Se qualcuno è ancora convinto che la soluzione ai problemi del mondo contemporaneo sia la crescita economica farà bene a leggere l’ultimo lavoro dello storico Piero Bevilacqua, Miseria dello sviluppo, da qualche tempo in libreria per Laterza.
Il libro muove da una dissacrante critica dell’economia, il sapere fondamentale che sta alla base delle attuali società. Bevilacqua ne mette in crisi la pretesa stessa di razionalità, dimostrando l’assurdità di una scienza che pretende di operare in modo del tutto fuori contesto dal tempo e dallo spazio.
Sotto il primo profilo, l’oggettiva osservazione della realtà dimostra l’inconsistenza del mito del progresso, inseparabile compagno di strada dell’ideologia dello sviluppo: l’inarrestabile distruzione della natura, la dilagante anomalia sociale, la crescente infelicità individuale provano con evidenza che la riproposizione nel tempo del meccanismo della crescita economica – dopo aver in una prima fase effettivamente aumentato il benessere delle società occidentali (ma solo di queste, e a scapito del resto del pianeta) – è la causa del graduale peggioramento delle condizioni di vita dell’intera umanità, al punto da costituire oramai la principale minaccia alla sopravvivenza stessa della specie umana sulla terra.
Sotto il secondo profilo, sono i presupposti teorici stessi della scienza economica a peccare clamorosamente di razionalità, dal momento che non prendono in considerazione alcuna la finitezza delle risorse naturali e, anzi, immaginano falsamente una loro illimitata disponibilità.
«L’economia – scrive Bevilacqua – non è che un sapere senza fondamenti», una credenza inconsistente, non diversa dalle credenze religiose che, nel corso della storia umana, hanno sostenuto le varie civiltà che si sono succedute.
Con notevole capacità discorsiva, Bevilacqua illustra alcune tra le più tragiche conseguenze dello sviluppo: la distruzione delle culture, dei modi di vita, degli equilibri economici tradizionali causata dal tentativo di imporre al resto del mondo il modello economico occidentale; la devastazione dell’ambiente naturale non solo come conseguenza, ma come necessità del dispiegarsi dei meccanismi della crescita economica; le nefaste conseguenze sulla salute umana e sulla fertilità della terra conseguenti all’industrializzazione dell’agricoltura; il sempre maggior asservimento dell’uomo alle necessità del lavoro e del consumo, a scapito del suo benessere e del suo stesso equilibrio psicofisico; la guerra come strumento attraverso cui garantire la smisurata ricchezza di poche società a scapito del resto del mondo.
La conclusione di Bevilacqua è che oggi lo sviluppo, «il più potente produttore di ricchezza, il modo di produzione più rivoluzionario della storia umana, […] mostra il suo volto finale: è diventato la macchina di distruzione più potente che sia mai apparsa sulla terra». Si tratta dunque di un fenomeno storico giunto alla sua fase conclusiva, nel senso che, se non sarà abbandonato, verrà comunque meno con il venir meno del mondo.
La crisi dello sviluppo appare ancora più eclatante se si considera, inoltre, il dominio esercitato,negli ultimi trent’anni, a livello economico, politico e culturale, dall’ideologia che meglio di ogni altra ha incarnato, e ancora incarna, il credo neoliberista.
Nonostante l’adozione a livello globale dei diktat neoliberisti – privatizzazioni, liberalizzazioni, deregolamentazione, globalizzazione, flessibilità del lavoro, smantellamento delle protezioni sociali – l’economia in Occidente non è cresciuta che in maniera irrisoria, mentre il resto del mondo ha continuato a impoverirsi in misura sempre maggiore. Nelle stesse società sviluppate, solo un’infima minoranza delle persone ha visto aumentare, spesso in maniera esponenziale, la propria ricchezza, a fronte di un generalizzato peggioramento delle condizioni di vita. La sperequazione sociale è cresciuta di pari passo allo sclerotizzarsi della mobilità sociale verso l’alto.
Il meccanismo dello sviluppo si è rotto. L’economia, la politica, la società non funzionano più. Individuare una via d’uscita è la vera urgenza del tempo presente.
La questione cui Bevilacqua si propone di dare risposta non è, tuttavia, l’elaborazione di un modello alternativo: altri l’hanno già fatto, attraverso le proposte che costituiscono il modello della «decrescita», ed è quello certamente il percorso che dovrà essere seguito se si vorrà evitare la distruzione del pianeta.
Piero Bevilacqua
Miseria dello sviluppo
Laterza