di Francesco Attanasio
Il bacino dei lettori professionali diminuisce in un quinquennio di un milione di unità. La nuova classe dirigente sembra essere composta da non-lettori e la contrazione maggiore si registra anche e paradossalmente, nei giovani in cerca di prima occupazione. Ma quale futuro aspetta un paese in cui la scuola si accanisce contro il caro-libri , ma non è in grado di spiegare ai giovani il loro valore come strumento per migliorare le chance di trovare lavoro e crescere professionalmente una volta occupati? E che fine hanno fatto le idee che fanno prosperare un paese se i dirigenti occupati non leggono o sono soliti passare il tempo a leggere solo i risultati economici delle loro performance senza nulla aggiungere a questi in termini di contributo culturale? Non vi è dubbio alcuno che se non si spiegano i numeri con un pò di visione si rischia di arretrare. Tuttavia sembra lo sport preferito del neo-managerismo imitativo del nostro Paese. Una parte delle conseguenze è sotto gli occhi di tutti.
Che futuro ha un paese dove più della metà della classe dirigente non legge alcun libro in un anno per aggiornare e arricchire il proprio bagaglio professionale? E, soprattutto, dove questa percentuale tende a crescere?
L’indagine Istat sulla lettura offre innumerevoli spunti, grazie a una ricchezza di dati e una robustezza metodologica che – occorre dirlo – non ha eguali nel panorama delle statistiche sulla lettura a livello internazionale, come per altro ha dimostrato un recente studio condotto da un gruppo di operatori europei, tra i quali l’Aie e le federazioni degli editori e Librai europei. I dati consolidati al 2006 sono ancora più preziosi perchè consentono un confronto con l’indagine precedente del 2000, durante la quale erano state introdotto notevoli innovazioni metodologiche, confermate nella nuova rilevazione.
Uno degli aspetti più interessanti riguarda lo studio della lettura per motivi professionali e di studo, con l’esclusione dei testi obbligatori. Già nel 2000 i dati inducevano a un certo sconforto: solo un occupato leggeva un libro per motivi professionali, e solo un (uno!) dirigente su due faceva lo stesso. Peggio: un giovane in cerca di occupazione su 10 (diconsi, dieci) apriva un libro in mano.
La rilevazione del 2006 mostra andamenti generalmente i crescita della lettura (al momento in cui scriviamo è, diciamolo, ferma) ma con la vistosa eccezione della lettura professionale. Chi ci dirige è un pessimo lettore, peggio non legge neanche i libri che gli servono per lavorare. Ciò che è avvenuto in un lustro è che la società della conoscenza, dell’economia fondata sul capitale umano è letteralmente esplosa, a dimostrazione della tendenza registrata dall’Istat nel nostro paese dove la lettura professionale si è ridotta in tutte le categorie professionali è in articolare nelle classi dirigenti dove si arretra di quasi l’8% (dal 45,8% al 38,4) su una media consolidata del 2,5. (fonte: istat indagine 2006-2000 su www.istat.it) pur in presenza – balza agli occhi – di una sostanziale parità della popolazione dirigenziale.
L’analisi dice, tuttavia anche altro: che i valori assoluti dei lettori di libri professionali, dai dirigenti a quelli in cerca di prima occupazione sono diminuiti di circa un milione di unità: da 6 a 5 in cinque anni (fonte: idem). Sembra che alla nuova nostra classe dirigente non freghi nulla leggere, ne del fatto che il libri rappresentano una grande opportunità di far crescere il Pil (se ne discute da tempo ad ogni appuntamento degli stati generali dell’editoria). Particolarmente sconcertante è però la lettura del dato dei giovani in cerca di prima occupazione che calano numericamente del 30% (questi saranno peggio di quelli che già ci sono). Il che preoccupa. Non sembra allora imprudente un’interpretazione che punti il dito verso il sistema educativo italiano che evidentemente non è in grado di spiegare ai giovani il valore dei libri come strumento di crescita culturale. Del resto, c’è davvero da stupirsi che questo accada se nella scuola l’attenzione delle famiglie e media è solo concentrata sul prezzo dei libri e mai sul loro valore (nell’abituale polemica che accompagna ogni inizio di anno scolastico ha molto colpito un’intervista su un quotidiano nazionale quale iattura fosse il fatto che, dovendo sostenere la spesa per i lbri, i genitori erano costretti a comprare uno zaino non griffato!) E se nelle università i libri sono merce sempre più rara, sostituiti da fotocopie, appunti, dispense? Non ci sono dati a conforto, per fortuna, sarebbe tuttavia interessante verificare l’andamento del prestito libri nelle biblioteche d’istituto per avere una qualche forma di analisi.
I dati entrano in profondità anche per classe di età: la riduzione più significativa è proprio quella dei ragazzi appena usciti dalle università (25-35 anni) e quella dei neodirigenti (35-45 anni). E’ pure interessante guardare come il fenomeno si evolva in maniera diversa in relazione al sesso. Com’è noto, le donne sono nel tempo libero lettrici molto più assidue degli uomini; ciò non è vero per la lettura professionale, in ragione della minore qualificazione media del lavoro femminile nel nostro paese ( i dirigenti sono, in sostanza maschi e più ignoranti delle donne e ci tengono a difendere la posizione). Nei sei anni di indagine, tuttavia, la distanza si riduce in quanto il forte calo nei tassi di lettura riguarda i maschi (-7%) si muove al contrario l’attaccamento alla lettura da parte delle donne +3,5) in specie tra i giovani indicati precedentemente.
L’unica interpretazione non disperante per la società ed economia italiana di questi dati potrebbe essere quella di una sostituzione, nelle classi giovanili, dell’aggiornamento professionale tramite libri con quello di altri strumenti, e in particolare Internet. Non ci sono dadi, nell’indagine per confutare questa ipotesi, ma la sua verosomiglianza è debole se si pensa che tutte le indagini sul tema mostrano come vi sia una stretta correlazione tra l’uso avanzato dei media digitali e quello dei linri. Ultimo, alcune indagini dell’Osservatorio prmanente sui contenuti digitali fondato da Aidro, Aie, Fini, Cinecittà Hoding e Univideo, utilizzando delle tecniche di clustering per dimostrare la relazione tra consumi culturali e tecnologia, , hanno mostrato che esistono gruppi (in prevalenza uomini) che usano molto le tecnologie senza essere lettori, ma lo fanno per lo più per frequentare chat o scaricare suonerie e non per il paziente lavoro di costruzione professionale.
Ciò induce a segnalare una vera emergenza culturale, che è anche economica e civile. L’arretramento di democrazia (prima ancora che tutto il resto) si misura proprio dalla capacità di far emergere criticità del sistema e di affermare metodologie di cambiamento la costruzione e data solo dalla capacità di produrre idee. Mentre c’è una intera classe dirigente priva di questo patrimonio. E si vede. Sarà allora importante che nei piani di promozione di cui tanto si parla e in vista della creazione di un Centro del libro e della lettura anche nel nostro paese, si tenga conto della funzione professionale del libro, dell’esigenza di educare giovani e adulti non solo al piacere di leggere ma anche alla fatica della lettura.
Francesco Attanasio da tirature 08, Il Saggiatore.