Per un ministero dell’economia della cultura e del turismo, se non noi chi?

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Gli attuali programmi dei principali schieramenti non prevedeno la cultura e il turismo tra gli obiettivi primari ed essenziali con tutto ciò che ne consegue. Per la verità nei dibattiti televisivi si parla sempre di tutto e di niente allo stesso tempo. Ma è rarissimo ascoltare qualcuno che parli di economia della cultura in un momento in cui la cultura dell’economia non ha dato molti frutti. Un immobilismo imperdonabile che misura il grave deficit del nostro Paese fino a quando non si decida di uscire finalmente dal tunnel attraverso la connessione tra la nozione di cultura/turismo e quella di impresa/sviluppo e quindi benessere. Manca una concreta idea di patriottismo civico frutto dell’insegnamento storico di quella civiltà culturale che ha avuto origini in Italia e che oggi più che mai deve essere riscoperta per la salvezza del Paese.

Dopo il fallimento del modello di un ministero per i beni e le attivtà culturali è fondamentale aggiornare il quadro di riferimento attraverso nuivi strumenti incisivi e determinanti. Di qui la necessità di un Ministero per l’economia della cultura e del turismo che possa sviluppare la competività del Paese attraverso azioni concertate e primi fra tutti gli enti locali. Potrebbe essere un modello ministeriale snello con uno sguardo all’Europa e alle possibilità che possano crearsi. Spesso, a livello locale, vi è inadeguatezza a seguire le possibilità comunitarie e ciò anche in relazione alla miopia di amministratori e di conseguenza degli operatori non al passo con i tempi. L’esigenza di coniugare la conservazione con la valorizzazione e dunque con la capacità di creare sviluppo è assolutamente un compito essenziale per questa nuova Italia attraversata dalla crisi e che deve necessariamente contare sulle sue forse che non sono poche se si pensa a modelli stranieri che con molto meno fanno crescere cittadini e PIL.
Peraltro, si pensi all’organizzazione di attività culturali da parte dei comuni che, se giustamente non possono più assorbire rissorse da destinare invece alla protezione sociale o alla manutenzione delle infrastrutture, devono orientarsi sempre di più verso l’obiettivo dell’autosufficienza cioè all’autofinanziamento, ancorché parziale.
Pertanto, mai più spettacoli gratis ed adozione di modelli gestionali orientati alla fattibilità economica, basati anche sul coinvolgimento attivo degli artisti o delle associazioni/soggetti che promuovono gli eventi.
Non basta questo corsivo ad elencare tutte le opportunità e le criticità ma occorre di sicuro abbandonare strutture ministeriali obsolete per passare ad esperienze concertate di “democrazia amministrativa” che possano aziendalisticamente non essere soltanto costo ma soprattutto ricavo. E’ una sfida e forse una provocazione. Ma un museo chiuso o non fruibile è inutile. Un cinema decadente è inutile. Un teatro che non programma è inutile. E’ arrivata l’ora di far fruttare i tesori chiusi nelle stanze, nelle città e nelle teste di chi non pensa che l’Italia si può ancora salvare se si cambia marcia e se lo Stato con nuovi modelli gestionali possa selezionare progetti meritevoli che permettano alle parole cultura e turismo di entrare a far parte a pieno diritto nella famiglia dell’economia senza se e senza ma.

 

Per BookAvenue, ANTONIO CAPITANO

 

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