessoa aveva in mente di fare: generare mondi. E non è ciò che fa la letteratura? Non è ciò che fa l’amore? Le parole creano, così come Dio disse e le cose furono. È nella parola trasparente che le cose prendono vita, ma per dire la verità dell’anima bisogna prima conoscerla. Per questo il viaggio di espiazione: per arrivare oltre il fuoco e oltre il tempo. Qui, il divino creatore dei mondi è proprio il poeta, con i suoi versi incisi prima di ogni capitolo, come cammei. E il poeta trovatore, che apre ogni capitolo come un sipario, è Roberto Sánchez. Ma il gioco diventa magia se pensiamo a quel libro di un grande poeta portoghese: il dono di un insegnante di scrittura creativa a un ragazzo dall’anima straziata dalla colpa. Un ragazzo che gli altri chiameranno proprio come il poeta – “Pessoa” – prima ancora che lui legga il libro, prima ancora che legga se stesso.
Pessoa, in portoghese, significa “Persona”. Quindi d’incanto, in un gioco di specchi, il Poeta che cerca la verità per generare mondi dalle macerie… SIAMO NOI, i lettori con un libro in mano. Di colpo, la parola creatrice è quella della letteratura, e come ci ricorda la vecchia cieca – che non ha bisogno di occhi per vedere – è anche la nostra parola. “Bisognava avere coraggio per restare”, dice ricordando a Pessoa il crimine commesso, “e mi viene in mente soltanto una cosa che richieda più coraggio”. “Che cosa?”, le chiede Pessoa. “Dirlo”.
Ma torniamo al principio. Quella pistola non doveva sparare di fronte al bambino. Il giovane non doveva gettare benzina sul fuoco. L’ingiustizia non doveva avere luogo. Ma è accaduta. E perché non accada mai più, né in Argentina né nelle nostre piccole vite, dobbiamo saper guardare oltre il fuoco. Cosa resta, dunque, oltre il tempo e oltre l’identità? Oltre l’ego ferito che diventa prima difesa e poi violenza? Non daremo un nome alla Fenice. Forse è la dirompente e purissima energia che abita l’uomo e al tempo stesso trascende la sua crudeltà. Forse è quella luce per cui, anche rotti e afflitti, cercheremo ancora un eterno inizio. Mettere le mani tra la cenere per mostrare la fenice è il compito della letteratura. Soprattutto, è lo sporco lavoro dei poeti.
Oggi che ha ritrovato se stesso, l’uomo si fa chiamare Pessoa.
Per BookAvenue, Silvia Belcastro