Centosettantamilioni di dischi venduti. Una voce guidata non solo dallo spirito, ma pure dal codice genetico del canto gospel ricevuto in dono dalla madre Cissy Houston e influenzata dalla cugina Dionne Warwick e dalla madrina Aretha Franklin. Anche se sarà ricordata per le sue ballate - "Saving All My Love for You", "Greatest Love of All", "Where Do Broken Hearts Go" - avrebbe potuto cantare qualsiasi cosa, compreso il funky. La fama di Whitney Houston è cresciuta oltre i suoi dischi: sul grande schermo ha regalato una performance di grande successo in "Guardia del corpo", sia come attrice che come protagonista della colonna sonora. Negli ultimi anni, guardandola più da vicino, chi l'ha amata ha compreso in maniera evidente che qualcosa non andava: i ritardi dei nuovi album, gli echi delle cronache da oltreoceano sui ricoveri, il disastroso matrimonio con un bad-boy, (compreso il brutto concerto in Italia di Assago con quelle stonature e lunghe pause). Tutte cose che hanno testimoniato come il disastro della sua vita personale abbia inciso come una lama sul suo talento.
Il resto è il relitto della sua vita. La triste verità è che la sua memoria sarà per sempre offuscata dalle sue dipendenze. Le immagini che portiamo di lei sono difficili da conciliare con la sua voce. Ma è lì che "I Will Always Love You" entra in gioco. Chiudete gli occhi. La voce di Whitney, poche ore dopo la sua morte, ha già dimostrato di poter sopravvivere al suo corpo. Anche se la sua umanità non poteva gestire quel tono, i posteri lo faranno certamente.