Qualche tempo fa, in una conversazione telefonica con il mio amico Marco Crestani, avevamo diffusamente e amorevolmente parlato “della” Munro. L’occasione era l’annuncio di Einaudi della pubblicazione di un inedito, disponibile in libreria, con il titolo: “La danza delle ombre felici”. Le nostre parole (e il relativo costo della lunga telefonata) furono portatori, in tutta evidenza, dei buoni auspici sperati, a vedere come poi sono andate le cose… (con un carico da Nobel!) Ma chi è Alice Munro e che cosa scrive è un lavoro che andava fatto a beneficio dei lettori di Bookavenue. Ben lontani dal decidere di essere altro (quello del critico, non è il mio e nostro mestiere qui), ho voluto fare ricerca per capire – io per primo – chi è e cosa ha scritto il premio Nobel.
Avvertenza: ci vogliono circa 15 minuti per leggere tutto quello che segue. Decidete prima se volete procedere sapendo che, facendolo, dareste enorme soddisfazione ad un onesto, serio e accurato lavoro di redazione. La signorina Paola Manduca, sono certo, sarà felice che me ne sia occupato.
Dopo anni passati ad essere uno/a tra i candidati più quotati, Alice Munro ha finalmente vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 2013. «Master of the contemporary short story», così l’ha definita Peter Englund, l’allora segretario dell’Accademia di Svezia, nel darne l’annuncio. Munro è stata la tredicesima donna a vincere il Premio Nobel per la Letteratura, e la prima canadese dai tempi di Saul Bellow (premiato nel 1976), che però il Canada l’aveva lasciato molti anni prima di cominciare a scrivere. Lei, invece, pur avendo girato il mondo continua ad abitare in Ontario, a poche miglia dalla casa dell’infanzia. In quella terra alla quale, come ha dichiarato più volte, «sente di appartenere» e dove ambienta molte delle sue storie. Se, come l’autrice afferma, «la memoria è il modo in cui non cessiamo di raccontare a noi stessi la nostra storia e di raccontare agli altri versioni in certa misura diverse della nostra storia», allora Alice Munro dispone del dono straordinario di attingere a un repertorio di materiale privato senza mai esaurirne la forza.
Senza distogliere mai lo sguardo da ciò che pulsa e vive, Munro è stata in grado di superarsi ad ogni nuovo libro, e lo ha fatto sempre con un’eleganza naturale, senza compiacimento e senza enfasi, semplicemente applicando alla scrittura un istinto che non ammette concessioni alle «buone maniere» letterarie. La sua lingua è curata nel dettaglio eppure non è mai esibita, i colpi di scena avvengono fuori campo, non ci sono «scene madri» né risoluzioni compiute dei drammi. Ma proprio nello spostamento del fuoco dal fuori al dentro, nella minutaglia di gesti che sono residui o premesse delle grandi azioni, nella sospensione in cui Alice Munro ci congeda in un momento che non è mai quello che avevamo immaginato come fine, che possiamo cogliere, stagliata in controluce, l’essenza formidabile delle sue opere.
Questa autrice eccezionale sa vedere davvero la banalità del male nella vita di ogni essere umano, con un’intelligenza di sguardo e una profondità tale da trasmettere l’impressione che nello spazio breve di un racconto ogni vicenda umana possa essere compresa ed esplorata in tutta la sua complessità. Con maestria, ci guida nelle sue storie dandoci l’illusione che sia lei, invece, a percorrere le nostre strade, come se scrivendo non facesse altro che leggerci nel pensiero, mettere in parole quello che non abbiamo il coraggio di immaginare o ricordare. Ed è sorprendente scoprire, un racconto dopo l’altro, quanto mondo è in grado di farci attraversare. «Non è cambiato il suo modo di narrare ,ha scritto Susanna Basso ,è solo un po’ più lontano il luogo dove ci porta a incontrare noi stessi».
La prima raccolta delle sue storie uscì quando Alice Munro aveva trentasette anni. Era il 1968 e La danza delle ombre felici ottenne immediatamente l’attenzione di critici e lettori, e si aggiudicò il Governor General’s Literary Award, il più importante premio letterario canadese. In uscita per Einaudi alla fine di ottobre, il libro contiene in nuce tutti i temi e le atmosfere che Munro esplorerà negli anni, racconto dopo racconto, nella convinzione che «la complessità delle cose ,delle cose dentro le cose» è infinita, ed è questa complessità che lei racconta, andando ogni volta più affondo, imparando (e insegnandoci) ogni volta qualcosa in più. Tra le storie di La danza delle ombre felici c’è anche La pace di Utrecht, «la prima storia che dovevo assolutamente scrivere», ha detto l’autrice, che in queste pagine affronta il faticoso rapporto con la madre malata di Parkinson.
Due anni dopo esce Lives of Girls and Women, e nel 1974 i tredici racconti di Something I’ve Been Meaning to Tell You. Nel 1978, Alice Munro si aggiudica per la seconda volta il Governor General’s Literary Award con Chi ti credi di essere? Munro non ha mai scritto altro che racconti, ma nel caso di questo libro si è spesso ,per quanto erroneamente ,parlato di romanzo: ognuna delle dieci storie ha infatti al centro un’unica protagonista, Rose, raccontata da un narratore provvisoriamente onnisciente, che organizza in ordine cronologico gli episodi della sua vita e ne lascia emergere il disegno complessivo, tra desiderio di fuga e consapevolezza della necessità di restare. Rose è bambina ribelle e pensosa nel primo racconto, poi avida lettrice che tiene a bada il pensiero del padre ammalato a furia di Shakespeare e Dickens; adolescente in viaggio dalla piccola West Hanratty a Toronto; giovane innamorata; donna fedifraga; madre nervosa di una bambina piú saggia di lei, e infine Rose è la donna matura che torna là dove tutto era cominciato, e ritrova il filo ininterrotto di un’esistenza interiore.
Le lune di Giove (1982) raccoglie storie di donne le cui vite sono giunte a una svolta. Una svolta dell’età o del gusto, della rabbia o della passione, una delle piccole o grandi svolte quotidiane che plasmano le vite e i caratteri, e che potrebbero forse passare inavvertite non fosse per la scrittura vivida e acuminata che le individua e le svela. Sono tutte donne alle prese con relazioni sentimentali difettose, e Munro racconta i loro tentativi di affrontarle senza illusioni ma anche senza cinismo. Donne caparbie, spiritose, amare, sempre lucidissime, con un tratto comune: l’imperativo categorico di non voltarsi mai indietro.
Ogni vita nasconde un segreto e un mistero, e la scrittura di Alice Munro li svela seguendo itinerari solo in apparenza tortuosi: all’improvviso le immagini fumose dell’inconscio acquistano un nitore abbagliante, la verità si manifesta e stordisce un lettore già ipnotizzato, sedotto.
Nel 1989, con Il percorso dell’amore, l’autrice mette in scena i trabocchetti e gli inganni della memoria, con dei racconti che pure sono pieni di trabocchetti e di inganni: ecco, questo è uno dei talenti più incredibili di Alice Munro. La capacità di imprimere alle sue storie svolte improvvise, ma senza forzature, semplicemente portando in superficie qualcosa che già era lì, nascosto nelle cose, come un ricordo riposto in un angolo della memoria. E in realtà il lettore, trascinato dall’apparente semplicità della scrittura, si trova spesso, verso la fine di un racconto, a tirare un respiro di sollievo, esausto, per poi accorgersi che la vera rivelazione è proprio nell’ultimo paragrafo…
Dopo Friend of My Youth, pubblicato nel 1990, arriva Segreti svelati, otto ritratti famigliari sullo sfondo opaco della provincia canadese, otto protagoniste tratteggiate con ironia e partecipazione, che rivivono le loro esistenze fatte di solitudine, di incomprensioni, ma anche percorse da passioni segrete. Come Louise, che vede riaffiorare, in un momento inaspettato, il suo sogno d’amore vissuto durante la guerra; o Gail, che si finge quella che non è per scoprire cosa le ha portato via un rapporto che credeva indistruttibile.
