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Questo è un libro oltre le mie possibilità, perciò lo presento come posso: è una storia dell’Occidente (dai Greci fino alla Seconda Guerra Mondiale) e viene raccontata attraverso la struttura del pensiero paranoico dei protagonisti e delle folle. Siamo abituati a giudicare evidente e pericolosa una percentuale minima di manifestazioni psicologiche per lo più innocue, mentre tralasciamo comportamenti sociali quotidiani che sono generatori di conflitti.
La nascita delle istituzioni democratiche coincide, secondo lo psichiatra Luigi Zoja, con la nascita di istituzioni paranoiche. Sono le fantasie sui fatti – e non i fatti – a giustificare le azioni di guerra, l’ostracismo e l’annichilimento sociale. Quando l’europeo ha cominciato a descrivere il mondo non più col linguaggio del mito, ma con quello della “giustizia”, il percorso della paranoia è stato segnato: l’ossessione di voler ristabilire una “giustizia” personale finisce sempre per esprimere solo distruttività?
Zoja insegna a riconoscere le geometrie del pensiero che stanno alla radice dei conflitti della storia occidentale e sposta queste “forme” dall’individuo alla massa e dalla massa alla storia. In quest’ottica, il leader paranoico – Hitler e Stalin sono i due più grandi esempi del libro – non appare come il capo di un gruppo, ma come un “maestro di difese psichiche” essenziali all’accentramento del potere e alla creazione e disumanizzazione di un nemico. Il leader genera una nuova “architettura del pensiero”, che ha una “rendita” così alta da causare un effetto valanga. Zoja parte da Aiace e arriva al bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, mostrando che la paranoia – singola o sociale – segue sempre lo stesso schema: vuole la guerra all’altro per autoregolare la propria sofferenza psichica, perché non riesce a integrare la propria Ombra. Imparando a riconoscerla nel nostro pensiero possiamo creare gli argini sociali necessari alla pace?
Ogni forma di paranoia parte da una “Rivelazione”: un assunto di base semplificato, che poi procede logicamente. Questa logica è “la veste sana della follia”, ma la paranoia richiede anche una “sostituzione fantastica” che è sempre visibile: ostinandosi nell’assunto di base, non verificabile, procede per sostituzioni fantastiche di modo che, alla nascita di un conflitto, sarà sempre possibile giustificarlo partendo dalla proiezione di base. Qui, Zoja si sofferma sulle dinamiche della prima e della seconda guerra mondiale.
Individuato il centro della geometria paranoica, è poi possibile notarne la struttura più periferica. Due cardini sono il “Rovesciamento” delle cause e la “Proiezione”. La paranoia è una gestione esternalizzata della propria Ombra: tronca il male da sé, poiché non è in grado di contenerlo senza disgregarsi (Hitler, Stalin). Dunque, per vederla sul nascere bisogna individuare il punto su cui proietta il suo teatro del rimosso. Quando questa inversione di luogo e causalità si stabilizza, anche a livello sociale, il pensiero si trasforma in “Circolarità”: invece di smentirlo, le prove contrarie alimentano l’assunto di base, in un circolo vizioso. La paranoia gode quindi di una qualità unica: “l’Autotropia” (la capacità di alimentarsi da sola).
La lingua è il terreno privilegiato della paranoia sociale e politica. Cominciando dalla parola, il gruppo alimenta comportamenti psicopatici e disumanizzanti, spezzando la convivenza civile per poter colpire crudelmente un capro espiatorio. La conferma dal gruppo, poi, aumenta la dissonanza cognitiva dei singoli e il crimine non viene percepito come perverso. Le scuse arrivano sempre troppo tardi, dunque l’uso di modalità espressive paranoiche nel quotidiano andrebbe sempre illuminato e discusso.
Caratteristica della lingua paranoica è “l’Allusione”, uno stile del discorso che non si limita a “dire senza dire”, ma colpisce un presunto nemico all’interno del gruppo sociale. La paranoia è dunque minaccia, provocazione e separazione del capro, ma agisce in incognito. Genera reazioni al fine di negare all’altro le qualità di essere umano, ma, al contempo, giustifica la successiva sottomissione a colpevole. La risposta a una reazione è poi sempre caratterizzata da “Sproporzionalità” e su questo punto il libro porta l’esempio di Hiroshima e Nagasaki.
Infine, la paranoia “ha fretta”: apre e chiude guerre. Induce a sentire la fretta come necessaria e nella fase di dubbio – “Sindrome di Creonte” – è palpabile un elastico teso, che attende il minimo segnale per rilasciarsi e colpire. La fretta, tuttavia, è sempre chiamata a pagare un conto salato per l’errore contenuto nella premessa di base. La paranoia, infatti, è una “casa del pensiero” che lentamente soffoca e uccide il pensiero stesso.
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Silvia Belcastro
Il libro: