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Il capitalismo non è nato nel Nuovo Mondo ma nella vecchia Europa e tuttavia sono stati gli Stati Uniti ad incarnare il modello fondamentale del capitalismo globalizzato e sovranazionale. L’origine del capitalismo americano sviscera le sue peculiarità, dalla concezione taylorista del lavoro e dalla nascita della produzione di massa con Henry Ford, fino al sistema odierno delle lobbies che negli USA impongono precise linee guida al governo fino a confondere l’idea che esita ancora la democrazia liberale. E’ la ragione di una rinnovata lettura del libro di Franco Ferrarotti, “America oggi”, scritto venti anni fa e che sembra uscito dalla tipografia solo ieri.
Con l’arrivo di Trump si assiste al declino della democrazia politica e la sua abdicazione alla finanza per fare posto alla democratura che sembra governare le sorti della nazione, e del mondo, cosi come lo abbiamo inteso fino a ieri. Le recenti dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti, sul possesso della Groenlandia e la terribile proposta su Gaza con la trasformazione della Striscia in una Riviera del Medio Oriente sono terribilmente stridenti ancora di più delle molte cose proposte fin qui strombazzate.
È improbabile che ciò accada e non è certo una dimostrazione di forza, ma legittima l’idea che due milioni di palestinesi a Gaza debbano abbandonare la terra che non vogliono lasciare e ignora il fatto che gli stati arabi vicini come Egitto e Giordania verrebbero destabilizzati dalla complicità in una vera e propria pulizia etnica. Tanto è vero che hanno prontamente respinto al mittente la proposta come irricevibile. Inoltre, implicitamente, approva una visione della politica estera che priva le nazioni e i popoli meno potenti di qualsiasi diritto di determinare il proprio destino.
Al ministro delle finanze di estrema destra di Israele e al nostro ministro delle infrastrutture non è sembrato vero. Il primo ha colto questa nuova realtà: “Ora lavoreremo per seppellire completamente la pericolosa idea di uno stato palestinese”, ha detto recentemente dopo le uscite del presidente USA. Il secondo, invece di occuparsi di treni, ha colto la palla al balzo per dire dal palco sovranista di Madrid: “meno Europa, più libertà, più nazione”, dimentico che la stessa Europa è stata tagliata fuori, con una telefonata tra Trump e Putin, dal processo di pace in Ucraina.
Se Trump fosse davvero preoccupato per la situazione dei cittadini di Gaza, non distruggerebbe l’agenzia statunitense responsabile di aiutarli a ricostruire. Il congelamento globale dell’assistenza estera e la sospensione di gran parte della forza lavoro dell’USAID rendono l’agenzia incapace di supportare il precario cessate il fuoco a Gaza con assistenza umanitaria, per non parlare dei compiti più ardui di sgombero delle macerie, disinnesco delle bombe inesplose e fornitura di riparo a centinaia di migliaia di civili che hanno perso le loro case.
La chiusura dell’USAID supervisionata dal tecnocapitalista che gioca a fare il politico Elon Musk è qualcosa che sta già accadendo, con conseguenze tangibili non solo per le persone in tutto il mondo che dipendono dall’agenzia, ma anche per gli americani che si aspettano che il loro governo impedisca la diffusione del terrorismo, delle malattie e l’influenza globale della Cina. Privati dei finanziamenti dell’USAID, in difficoltà sotto il peso delle tariffe, le nazioni, compresi gli alleati degli Stati Uniti, potrebbero ora guardare alla Cina come a una fonte più prevedibile di commercio e investimenti. Questa dinamica riflette i modi in cui il potere di questo Paese si estenda oltre i suoi confini nazionali. Quando l’uomo più ricco del mondo può così facilmente minare il posto degli USA sulla scena globale, è, semplicemente, un presagio di declino: il segno di una superpotenza corrotta così fragile che le sue fonti di influenza possono essere smontate dall’interno.
America Oggi, è ancora una attualissima acuta e ironica osservazione della realtà americana e delle sue intime contraddizioni, una tra tutte la natura della grande azienda “che si pone come fatto collaborativo per funzionare, ma che è nello stesso tempo una struttura di dominio”. Già le primissime pagine enfatizzano il carattere di assoluta unicità del capitalismo americano messo a confronto, rispettivamente, con il capitalismo storico, quello nato in Inghilterra con la Rivoluzione Industriale, il capitalismo mediterraneo, sviluppatosi in Italia, Spagna e America Latina, e il capitalismo russo e orientale. Negli Stati Uniti “il capitalismo si è realizzato allo stato puro – dinamico, sfrenato, travolgente, incurante di legami con il passato, di memorie e di nostalgie. Per Ferrarotti il capitalismo americano è “un’invenzione storica assoluta”. Non esistono regole, tradizioni, modelli cui esso debba conformarsi, manca anche il retaggio di una aristocrazia legata ai diritti di nascita. Gli Stati Uniti non sono soffocati dal peso ingombrante della Storia, nascono piuttosto da un atto di ribellione contro il Vecchio Mondo e i suoi dogmi.
Ma il libertarismo non è il liberalismo. Oggi gli USA sono una superpotenza in declino nei suoi valori fondativi che cerca di recuperare lo status perduto. La miscela di risentimento, nazionalismo e libertarismo che costituiscono la base della partnership tra Trump e Musk indica un futuro in cui i presidenti saranno liberi dalle barriere di protezione che la democrazia liberale fornisce a riparo dell’uso del potere. Javier Milei, d’altro canto, ha già dato con ampio anticipo un bel esempio. E mentre si ascoltano gli assurdi commenti di Trump, la storia della prima metà del XX secolo ci ricorda cosa succede quando emerge il nazionalismo che se frega delle da regole, istituzioni o valori condivisi. Ma la lezione della storia sembra non bastare; le grandi nazioni guidate da forti nazionalismi sono destinate inevitabilmente allo scontro e a fare soffrire le persone.
Quelli come noi allarmati da questo presente, devono riconoscere che non ci sarà alcun ritorno al passato: nessuno è cosi pazzo da spingere il bottone rosso per primo. Tuttavia, nessuna storia alternativa è disponibile su come rendere di nuovo “grande” l’America o ripristinare l’ordine perduto del dopoguerra e il nuovo inquilino dell’ala ovest non sembrerebbe in grado di andare oltre i proclami rivelando la sua inadeguatezza: unfit to lead per dirla con un recente articolo apparso sul NYTimes. Gli USA non sono più da un pezzo gli sceriffi globali e dovranno esserci nuove idee su come gli Stati Uniti possano, in modo costruttivo, coinvolgere le nazioni del mondo e coesistere pacificamente. Per raggiungere quel futuro, i cittadini americani dovranno guardare dentro di loro.
Magari senza un hamburger in mano.
per BookAvenue, Michele Genchi
fonti:
Marta Degani per Iperstoria 29.10.19,
Shia Kapos per Politico.com,
Ben Rhodes per NYT,
Michelle Goldberg per NYT
![](https://bookavenue.it/wp-content/uploads/2025/02/ferrarotti-america.jpeg)
Il lIbro:
Franco Ferrarotti,
America oggi,
Newton Compton editori.
ed.2007, pp.190
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