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Dalla caduta dell’Etica pubblica all’Elogio del Moralismo. Il nuovo libro di Rodotà.

Stefano Rodotà è poliedrico. Multidisciplinare. Ed ha un punto fermo nella sua vita di insigne studioso e di stimato uomo politico: il rispetto delle regole.
E se pensiamo ad un Garante della Privacy pensiamo sempre a Rodotà. E se pensiamo ad un garante “istituzionale” ci viene sempre in mente il nome dell’autorevole giurista.
Provando a fare una recensione del suo ultimo libro “Elogio del Moralismo” edito da Laterza (fa piacere la sobrietà della copertina) , la mente è andata subito ad un altro Elogio. Quello della Mitezza di Bobbio.
Contro ogni arroganza. E contro l’arroganza del potere. Il moralista non è un debole, ma un giusto. Un giusto che si è stancato di vedere le ingiustizie.
E’ significativo che il libro di Rodotà esca proprio in tempi di saldi di costumi e valori. Tempi che però ci piace sperare che stiano cambiando. In dieci giorni tutto si è ribaltato. Dal carnevale si è passati alla Quaresima. Una Quaresima non già di privazioni, ma di senso della misura. Come è giusto che sia. E qui torna il termine “giustizia” con l’immagine della bilancia.

Franco Cassano. L’umiltà del male

Il vantaggio del male sul bene, spiega Franco Cassano in L’umiltà del male (Laterza), dipende dalla sua antica confidenza con la fragilità degli uomini. Il demagogo e il dominatore conoscono a fondo le debolezze degli uomini e sanno volgerle a proprio vantaggio.

Il bene (chi lotta per la libertà) è invece “così preso dall’ansia di raggiungere le sue vette che spesso finisce per voltare le spalle all’imperfezione dell’uomo, lasciandola tutta nelle mani delle strategie del male. Chi ha gli occhi fissi solo sul bene, spesso ha deciso di non guardare altrove: l’urgenza di giudicare, di misurare l’essere sul metro del dover essere, lo porta a guardare con impazienza chi rimane indietro, e tale mancanza di curiosità lo porta alla sconfitta. Il male approfitta della distrazione o della boria del bene per mettere le tende e costruire alleanze”.

8 Marzo. Non c’è storia d’Italia senza italiane

Uno studio portentoso, brillante e istruttivo sulle straordinarie trasformazioni intervenute nella vita delle donne in Italia nel XX secolo. Vivace, acuto e di ampio respiro: una lettura davvero piacevole.
In questa prima biografia collettiva del Novecento delle italiane, Perry Willson esplora come la realtà femminile sia stata condizionata e abbia a sua volta plasmato eventi storici fondamentali, tra cui l’ascesa del fascismo, le due guerre mondiali, il ‘miracolo economico’ e le agitazioni culturali e politiche degli anni Settanta. Un lungo periodo che ha visto grandi progressi e conquiste per le donne italiane, in un continuo intreccio di modernità e tradizione.

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L’Italia che (non) legge

copertinaLe statistiche ci dicono che in Italia si legge poco, drammaticamente meno che negli altri paesi. Il lettore forte, come l’Istat definisce chi legge almeno un libro al mese, è una persona che non fa parte della maggioranza degli italiani, è fuori dalla “norma”, E il futuro che si annuncia non sembra migliore. Le differenze per genere, fascia d’età, area geografica, livello culturale e sociale non solo si confermano ma si radicalizzano…

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Piero Bevilacqua, Miseria dello sviluppo

foto autore Se qualcuno è ancora convinto che la soluzione ai problemi del mondo contemporaneo sia la crescita economica farà bene a leggere l’ultimo lavoro dello storico Piero Bevilacqua, Miseria dello sviluppo, da qualche tempo in libreria per Laterza.

Il libro muove da una dissacrante critica dell’economia, il sapere fondamentale che sta alla base delle attuali società. Bevilacqua ne mette in crisi la pretesa stessa di razionalità, dimostrando l’assurdità di una scienza che pretende di operare in modo del tutto fuori contesto dal tempo e dallo spazio.

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Massimo L. Salvadori, Democrazie senza democrazia

copertinaMassimo L. Salvadori
Democrazie senza democrazia
Laterza

Oggi viviamo più che mai in un’era di sacralizzazione della democrazia. Ma, mentre celebra i suoi trionfi, la democrazia è soggetta a così forti motivi di deterioramento da indurre a domandarsi se, sotto l’apparenza, non si celi una realtà che ne contraddice i principi e i presupposti istituzionali e sociali. Fatto è che le istituzioni degli Stati nazionali e la tradizionale divisione dei poteri non sono più in grado, come mostrato dagli eventi che hanno provocato la grande crisi economica del 2008, di regolare e controllare le decisioni dei centri di potere “irresponsabili” che presiedono alla produzione e all’allocazione delle risorse materiali, influiscono in maniera determinante sulla politica degli Stati, plasmano l’opinione pubblica, condizionano pesantemente i processi elettorali.

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Luciano Gallino, Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità

foto autoreTempo fa leggendo un’altro libro di Gallino, L’impresa irresponsabile, mi sono persuaso che il peso attribuito al costo del lavoro finisce per rivelarsi un alibi che non aiuta a interrogarsi su alcuni fondamentali. A non discutere, per esempio, di come le imprese italiane sono indietro, e di molto, in fatto di ricerca, e di come le stesse sbandièrano amabilmente la necessità di trovare forme redistributive del reddito d’impresa per finanziare l’innovazione (i cui danari, evidentemente, sottratti alle tasse, inevitabilmente gravano poi su tutti noi…), o della necessità di competere in un “mercato globale” (quanto piacerà loro riempirsi la bocca di questo…) finanziando i corsi di sviluppo del personale con forme reddituali che non penalizzino troppo la già esigua ultima riga del conto economico.