Questo è uscito nel maggio del 2010. Tre mesi dopo, il 17 agosto, Francesco Cossiga è morto. O meglio: s’è lasciato morire. Nell’ultimo capitolo, emblematicamente intitolato «Solitudine, caduta e morte del leader», aveva spiegato come la politica sia più di un mestiere. «E’ una droga che non prevede disintossicazioni», aveva detto. Più che una ragione di vita, è la vita stessa. E quando si è costretti a rinunciarvi si finisce spesso per rinunciare a tutto il resto. Si muore, insomma. Come Spadolini, come De Gaulle, come tanti altri di cui Cossiga ha, con involontaria autoprofezia, parlato nel libro.
Grande, e privato, fu dunque il suo dolore quando si ritrovò senza più un ruolo politico attivo; grandissima la sua delusione nell’assistere al progressivo smantellamento dello Stato e al sistematico impoverimento di quella Politica che per una vita aveva ostinatamente scritto con la ‘p’ maiuscola. Fu così che Francesco Cossiga decise di abbandonare un mondo non più suo. Ma non prima di essersi lasciato dietro queste estreme riflessioni.
“Un’opera pedagogica”, diceva del libro. Ed effettivamente lo è, nella misura in cui “educa” alla comprensione della vera natura del potere, e delle dinamiche che da sempre ne governano il gioco. Un gioco necessariamente ‘sporco’.
Mai un uomo di Stato del suo calibro aveva osato svelare l’arcano. Mai nessuno, dall’interno, aveva così onestamente ammesso la reale natura del rapporto tra la politica e il denaro, la violenza, la guerra, il potere, la religione, la finanza, le massonerie, i complotti, i tradimenti, i mass media… Cossiga l’ha fatto perché era ormai questo l’unico ruolo che la Storia gli riservava. E perché detestava le ipocrisie e i moralismi. Dare scandalo era ormai da tempo la sua principale missione, e nulla è più scandaloso della verità. La verità sulla Politica e, in fondo, la verità sul lato più tenebroso della natura umana. Quello che molti di noi preferiscono non vedere. Perché, diceva Francesco Cossiga, «non si può capire la politica senza aver capito l’Uomo. E viceversa».
Dal giorno della sua morte, la politica italiana e internazionale hanno vissuto un’impressionante serie di strappi e fughe in avanti. Dossier, scandali, spericolate operazioni finanziarie, trame vaticane, scontri politici, affondi giudiziari, guerre, intrighi internazionali… fino all’ufficializzazione della crisi del berlusconismo, da lui preconizzata nel libro.
Viviamo in una fase di transizione, nel pieno di un virulento scontro tra poteri, e sarebbe stato bello poterne ragionare col Presidente. Ma nelle sue riflessioni, al solito brillanti e pirotecniche, contenute in “Fotti il Potere” c’è la chiave di lettura per tutto quel che è accaduto dopo la sua morte. E per ciò che continuerà ad accadere sotto gli occhi attoniti e preoccupati degli italiani. Perché il gioco, in fondo, è sempre lo stesso. Per capirlo basta afferrarne i meccanismi più profondi. Gli “arcana”, appunto. Non è difficile, basta avere un buon maestro.