Philip Roth, The humbling

philiproth elabora by ©mg
   Tempo di lettura: 9 minuti

Caro lettore, mi domando e ti domando: diremo mai basta ai libri di Roth? Diremo mai: fatela finita Nathan Zuckerman, Spielvogel, David Kepesh e Mickey Sabbath? Oppure continueremo a stare incollati alle pagine intorno a queste storie esasperate, e coinvolti dal destino degli eroi le cui vite e gli amori rispecchiano quelle del loro autore?

Roth mi ha abituato a queste storie estreme, come la soffocata miseria identificata da O. Spielvogel, lo psichiatra immaginario del, “Pene Perplesso,” l’articolo con cui mi ha introdotto a suo tempo nella lettura del “Lamento di Portnoy.” Una condizione caratterizzata dall’estremo desiderio sessuale con comportamenti compulsivi di Alex e il suo sentimento prevalente di vergogna e paura del castigo, in particolare sotto forma di castrazione. Ma, si sa: le possibilità e le permutazioni dell’ onanismo sono illimitate. E che sono il filo conduttore di molti dei suoi romanzi.

C’è pure un’altra cosa ricorrente in queste pagine: quando gli eroi dei libri di Roth stanno per soccombere agli eventi della loro età, cercano riscatto e rinnovamento, non attraverso il lavoro o, chessò, una terapia, la propria famiglia o mettendosi in cerca semplicemente di un pò di serenità.
No. In genere questi personaggi cercano di sfangare gli anatemi della vita attraverso una relazione con una donna più giovane.
A patto che la donna debba soddisfare alcune condizioni: deve essere irraggiungibile, straniera possibilmente, avere una classe sociale e religione (in America questa cosa, conta) sbagliata, e, idealmente, la vicenda deve essere clandestina e tabù.
Tuttavia un rischio c’è. La vicenda può diventare un matrimonio: c’è un mare di uomini in terza o addirittura quarta età che lo contraggono, facendo cadere l’avventura in un altra semplice storia di uomini e donne infelicemente accoppiati (in specie se lui ha 65 anni e lei venticinque di meno). Con tutti i problemi che la prostata invecchiata porrebbe. Tale modello condanna questi uomini al fallimento, e Roth presenta il loro destino come la condizione ineludibile dell’ invecchiamento.
Ma questa volta la prostata non c’entra.
Il nuovo romanzo di Roth, The Humbling (“L’umiliazione,” l’ho tradotto così. Vedremo come uscirà in italiano) si muove in tre atti come tempi di una tragedia alla Shakespeare.

Nel primo di questi, un grande attore di nome Simon Axler perde improvvisamente la sua fiducia e la sua sicurezza di stare sul palco. Man mano matura sentimenti terribili sul suo destino e medita il suicidio. Ha una caduta di nervi così grave che si impegna in una clinica psichiatrica per 26 giorni.
La moglie, una stupenda ballerina in gioventù che ha tenuto a bada gli ormoni del focoso marito, ha pensato bene di andare occuparsi del figlio con problemi droga molto lontano da casa, piuttosto che stare dietro alle traveggole di un anziano che sì, ha avuto successo ed è stato molto amato, ma la cui auto-inflitta sofferenza è davvero difficile da sostenere. Meglio partire, dunque.
Simon è un eroe tragico profondamente incrinato. Condannato alla fine per mano di se stesso e per depressione, conoscerà in clinica una donna che non ha avuto il coraggio di portare a termine il tentativo, dopo aver ammazzato il marito. Simon si è anche isolato e rifiuta i consigli costruttivi suo agente rivolti al suo ritorno sul palcoscenico.
Niente da fare: dimesso dall’ospedale rimane rintanato nella sua casa di campagna a leccarsi le ferite e ad auto-compatirsi.
(a proposito: è da un pò – da Everyman in poi, che i personaggi di Roth pensano che sia meglio farla finita)

