Il mondo ha bisogno di dialogo e albi da colorare. Ma il libro italiano è più vivo che mai.
Tutto comincia sull’aereo. C’è un frusciare di pagine e cataloghi, libri che vengono sfilati dai trolley e penne che fanno click. Le mie antenne captano la presenza di librari, giornalisti, scrittori, editori. Al mio fianco siede un signore che legge articoli di letteratura: dopo pochi minuti stiamo già chiacchierando e quando scendo dall’aereo ho i numeri di telefono e le dritte necessarie per affrontare la fiera. Ci salutiamo senza rivelare i nostri nomi, come due lettori eversivi in Farenheit 451, tacitamente uniti nel progetto di salvare il libro dal fuoco.
Il mio compito è prima di tutto capire l’aria che tira negli stand italiani riguardo a questo tema: che fine farà il libro? C’è un futuro per la lettura, i librai e le librerie? La sera prima leggo alcuni articoli usciti sulla stampa italiana. Quello di Giorgio Lonardi, comparso su “Repubblica – Affari e Finanza” il 12 ottobre, è una serie di numeri e percentuali che servono a dimostrare che dall’inizio dell’anno “si è arrestata la caduta del libro di carta mentre è rallentata sensibilmente la marcia dell’e-book”, ma soprattutto che “dopo tre anni di crisi sono tornate a correre le librerie indipendenti che tirano la volata a tutto il settore”.
“La Buchmesse del dialogo”, comparso su “Avvenire” il 14 ottobre e firmato Alessandro Zaccuri, tocca invece un altro tema scottante. Il 2015 è l’anno in cui gli scrittori si sono già divisi sull’assegnazione del PEN Prize per la Libertà di Espressione alla redazione superstite di Charlie Hebdo (ve ne ho parlato di recente in un articolo su Joyce Carol Oates). Dunque è una scelta forte quella del direttore della fiera di scegliere Salman Rushdie per il discorso di apertura, la voce che più di ogni altra ha tuonato – nel maggio scorso – contro un concetto di libertà di espressione vincolata al “politicamente corretto”. Salman Rushdie, l’autore dei Versetti Satanici che nel 1989 si guadagnò una condanna a morte – ancora pendente – da parte di Khomeini. E ancora Salman Rushdie, per la cui presenza l’Iran ha ritirato i suoi espositori (vedremo infatti alcuni stand vuoti con un grande cartello che dice: I love Mohammad).
Tutt’altro che una fiera della vanità quella che ci si trova davanti entrando nei padiglioni più grandi e frequentati, quelli del mercato anglosassone. Ovunque si possono trovare manuali di autoaiuto, coaching, spiritualità, “mindfulness” (meditazione della consapevolezza) e albi da colorare per adulti. Sembra che l’intero occidente abbia prima di tutto bisogno di uscire da una crisi interiore, di meditare, di ricongiungersi a un imprecisato Tutto e di ritrovare un’armonia interiore che in editoria si esprime evidentemente in pile di albi da colorare. Ogni stand ne ha infatti almeno uno, non importa quale sia la casa editrice. Insomma, c’è aria di cambiamento più che di fricchettoneria, ma è un cambiamento non ancora maturo. Sembra più che altro una necessità di riconfrontare oriente e occidente in tutti gli aspetti della vita (lavoro, famiglia, medicina, spiritualità…), ma che a quanto pare non tiene ancora conto della realtà.
Già, la realtà… dove sono i libri scientifici? Giro per tutti gli stand della sezione anglosassone, senza eccezione. Australia, Canada, Stati Uniti, Gran Bretagna. La politica e gli affari internazionali vanno per la maggiore ma… dov’è l’ambiente? Dove sono i cambiamenti climatici, le malattie ambientali, la questione dell’acqua, le sementi, le guerre del cibo? Perché esporre tanta politica se manca quel mondo contemporaneo che è il RISULTATO della politica?
Un’anziana signora mi fa cenno di avvicinarmi al suo stand. Mi mostra una foto in un libro: è lei a quattro anni. L’incantevole somiglianza con Toni Morrison sarebbe di per sé sufficiente a mollare qualunque altro progetto, mettere a bollire un the (ci sono molte teiere in giro) e passare qui il resto del pomeriggio… ma poco più avanti Navid Kermani sta parlando. Navid Kermani, saggista tedesco figlio di immigrati iraniani ed esperto di questione mediorientale. E’ alla fiera per ricevere il Peace Prize of the German Book Trade dall’Associazione degli Editori e Librai Tedeschi, un’altra volta un prestigioso premio alla volontà del dialogo interculturale e interreligioso.
Ma andiamo avanti, perché è nel padiglione 5 che il cuore comincia a battere: qui si parla italiano. Entrando scorgo lo stand della E/O, dove una donna mi ricorda insistentemente le rare foto di Anita Raja. “Elena Ferrante” qui? Ma arrivo allo stand del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol e chiedo se qualcuno vuole parlare con me. Trovo il Direttore Generale in persona. Gli chiedo se è vero quel che si dice, che stiamo uscendo dalla crisi e c’è una rinascita delle librerie indipendenti. “Assolutamente si”, risponde serafico. Mi spiega che le indagini di mercato hanno rilevato un’inversione di tendenza negli ultimi nove mesi. La crescita del digitale si è assestata ma soprattutto si pubblicano – udite udite – nuovi libri italiani. “La prevalenza è la narrativa”, dice, “perché la saggistica è un po’ calata dopo la fine dell’emergenza Berlusconi. Se infatti con Berlusconi la gente voleva informarsi, Renzi il popolo lo anestetizza”. Gli chiedo se è il caso di essere ottimisti e mi risponde con il sorriso di chi la sa lunga: “Con l’ottimismo è meglio essere cauti ma si… sono ottimista. La grande distribuzione in fondo amplifica i fenomeni, ma non li crea. Il best-seller si crea ancora nelle librerie. Sono i librai, quelli colti e competenti, che fanno nascere i libri. Le confesso che, avendo poco tempo, anche io compro spesso online, ma quando cerco qualcosa di particolare chiedo al mio libraio di fiducia. E’ lui che sa cosa può interessarmi e mi dice: <<Ecco qua, leggi questo>>. Chi potrebbe mai sostituire una figura così?”.
Prima di uscire attraversiamo il padiglione della nazione ospite di quest’anno, l’Indonesia. Un’installazione riempie la sala di enormi lampade di carta azzurrata che pendono su un lago d’ombra. Dal buio emergono, come scrigni di luce, dei libri aperti. Su ogni lampada campeggiano le parole di uno scrittore. La sala è invasa della poesia e dal dolore del popolo indonesiano, ma soprattutto è invasa dalla poesia che canta se stessa. Stando qui sembra che la magia della lettura, di un libro e di un bravo libraio… non possa mai avere fine. Sembra che i librai e i loro lettori siano in fondo destinati a uscire dai boschi in cui si nascondevano in Farenheit 451. E’ tempo di libri, dice questa sala, in qualunque forma. Siamo arrivati qui dopo che ogni singolo angolo della fiera gridava la stessa cosa, che l’immaginazione letteraria è l’arma degli uomini di pace contro la guerra e il buio.
Un libro illuminato dall’alto, nel buio: è questa l’unica immagine che decido di portare via con me.
Per BookAvenue, Silvia Belcastro