Otto storie di donne sono anche quelle raccolte in Il sogno di mia madre (1998), forse il libro che ha finalmente destato l’attenzione del grande pubblico su una scrittrice che la meritava da tempo. Otto racconti che, come ha scritto Antonia Byatt, «contengono elementi del probabile e insieme fratture e disastri. L’interesse di Munro è da sempre rivolto sia al tessuto della “normalità” sia al colpo di forbici che lo taglia di netto… Sono storie di morti violente, di nascite altrettanto violente».
Uscito nel 2001, Nemico, amico, amante… è fatto di nove racconti perfetti, che possiedono la straordinaria capacità di trascinare il lettore nei meandri di una memoria che non è la sua per risvegliare emozioni che sono di tutti. La scrittura della Munro è lussureggiante, fitta di accadimenti e particolari necessari. Il paesaggio canadese, la natura selvaggia del Nord Ovest partecipano alle emozioni dei personaggi, integrano la loro storia, determinano le loro decisioni.
Come in Chi ti credi di essere?, nella raccolta In fuga (2004) ci sono tre racconti – Fatalità, Fra poco eSilenzio – che hanno come protagonista la stessa donna. La storia della separazione traumatica e dolorosa fra una madre e una figlia, attraverso la quale entrambe ritrovano la propria identità e il coraggio di vivere seguendo il desiderio, è raccontata attraverso cesure drastiche, spazi bianchi in cui precipitano il tempo e i sentimenti.
La vista da Castle Rock, del 2006, si muove su due filoni apparentemente distinti: la storia familiare, ricostruita a partire dall’antenato scozzese Will O’Phaup, e la narrazione autobiografica, dall’infanzia all’attuale maturità dell’autrice. Sullo sfondo, la storia collettiva: le difficili condizioni economiche della Scozia del XVIII secolo e il viaggio oltreoceano per raggiungere le terre promesse della Nova Scotia inseguendo un sogno intravisto dalla rocca del castello di Edimburgo. E poi la storia del Canada: la conquista di nuova terra, l’edilizia, la ferrovia, le occupazioni pioniere. Su tutto, la magia della scrittura di Alice Munro, che raccoglie, amalgama, reinventa, e ancora una volta conquista.
Nel 2009, due anni dopo la vittoria del prestigioso Man Booker International Prize, Alice Munro torna con Troppa felicità. Se si prova a riassumerli, i racconti di Troppa felicità sono pieni di elementi che sembrano indirizzare al noir, al giallo, persino al gotico: omicidi, suicidi, tradimenti, violenza, crudeltà. Ma nella visione di Alice Munro questi eventi tragici, piuttosto che essere il perno drammaturgico su cui ruota il racconto, ne diventano invece la premessa o lo sfondo. Perché a dare corpo alle sue narrazioni ci sono (ancora una volta, eppure in modo sempre nuovo) le emozioni dei suoi personaggi. Donne, soprattutto, madri, amanti, figlie e mogli, donne che incarnano un istinto potente e meraviglioso di ribellione, il rifiuto dei compromessi e delle convenzioni.
E infine, nel 2012, Munro ha dato alle stampe la raccolta Dear Life (in uscita per Einaudi nel 2014). In una nota all’ultima parte del libro, intitolataFinale, Alice Munro avverte: «Gli ultimi quattro lavori di questo libro non sono davvero delle storie. Formano una unità separata, che è autobiografica nei sentimenti, anche se non interamente tale nei fatti, in alcuni casi. Credo che siano le prime e le ultime cose – e le più vicine – che ho da dire sulla mia vita». Più volte, di recente, Munro ha dichiarato che Dear Life potrebbe essere il suo ultimo libro. «Ma questo ,ha detto nell’intervista telefonica rilasciata dopo la vittoria ,potrebbe farmi cambiare idea». Se così fosse, questa volta la scelta dell’Accademia Svedese avrebbe un valore in più.
le fonti di quest’articolo:
la newsletter einaudi ai librai,i siti di einaudi editore, nytimes,latimes,corriere,repubblica,e qualche amico con buone letture: Marco Crestani, Gianni, Francesca. A questi ultimi grazie tante.