Nel secondo atto ( trasformazione) quasi per caso, dopo la visita inaspettata di un pomeriggio, comincia una relazione appassionata con Pegeen, la figlia lesbica di due vecchi amici che ha conosciuto da sempre ma che aveva praticamente dimenticato.
Lei ha 40 anni, ed è determinata a iniziare una storia (- o come vogliamo chiamarla? -) con Simon di venticinque anni più grande. Non è una una partita, questa, così estrema in termini di età.
Non dissimile con quanto letto in altrettanto sorprendenti romanzi come “Il fantasma esce di scena” oppure “l’animale morente”, il protagonista di The Humbling è la storia di un signore anziano ossessionato dal suo deterioramento e una giovane donna la cui sessualità pone speranze di ringiovanimento.
Eppure quel passeggiare lento con le mani intrecciate lascierebbe pensare a tutt’altro che a una storia di sesso travolgente come questa: lui inciampa e cade e lei gli dà un bicchiere d’acqua, una bontà semplice che spinge il protagonista a riflettere come priva di questi gesti è la sua vita negli ultimi tempi. Troppo abbattuto per fare acquisti o mangiare, Axler ha tutti gli ingredienti necessari per improvvisare una cena a base di spaghetti alla carbonara. Un po ‘di Schubert con l’impianto stereo, una bottiglia di vino condivisa velocemente e presto, Pegeen gli permette di sentire “la forza delle sue braccia muscolose.” Poi cala i suoi jeans e fa sesso con un uomo per la prima volta dai tempi del college.
Wow!. che scena.
Simon tenta di trasformare Pegeen nell’antitesi della sua autodeterminazione sessuale. Pensa che questa passione, ripristinerà la sua virilità e la sua affidabilità professionale. Egli ritiene che il desiderio erotico e rinnovamento sessuale curerà le sue paure di umiliazione, di fallimento, di mortalità e tutte le imbracature di cui la carne si è fatta erede negli anni. Roth mi ha abituato alle scene di sesso che qui appaiono più sfrenate del solito. Pegeen è uno shock tale che Axler dimentica subito il suo languire.
Ma non c’è solo questo: Pegeen sa essere amorale, capricciosa e crudele.
Non c’è bisogno di essere gay per trovare tali stereotipi offensivi. La camera da letto è ispirata da qualcosa che sembrerebbe lurida e ridicola che rende la lettura quasi imbarazzante, non solo a causa della loro sensualità. Mentre leggo sembro quasi costretto nella posizione di voyeur reso complice di una visione che non consentirebbe a una lesbica di essere qualcosa di più di una raccolta di luoghi comuni.
E tuttavia ho vissuto per tutta la durata della lettura (circa 140 pagine) il presagire di eros e thanatos quasi che Roth confidi il destino del suo protagonista in anticipo rispetto al testo che diviene.
Infatti.
La conclusione triste di questa parabola è inevitabile e quasi schematica:

Nell’ultima parte, dopo aver provato un rapporto a tre sadomasochistico, lei non ha infatti dimenticato di essere una lesbica e trascina l’ubriaca Tracy a letto, il nostro eroe a rimane a fare il guardone pur di compiacerla. E’ fuori di testa davvero: dopo avere delirato di poter sposare Pegeen, magari avendone dei figli (tanto che, per sapere se è ancora in grado di fare progenie, si reca persino da uno specialista), si ritrova invece abbandonato dalla donna per sempre. E qui c’è una scena che ha del paradossale: va a… protestare dagli esterrefatti genitori di lei. Furore e pazzia: non cè dubbio. Come accaduto anche in altri libri dove il protagonista muore, il nostro Axler rinsavisce quel tanto che gli consente di guardare con verità la miseria della sua esistenza e trovare finalmente il coraggio di uccidersi. Egli non può più svolgere la sua scena. E quando l’artista non può più creare, Roth suggerisce, non ha nulla per cui vivere. Eppure, questa non sorprendente eloquenza trattenuta per tutto il libro rende questa fine cupa, potente.
Ma, per una volta, non convincente, devo ammetterlo.
Questo è il libro n. 30 di Roth, e il suo settimo in questo solo decennio. A 76 anni è ancora un colosso della letteratura, la cui capacità di ispirare, stupire e far infuriare i suoi lettori è intatta.

 

per Bookavenue, Michele Genchi

 

Philip Roth
The Humbling
Jonathan Cape

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1 commento

  1. Giovanni La Porta

    Egregio, mi è capitato quasi per caso di leggere la sua recensione che mi sembra abbastanza puntuale. Non trova certe analogie del protagonista e l’onanismo del nostro Premier?

I commenti sono chiusi.